Cronaca

I grandi incendi si combattono con la prevenzione

Sono stati domati gli incendi che hanno devastato la Sardegna. In oltre 60 ore sono andati in fumo 20mila ettari di terreno mentre sono migliaia gli animali che hanno perso la vita. Uno degli incendi più vasti tra quelli che negli ultimi 40 anni hanno interessato la penisola, ci confida Giorgio Vacchiano ricercatore in selvicoltura e pianificazione forestale dell’Università degli Studi di Milano. Quello su cui oggi bisogna riflettere non è tanto l’innesco dell’incendio, ma come prevenire in futuro altri eventi di simile portata. Questo perché le conseguenze non riguardano solo il momento e i tanti ettari di bosco andati in fumo, ma hanno anche ricadute sulla futura salute del territorio, su quella umana e su quella dell’ambiente in generale.

Cosa è successo in Sardegna?

“È successo che un’ondata di caldo e siccità ha avvolto tutto il sud Italia, permanendo ancora oggi, combinandosi con un forte vento di scirocco. Per un incendio questa combinazione di fattori è unica perché gli consente di propagarsi velocemente offrendogli ‘da mangiare’ grazie alla vegetazione seccata dalle condizioni meteo.”

Perché l’incendio parta serve però un innesco…

“Esatto, deve essere innescato. Nel caso specifico della Sardegna per comprendere quanto accaduto bisogna attendere l’esito delle indagini in corso. In questi giorni sento molti affermare come un incendio di questa portata non possa essere stato generato da un singolo innesco e per questo si dovrebbero ipotizzare più inneschi simultanei alludendo all’origine dolosa. In realtà quando un incendio assume grosse dimensioni è possibile che questo sia in grado di autorigenerarsi.”

Cosa intende?

“È come se l’incendio si riproducesse per gemmazione, con i tizzoni ardenti che vengono trasportati dal vento a grandi distanze dando origine a nuovi focolai che poi si vanno a ingrandire. Spesso poi, con incendi di questa dimensione, è lo stesso incendio ad alimentare un vento capace di trasportare i tizzoni.”

Ci diceva all’inizio che si tratta dell’incendio più grande verificatosi negli ultimi 40 anni in Italia…

“Sì, un incendio che supera la capacità di essere controllato, che rende impossibile il lavoro delle squadre perché progredisce a una velocità troppo grande. Questo spiega la superficie ‘conquistata’ dall’incendio. Non è un passaggio lineare da incendio controllabile a incontrollabile, c’è un gradino oltre il quale non è più possibile gestirlo.”

A cosa dobbiamo fenomeni di questa portata?

“Alla collaborazione di più fenomeni e di tanti dettagli che non funzionano. Più cose vanno storte, più difficile sarà gestire la situazione.

Primo fattore che ha portato a un evento del genere è il cambiamento climatico in atto. Per una settimana sulla Sardegna ha insistito un’intensa ondata di calore, ampiamente prevista con diffusione dell’allerta incendio. Il cambiamento climatico sta portando a un aumento della persistenza di questi fenomeni che restano stazionari sulla stessa area per più tempo, portando al verificarsi di condizioni estreme. Vediamo per esempio quanto accaduto qualche settimana fa in Germania, colpita da violenti nubifragi, o in Canada a inizio luglio, quando un’ondata di calore ha dato il la a vasti e disastrosi incendi.

Se il cambiamento climatico è un fattore di influenza globale, il secondo ha carattere locale ed è legato alla prevenzione. Siamo a conoscenza della possibilità che si verifichino eventi di questa portata, cerchiamo allora di far sì che questi creino meno danni possibili sia perché il bosco ci serve, sia per evitare tutti i possibili ulteriori problemi che gli incendi comportano. Per fare questo si può agire in modo preventivo sulla vegetazione facendo sì che il fuoco non abbia facilità di propagazione: aumentare la distanza tra gli alberi, aprire viali tagliafuoco, ridurre il tipo di vegetazione che brucia con maggiore facilità. Sistemi che è impossibile applicare su grandi superfici, ma che possiamo realizzare in modo mirato.”

