Perchè ci facciamo i selfie (in montagna)? Uno studio ne parla
I selfie in montagna? “Servono a ricordare il significato del momento”
Perché scattiamo foto di ogni cosa che facciamo e scattiamo foto di noi stessi mentre facciamo quelle cose? Perché al ristorante fotografiamo i piatti che stiamo per mangiare, e ci facciamo un selfie arrivati in cima a una montagna, durante un’escursione o alla fine di un’escursione?
La risposta è apparentemente semplice: lo facciamo non solo per conservarle ma soprattutto per vanità, per pubblicare queste immagini sui social network, farle vedere ad amici, conoscenti e sconosciuti e per alzare la nostra autostima. Un po’ è così, ma non è solo così.
I selfie per la mente, le foto per il fisico
Secondo un documento pubblicato sulla rivista Social Psychological and Personality Science, che raccoglie i risultati di 6 studi condotti su un totale di oltre 2100 persone, analizzati da un gruppo di esperti guidati da Zachary Niese dell’Università tedesca di Tubinga, amiamo tanto i selfie perché le foto che sembrano scattate da terze persone ci aiutano a cogliere con più precisione il significato di un particolare momento della nostra vita e a ricordarcelo quando le rivediamo. Viceversa, le foto fatte dalla nostra prospettiva personale (quelle che facciamo a un paesaggio, a un’altra persona, al solito piatto al ristorante) aiuterebbero a ricordare le sensazioni fisiche provate durante un evento.
Niese ha ricordato che “scattare e postare fotografie fa parte della vita quotidiana di molte persone” e che “anche se talvolta queste pratiche vengono derise, le fotografie personali possono aiutare le persone a riconnettersi con le esperienze passate e costruire la narrazione di loro stesse”. Insomma: quando condividiamo qualcosa su Facebook o Instagram, non lo facciamo solo per vanità o per farci notare dagli altri, ma anche per noi stessi.
L’esempio del ristorante aiuta a capire: un primo piano del piatto che abbiamo davanti può raccontare (e ricordare) l’acquolina in bocca provata nel vedere e annusare quello che ci è stato servito. Un selfie che ci ritrae mentre mangiamo quello stesso piatto insieme con il partner, un’amica o comunque una persona cara, dovrebbe servire a raccontare e ricordare un momento di condivisione e convivialità.
“Un istinto naturale” per scegliere l’angolo giusto
In montagna il meccanismo è più o meno lo stesso. La foto scattata a un panorama, magari conquistato con difficoltà, serve a ricordare non solo la bellezza del luogo ma pure le sensazioni provate per arrivarci; un selfie fatto sulla vetta, al termine di un’arrampicata, è utile (anche) per vedere com’eravamo in quel momento, iniziando dalle condizioni fisiche in cui ci si trovava. Che a loro volta richiamano le emozioni percepite durante l’ascesa. Non mancano però, purtroppo, casi di persone che sono precipitate in montagna o hanno avuto gravi incidenti perchè erano impegnati a scattarsi dei selfie.
Niese ha fatto anche notare un’altra cosa interessante. “Abbiamo scoperto che le persone hanno sviluppato un istinto naturale nello scegliere la prospettiva da cui scattare per ottenere esattamente quello che vogliono dalla foto”, come se negli anni la nostra specie si fosse evoluta per riuscire al meglio in questa pratica.
Non funziona sempre tutto alla perfezione, però. A volte succede di sbagliare prospettiva: secondo i ricercatori, sarebbe proprio dalla discrepanza tra il punto di vista utilizzato e l’intento dello scatto che deriverebbe il senso di insoddisfazione che talvolta assale riguardando alcune foto. Come sa benissimo chi ha la galleria fotografica dello smartphone piena, piena, piena di selfie.