AlpinismoAlta quota

“Ci ha aperto un nuovo orizzonte”. Jacopo Larcher racconta la spedizione su Eternal Flames

È passato poco più di un mese dallo scorso 23 luglio quando Jacopo Larcher e Barbara Zangerl sbucavano in vetta alla Nameless Tower (6239 m), nelle Torri di Trango, dopo la terza ripetizione in libera della mitica Eternal Flame, la via aperta nel 1989 da Wolfgang Güllich, Kurt Albert, Christof Stiegler e Milan Sykora. Ma nonostante il lungo viaggio in Pakistan e la fatica per l’impresa straordinaria, non si sono concessi nemmeno un giorno di vacanza ricominciando a scalare come se nulla fosse, appena tornati a casa. Queste settimane sono comunque servite per elaborare, sull’esperienza vissuta, una serie di riflessioni a freddo che Jacopo ha voluto condividere con noi, al di là dei commenti a caldo affidati ai social.

Perché Eternal Flame?

È una via iconica – racconta Jacopo con il suo tono pacato e meditato – per il luogo in cui è stata aperta, la valle del Baltoro, per la bellezza della roccia e per la visione che hanno avuto gli apritori. All’epoca, l’idea di scalare su gradi così elevati a oltre 6 mila metri di quota, era stata rivoluzionaria. Per noi era una nuova direzione da imprimere al nostro alpinismo. Avevamo già tentato durante l’estate del 2021, ritirandoci dopo i primi due tiri per maltempo. Quest’anno siamo stati più fortunati realizzando la libera lungo la variante salita dai fratelli Huber nel 2009 che aggira i passaggi più duri aperti in artificiale, raggiungendo comunque il 7c+.

Come vi siete mossi in parete?

Sempre secondo il nostro stile, cioè in libera a tiri alternati, tranne le 4 lunghezze chiave che abbiamo liberato entrambi da primi. Non abbiamo dichiarato la salita a vista perché avevamo già scalato le prime due lunghezze l’anno scorso, ma abbiamo comunque effettuato l’intera scalata in progressione, senza cadere né da primi né da secondi. In tutto ci abbiamo messo 6 giorni, dormendo sulle due principali cenge che tagliano la parete.

Due giorni prima di voi, lo spagnolo Edu Marin ha effettuato la seconda salita in libera della via. Eravate in contatto, vi siete incontrati?

Abbiamo condiviso un’emozionante notte insieme alla Snow Ledge, la seconda cengia, incrociandoci mentre lui era in discesa dopo il successo e noi impegnati nell’ultima parte. In realtà ci eravamo già incontrati nel 2021 durante i rispettivi tentativi precedenti. I rapporti erano all’insegna della massima amicizia: lo scorso marzo ci eravamo sentiti per scambiare informazioni sui programmi estivi. Abbiamo anche collaborato fattivamente perché la sua squadra ha piazzato le corde fisse che noi avevamo lasciato l’anno scorso. E noi abbiamo ripulito la montagna alla fine. Entrambe le nostre spedizioni erano seguite da operatori che avevano bisogno di muoversi rapidamente in parete per le riprese.

Come vi siete preparati per la quota?

In realtà non abbiamo seguito un programma specifico, tranne potenziando l’allenamento aerobico. Prima di partire abbiamo usato la tenda Hypoxico che aiuta l’organismo ad abituarsi alla carenza di ossigeno, ma per poco perché alcuni giorni prima della partenza ci siamo ammalati di Covid-19 e sottoporre il fisico a un ulteriore stress ci sembrava esagerato. Sul posto, Babsi ha sofferto i tipici sintomi dell’alta quota: mal di testa, inappetenza e insonnia. Ma per fortuna in forma molto leggera che non ha compromesso la scalata.

Le conseguenze di un’estate caldissima nelle Alpi si sono percepite anche in Karakorum?

Sì, abbiamo trovato condizioni davvero eccezionali con lo zero termico che tutti i giorni si attestava intorno ai 5900 metri di quota. Da un lato ci ha favoriti garantendoci una lunga finestra di tempo stabile, ma dall’altro ci ha fatto trovare la parete spesso bagnata, soprattutto sotto la Snow Ledge. Alcuni giorni avevamo appena un paio d’ore a disposizione per scalare: dovevamo aspettare che il sole sciogliesse il ghiaccio dalle fessure, ma in breve iniziavano le colate di acqua.

La considerate come la vostra impresa più difficile?

Direi che è stata l’esperienza più completa. L’arrampicata ha occupato solo una piccola parte perché ci siamo trovati al cospetto di montagne enormi e bellissime affrontando tante difficoltà inedite come preparativi e logistica complessi, condizioni meteo difficili da interpretare, l’incognita dell’alta quota. Senza dimenticare la dimensione del viaggio per raggiungere le Torri del Trango, attraverso villaggi poverissimi dove siamo sempre stati accolti da persone di una gentilezza inimmaginabile. In generale ci ha aperto un nuovo orizzonte, una nuova strada che vogliamo seguire nel nostro modo di arrampicare e vivere l’alpinismo.

Tu e Barbara siete una fortissima cordata, oltre che un’affiatata coppia nella vita di tutti i giorni. Come si è arricchita la vostra relazione?

È difficile rispondere così, su due piedi. Questa era la prima spedizione che abbiamo affrontato insieme: condividere un’esperienza così forte con la persona che ami rende tutto più bello e intenso.

Progetti per il futuro?

In autunno andrò in Yosemite ma non siamo ancora sicuri che Babsi riesca a venire con me per un semplice motivo: non sappiamo a chi lasciare il nostro cane da cui ci siamo già separati per oltre un mese questa estate. Sicuramente torneremo in Pakistan, ma non nell’immediato. E poi seguiremo la preparazione del film di Jonathan Faeth e Austin Siadak che ci hanno ripresi durante tutta la scalata di Eternal Flame.

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Un commento

  1. Cavoli che bravi anche loro, come arrampicatori a me piacciono molto !!!

    …..”Abbiamo anche collaborato fattivamente perché la sua squadra ha piazzato le corde fisse che noi avevamo lasciato l’anno scorso. E noi abbiamo ripulito la montagna alla fine. Entrambe le nostre spedizioni erano seguite da operatori che avevano bisogno di muoversi rapidamente in parete per le riprese.”…..

    Che lavoro !!!
    Però un po’ di felicità scalando così si perde !?!?!?

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