Come applicarli in modo mirato? Possiamo sapere dove avverrà un incendio?

“Abbiamo strumenti sufficienti per comprendere quali siano i punti di maggior rischio ed effettuare interventi chirurgici. Sappiamo che in determinate aree il vento si incanala in un certo modo, conosciamo i versanti, il tipo di vegetazione. Incrociando questi parametri comprendiamo dov’è meglio intervenire. Intervenire per aumentare la resistenza del bosco e migliorare la sua capacità di autorigenerarsi dopo eventi di questo tipo. All’interno del parco del Vesuvio, colpito da un incendio nel 2017, interventi di questo tipo hanno permesso la sopravvivenza del 90% degli alberi. Cosa non da poco perché consente di ri-colonizzare l’area in un tempo breve, grazie alle piante superstiti.”

La presenza di manufatti umani può incidere o meno sull’incendio?

“Assolutamente, ed è quel fattore che io chiamo ‘vulnerabilità’. La meteo e la vegetazione forniscono un grado di rischio mentre, a parità di comportamento, molto dipende dalla nostra esposizione. Se ci sono paesi, campeggi, strutture turistiche, strade ad alta percorrenza o altri manufatti bisogna lavorare sull’esposizione, soprattutto nelle zone strategiche. Esistono tecniche di autoprotezione dove la vegetazione viene tenuta molto rada ne pressi di questi punti di vulnerabilità, in modo che le fiamme non possano raggiungerli.”

Un evento con la portata di quello che si sta verificando in Sardegna  che tipo di conseguenze avrà, oltre a quelle ovvie che stiamo osservando?

“Direi che esistono tre ordini di conseguenze. Prime sono quelle che interessano il clima perché un incendio emette anidride carbonica, parliamo di numeri che non sono nemmeno paragonabili a quelli normalmente emessi dalla Sardegna come Regione ma il nostro obiettivo è diminuire la quantità di anidride carbonica rilasciata nell’aria. In più, oltre alle emissioni dirette abbiamo quel periodo in cui la foresta non la assorbe più perché il terreno che ha subito l’incendio necessita di tempo prima di essere nuovamente colonizzato. Studi hanno dimostrato che in Europa entro 5 anni qualche tipo di vegetazione ritorna, ma parliamo di erba e arbusti… perché si ricostituisca una foresta serve molto più tempo. Infine, ma non meno importanti, abbiamo tutti i problemi di dissesto idrogeologico che interessano i terreni alle prime piogge dopo gli incendi. Le piogge portano il terreno a scivolare verso valle, vere e proprie colate di fango che, abbiamo visto negli ultimi anni, possono creare seri problemi ai centri abitati di valle e alle altre strutture umane.”

Quando l’emergenza sarà rientrata cosa si potrà fare per ripristinare il territorio?

“La prima cosa da fare è valutare bene ogni intervento, ragionarci per tempo e discuterne attorno a un tavolo di lavoro. Quanto fatto in Piemonte dopo gli incendi del 2017 è pratica da imitare. Si è creato un tavolo di lavoro valutando insieme a Regione, università, amministratori locali e consorzi forestali le azioni da compiere. Ognuno ha portato la sua esperienza permettendo di comprendere dove fossero necessari gli interventi. Un lavoro di questo tipo è fondamentale sia perché non ci sarebbero le risorse finanziare sufficienti per poter intervenire in maniera omogenea su tutta l’area interessata dall’incendio, sia perché è fondamentale operare rapidamente lì dove la situazione è maggiormente critica. Per fare un esempio pratico in Valle di Susa è stato prioritario effettuare lavori su alcuni boschi di protezione che impedivano il rotolamento di massi e proteggevano gli abitati di valle dalle valanghe. Qui non ti puoi permettere di attendere anni che il bosco ricresca.”

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2 Commenti

  1. I grandi incendi si combattono eliminando i PIROMANI !!!
    In più,sarebbe opportuno iniziare una sana educazione nelle scuole, dalle elementari in poi.
    Altrimenti ci saranno sempre questi personaggi che per non so quale motivo, attaccano l’incendio.

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