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Everest 1953, il ritorno. L’orgoglio dell’Impero contro quello dell’Asia

Ottava puntata dello Speciale "Everest 1953"

Nessuna spedizione finisce con l’arrivo sulla vetta, e nemmeno con il ritorno al campo-base. La conquista dell’Everest, che avviene il 29 maggio del 1953, viene celebrata dagli alpinisti di tutto il mondo e viene festeggiata a Londra come l’ultimo trionfo dell’Impero britannico. Ma il mondo è cambiato dai tempi di Sir Francis Younghusband e di George Mallory, nel 1947 l’India e il Pakistan sono diventati indipendenti, e ora aspirano a un ruolo globale. È una storia che ritroveremo nel 1954, un anno dopo l’Everest, con la spedizione italiana al K2. Sugli 8848 metri della cima più alta della Terra, come scriverà l’alpinista inglese Pete Boardman, Tenzing è diventato “il primo asiatico di umili origini a raggiungere una fama globale”. Quando la spedizione torna a Kathmandu e poi in India, John Hunt, Edmund Hillary e gli altri devono fare i conti con questa nuova realtà. Sono giornate in cui succede di tutto.

Nei primi giorni dopo la vittoria sull’Everest, è soprattutto l’Occidente a festeggiare. Il 2 giugno, grazie al telegramma cifrato di James Morris, la notizia che esce sul Times accompagna l’incoronazione di Elisabetta II. Si brinda negli Stati Uniti, in Canada e in Australia, nella Nuova Zelanda di Hillary, nei paesi europei di salde tradizioni alpinistiche come la Francia, l’Austria, la Germania e l’Italia.

Quando l’aereo che riporta la spedizione a casa fa scalo a Zurigo, si congratulano sportivamente con John Hunt e con gli altri René Dittert, Edouard Wyss-Dunant e altri componenti del team svizzero che si è fermato a 8600 metri di quota. Nel 1956, una spedizione elvetica compirà la seconda e la terza ascensione dell’Everest e salirà il Lhotse, la quarta vetta della Terra.

Nel Regno Unito la conquista ha un effetto straordinario. La guerra è stata durissima, l’Impero si sta sfaldando, la vittoria sul “Terzo Polo” è un momento di orgoglio nazionale. The Ascent of Everest, il libro di Hunt che racconta la spedizione, vende milioni di copie in tutto il mondo, ma è scritto da un inglese e per gli inglesi.

I diritti d’autore del libro e del film, con le splendide immagini di Tom Stobart, permettono di dar vita alla Mount Everest Foundation. Un ente con sede a Londra, e che finanzierà centinaia di spedizioni “di particolare valore alpinistico ed esplorativo”, compiute da britannici e neozelandesi in tutto il mondo. Nel suo logo, ancora oggi, campeggia l’immagine di Tenzing con la piccozza alzata. Ma gli Sherpa restano ancora una volta ai margini.

 

Nel giugno del 1953, quando gli alpinisti tornano verso Kathmandu con un trekking reso faticoso dal monsone, si accorgono che esiste un punto di vista diverso dal loro, e che non è solo l’Union Jack, la bandiera britannica a sventolare.  Hunt precede il gruppo camminando a tappe forzate, il 20 giugno, tre settimane dopo la conquista della vetta, la squadra arriva a Bhaktapur. E scopre, dopo mesi di armonia, che la conquista dell’Everest è al centro di aspre polemiche.

Già negli ultimi giorni del trekking, gli alpinisti notano dei “personaggi dall’aria losca” che confabulano con Tenzing e cercano di fargli firmare dei documenti. All’arrivo a Bhaktapur e poi a Kathmandu, gli evviva sono tutti e solo per lui. Lo Sherpa viene portato in trionfo, sui muri delle case appaiono decine di striscioni.

C’era Tenzing, in cima a una montagna, con la bandiera nepalese in mano. Dietro di lui, una corda scendeva verso un uomo sdraiato sulla schiena, con le braccia e le gambe in aria. Ero io!”, scriverà Hillary nella sua autobiografia. Non gli piace ma se ne fa una ragione, poi capisce che le colpe vanno equamente divise. 

 

Re Tribhuvan non è stato felice di ricevere da Londra, e non con un dispaccio da Namche, la notizia della vittoria su una montagna nepalese, e risponde allo sgarbo britannico con il suo. A Kathmandu, di fronte a 100.000 persone, il sovrano annuncia al suo popolo che lo Sherpa è arrivato in cima per primo. John Hunt si arrabbia, e peggiora ulteriormente le cose.

