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L’iraniana Nasim Eshqi apre una nuova via sul Catinaccio

“Women, life and freedom” è valutata di grado VI+, aderisce ai canoni dell’alpinismo classico ed è la seconda del più ampio progetto "When mountains speak" per i diritti delle donne iraniane

La scalata come mezzo di ribellione e rivalsa. Attraverso il suo alpinismo Nasim Eshqi tenta di dare voce a chi, data la situazione socio-politica del Paese in cui vive, di voce non ne ha proprio. Le donne in Iran sono oggi fortemente discriminate. Dopo la Rivoluzione islamica del 1979, la situazione è fortemente cambiata. In peggio, almeno per le donne, che hanno il divieto di mostrarsi in pubblico non accompagnate dal marito o da un famigliare, con il capo scoperto e che svolgono le loro attività (sportive e non), separate dagli uomini fin da bambine. Una condizione che Nasim conosce bene e che le è sempre andata stretta, come un abito che limita il respiro o come quelle scarpette d’arrampicata che, però, l’hanno aiutata a uscire dal tunnel. Scappando, allontanandosi dal Paese senza però la possibilità, almeno per il momento, di farvi ritorno o di muoversi liberamente se non all’interno dell’area Schengen. Ad alzare il velo sulla sua storia, e sulla difficile situazione della donna in Iran, è stata Francesca Borghetti con il film documentario ‘Climbing Iran’, da lei stessa girato e presentato al Trento Film Festival. Una storia che buca lo schermo e le coscienze, che nulla lascia all’immaginazione e mette chiaramente in luce la sofferenza di chi, già dalla nascita, sembra avere il destino segnato. Nasim, ribelle fin da bambina, non ha mai voluto sottostare a quella regola religiosa, divenuta poi politica, che la voleva diversa (per non dire inferiore) ai colleghi maschi e ha trovato nello sport il modo per urlare il suo dissenso. Prima con la kickboxing e poi, dall’età di 23 anni, con l’arrampicata. Oggi Nasim di anni ne ha 41 ed è considerata la più forte alpinista iraniana di sempre. Un triste primato se pensiamo che in Iran l’arrampicata è “roba da uomini” e che le donne scalatrici non sono ben viste. Soprattutto se come Nasim dicono quello che pensano, vogliono tenere il capo scoperto e insistono a dipingere le unghie rosa shocking per mostrare al mondo e con orgoglio il proprio essere donna. Forte e indipendente.

Pochi giorni fa Nasim ha aperto sul Catinaccio, in Val di Fassa, la seconda via  di “When mountains speak”, un progetto Nasim continuerà anche in altre montagne del mondo, dove vorrà o sarà invitata a scalare.

Insieme a lei in questa avventura il compagno Sina Heidari, alpinista iraniano e guida alpina, e Gianni Trepin, guida alpina ed istruttore delle guide del Tonale. La nuova linea, alla quale ha dato il nome di: “Women, life and freedom”  è una via di alpinismo classico, aperta in stile alpino ed è stata gradata VI+. Il desiderio della forte alpinista (che in parete scala fino all’8b), è che venga ripetuta il più possibile, da uomini e da donne, perché come dice lei la gravità non fa distinzione di genere. Ogni sosta è attrezzata con 2 chiodi e un maillon, quindi è possibile scendere in corda doppia. Inoltre sono stati lasciati dalle due alle quattro protezioni (chiodi e spit) per ogni tiro.

Era la prima volta in Val di Fassa e in particolare sul Catinaccio?

Sono rimasta abbagliata dalla bellezza di queste montagne, avevo già scalato in Dolomiti, ma mai in Catinaccio. Ottimo motivo per tornare presto.

Sul Catinaccio hai aperto una linea in stile alpino. Qual è la tua idea alla base dell’apertura di nuove vie?

L’idea di aprire una nuova via è quella di condividere la propria esperienza con gli altri, come ha fatto la vecchia generazione. In Iran c’era una mancanza di vie da scalare. Così ho iniziato ad aprire vie più difficili per me stessa e per condividerle con gli altri. In Iran non sono in molti a chiodare. Ma chi apre nuove vie aiuta la comunità a crescere. Qui in Europa la situazione è diversa, tante persone aprono vie nuove e ce ne sono fin troppe. Qui il mio obiettivo è cambiato. Voglio sensibilizzare l’opinione pubblica e far risuonare la voce della libertà e dei diritti umani attraverso le montagne. Per questo ho deciso di aprire nuove vie in ogni Paese e di dedicare i loro nomi ai movimenti per i diritti delle donne e i diritti umani. Sono stanca delle comunità di arrampicatori che definiscono i diritti umani una questione politica.

Hai detto di amare l’arrampicata perché è “democratica”. In che senso?

Perché la gravità non ci chiede la nostra nazionalità o il nostro sesso. Come ho detto nel mio film, la gravità ci trascina tutti verso il basso con la stessa forza.

Tu e il tuo compagno non siete potuti tornare in Iran dopo la rivoluzione di settembre. Vi piacerebbe tornare un giorno?

Tutti vorrebbero tornare in patria. Ma io ho vissuto lì per 40 anni cercando di cambiare il mio ambiente e rischiando la mia vita. Sono stata arrestata diverse volte. Le donne sono sempre state  ignorate e ora non ne posso più. Voglio parlare ed essere la voce che difende la libertà e i diritti umani. Se avrò sia l’energia che il coraggio li userò per il bene della mia patria.

Ora dove andrai o dove vorresti andare?

Continuare la mia vita, arrampicare, lavorare, studiare, sensibilizzare.

Che progetti hai per la stagione invernale?

Gli stessi che faccio nelle altre stagioni, quindi ancora  arrampicare, lavorare, studiare, sensibilizzare. Probabilmente sarò più impegnata con la stesura del mio libro, che sarà pubblicato a breve.

Hai un sogno (non necessariamente legato all’arrampicata) che vedi come “lontano” ma che speri di poter realizzare un giorno?

Il mio sogno è che l’intera umanità si unisca contro la pratica dei matrimoni tra minorenni.  In Iran abbiamo un numero molto alto di matrimoni infantili, così tante ragazze si ritrovano incinte già all’età di 10 anni o poco più. Ignorare queste cose è un crimine. Dovremmo tutti opporci a qualsiasi religione o ideologia che legittimi cose del genere. Il mio sogno è che un giorno non ci siano più matrimoni infantili nel mondo.

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