Ambiente

Il ritorno del castoro

Per ora sono pochi esemplari, soprattutto in Appennino. Una ricerca di Iret-CNR per verificare gli eventuali problemi di coesistenza con l'uomo

Il Castoro è tornato in Italia. Non è una novità, a dire il vero, perché i primi monitoraggi risalgono a qualche anno fa, ma da oggi certamente ne sappiamo di più, grazie a uno studio dell’Istituto di ricerca sugli ecosistemi terrestri (Iret) del Consiglio Nazionale delle Ricerche (Cnr), realizzato insieme all’Università degli Studi di Milano e pubblicato sulla rivista “Animal Conservation”. I ricercatori hanno messo insieme informazioni pregresse e mappato il nostro territorio, stabilendo così gli habitat ideali per il ripopolamento della specie: ne esistono diversi in Italia, concentrati in massima parte nelle regioni centrali e nelle aree collinari.

Il declino del castoro eurasiatico (Castor fiber) risale al Medioevo quando iniziarono a manifestarsi le conseguenze della perdita di habitat e della caccia per la pelliccia, per la carne e per il castoreo, un fluido molto usato fin dall’antichità per svariati scopi, con motivazioni e credenze di diverso genere. All’inizio del XX secolo questo animale sopravviveva solo in poche zone tra la Francia e la Mongolia, dove si contavano circa 1200 esemplari. Nel 1920, la protezione legale, insieme agli eventi di reintroduzione e alla diffusione naturale, ha innescato il recupero della specie nella maggior parte del suo areale originario, fino a un’attuale stima della popolazione mondiale di circa 1,5 milioni di individui.

In Italia oggi se ne conta una cinquantina. Dopo 500 anni di assenza, infatti, nel 2018 il castoro è riapparso in Trentino Alto-Adige e Friuli Venezia-Giulia, migrato spontaneamente, quindi in modo naturale, dalla confinante Austria. Poi nel 2021 è stato individuato e monitorato anche in Toscana, Umbria e Marche, dove si sarebbero verificate delle azioni di reintroduzioni non autorizzate.

Il ritorno del castoro eurasiatico (Castor Fiber) – Video di Emiliano Mori

Un ritorno gradito ma da gestire con attenzione

Una buona notizia per la conservazione di biodiversità dell’Europa e del nostro Paese, ma anche un fenomeno da gestire con attenzione, perché, se da una parte i castori sono ingegneri ecosistemici che possono migliorare la sicurezza idrogeologica dei fiumi, aumentare la ricchezza di specie locali e mitigare l’intensità degli eventi di piena, dall’altra le loro attività di foraggiamento e rosicchiamento possono danneggiare piantagioni di alberi e canali artificiali, comportando il rischio di conflitti con gli esseri umani.

Ecco perché si rendeva necessario uno studio che mappasse il nostro territorio e individuasse le aree di insediamento più idonee. Per la ricerca pubblicata su “Animal Conservation”, gli scienziati hanno raccolto tutti i dati di presenza disponibili per il castoro in Europa, tramite l’utilizzo di database di distribuzione delle specie e tramite ricerche mirate sul campo finanziate dal fondo Beaver Trust (UK), di cui in Italia il beneficiario è il Cnr-Iret.

“Abbiamo curato le attività di monitoraggio, raccolta dei campioni per le analisi genetiche, monitoraggio dei punti di presenza, eventuali analisi necroscopiche e determinazione degli effetti sugli ecosistemi forestali”, afferma Emiliano Mori di Cnr-Iret, principal investigator del progetto con il collega Andrea Viviano (Cnr-Iret). Sono stati, quindi, utilizzati modelli di distribuzione delle specie per stimare l’idoneità ambientale per il castoro in Europa, e successivamente gli esperti hanno valutato quali fossero le aree del Paese in cui l’espansione del castoro fosse più probabile nel prossimo futuro.

Oggi sappiamo che gli esemplari a settentrione sono solo quattro, mentre tutti gli altri si trovano in Centro Italia che “si è rivelato il luogo ideale per ragioni di caratteristiche del territorio e di clima più affine”, dice Mori. Il castoro infatti, non è una specie che vive in alta quota e alle Alpi predilige tendenzialmente gli Appennini e le colline, ma diverse sono le zone che risultano idonee per la stabilizzazione dell’animale.

I risultati di questa ricerca potranno aiutare i gestori ambientali a capire dove focalizzare sia il futuro monitoraggio delle popolazioni di castori sia le azioni volte a prevenire e mitigare possibili conflitti uomo-fauna selvatica, che potrebbero derivare dall’espansione di un ingegnere ambientale come il castoro. Esistono infatti misure preventive che possono mitigare i danni dovuti alle attività dell’animale, quali ad esempio la protezione dei campi agricoli con recinzioni invalicabili e il drenaggio di eventuali aree umide derivanti dalle attività di costruzione di dighe, quando queste minacciano infrastrutture umane.
Il problema tuttavia oggi non si pone. “La specie è ampiamente apprezzata dall’uomo”, continua Mori . “In ogni caso abbiamo valutato, nel caso si espandesse ulteriormente nel Centro Italia, i luoghi nei quali potrebbero sorgere problemi di coesistenza, ma per adesso siamo lontani e non ci sono criticità”.

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