All’arrivo a Kathmandu, per spiegare agli alpinisti che troveranno un’atmosfera difficile, Hunt li mette in guardia perché “la zona pullula di comunisti”. L’indomani, mentre i giornali e le radio nepalesi e indiane, insieme agli striscioni, gridano che lo Sherpa ha issato di peso il compagno, il colonnello fa firmare a Hillary e a Tenzing una dichiarazione. Scrive che i due hanno raggiunto la cima “quasi insieme”. Ma quel “quasi”, almost in inglese, permette ancora di scrivere che lo Sherpa è arrivato per primo.

In un’intervista, alla domanda sulle capacità alpinistiche di Tenzing, Hunt risponde che lo Sherpa “è un ottimo alpinista, nonostante la sua esperienza limitata”. Un giudizio che ha l’effetto di un secchio di benzina sul fuoco del nazionalismo della stampa. “Avrei detto semplicemente che Tenzing è un eccellente alpinista” commenterà anni dopo Hillary.

 

A Kathmandu, al contrario che all’andata, gli Sherpa non dormono in un garage, ma in una guest-house di proprietà del governo del Nepal. Qualche giorno dopo all’Ambasciata britannica si tiene un ricevimento, Tenzing non ci va, ma poi chiede scusa ai compagni. Ai primi di giugno, all’arrivo al monastero di Tengboche, lo Sherpa riceve un telegramma da Churchill. Ma quando chiede di inviare un messaggio alla moglie, Morris e Hunt lo ignorano, e ad aiutarlo è Charles Wylie.

All’arrivo a Londra, Hunt e Hillary vengono nominati Knights of the British Empire, baronetti dell’Impero, mentre a Tenzing va solo una medaglia. “Qualcuno ha detto che indiani e nepalesi non avrebbero potuto accettare il titolo, ma non credo che sia vero. Se Tenzing fosse diventato baronetto, avrebbero applaudito tutti”, commenterà Sir Edmund Hillary.

I problemi tra Tenzing e gli altri si manifestano soprattutto nei rapporti con la stampa. Britannici e neozelandesi, prima di partire, hanno firmato un contratto che li impegna a non turbare l’esclusiva del Times. Quando l’inviato di una testata concorrente offre a Hillary 10.000 dollari per un articolo, questi si libera dell’intruso con una serie di “no” e poi con un pugno in faccia. Tenzing, invece, non ha firmato nulla. Si fa intervistare da James Burke di Life, che ha acquistato i diritti dal Times, poi parla liberamente con la stampa. La United Press gli propone un contratto per una serie di articoli, e lui accetta facendo arrabbiare un’altra volta John Hunt. “Per la prima volta nella mia vita potevo guadagnare bene, non vedo perché non avrei dovuto accettare”, scriverà.

 

Qualche giorno dopo, quando atterra a Calcutta e a New Delhi, per Tenzing inizia un’altra difficile prova. È nato nel Khumbu, a diciott’anni si è trasferito a Darjeeling. “Non ho mai avuto un certificato di nascita, fino al 1953 non avevo un passaporto”, spiegherà. Ora però Jawaharlal Nehru, primo ministro dell’India, gli chiede di scegliere New Delhi invece di Kathmandu. Lo Sherpa accetta, e fa bene.

Un anno dopo, diventa direttore dello Himalayan Mountaineering Institute, la scuola nazionale di alpinismo che nasce per volere di Nehru. Il primo ministro, che è un politico consumato, lo convince a partire per Londra con i neozelandesi e gli inglesi, portando con sé la famiglia. Oggi a Darjeeling i monumenti a Tenzing sono molti. I cimeli più belli sono nella sua casa-museo, custodita dal figlio Jamling che ha salito l’Everest nel 1966.

A rifare dell’Everest un simbolo di amicizia, negli anni, provvede Sir Edmund Hillary. Per sdebitarsi con gli Sherpa, il neozelandese lavora per migliorare le loro condizioni di vita. Sono opera del suo Himalayan Trust i ponti su decine di fiumi tumultuosi, le scuole dei villaggi degli Sherpa, l’aeroporto di Lukla e il piccolo ospedale di Khumjung.

 

Nel 1984 il primo ministro neozelandese David Lange nomina Hillary ambasciatore a New Delhi e a Kathmandu. Grazie al suo lavoro, la Nuova Zelanda aiuta il Nepal a far nascere il Sagarmatha National Park, che tutela l’Everest e le sue valli. Quando negli anni Ottanta un incendio distrugge il monastero di Tengboche, Sir Edmund raccoglie i fondi per la ricostruzione. Quando si spegne, nel 2008, le sue ceneri vengono in parte disperse nella baia di Auckland, e in parte trasferite in un monastero nepalese.

Qui la prima puntata. 

Qui la seconda puntata.         

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