AlpinismoStoria dell'alpinismo

18 maggio del 1921, parte la prima spedizione all’Everest

La storia dell’alpinismo sull’Everest inizia cento anni fa, il 18 maggio del 1921. Quel giorno, la prima spedizione britannica lascia i comfort di Darjeeling, la cittadina celebre per le sue piantagioni di tè che sorge a duemila metri di quota, sulle alture del Bengala. Non è una partenza solenne. La stagione è avanzata, e le piogge torrenziali del monsone sono arrivate da tempo sulle colline. Più in basso, nelle valli dei fiumi Teesta e Ranjit, diluvia con violenza. Nei giorni precedenti alpinisti e topografi hanno visto in lontananza il Kangchenjunga, la terza montagna della Terra, affiancato dal Kabru e da altre grandi vette innevate. 

La mattina del 18 maggio, quando George Mallory, Oliver Wheeler e Alexander Wollaston partono insieme a cinquanta muli e a un centinaio di portatori, piove senza pietà. I tre sahib cavalcano dei pony, tutti gli altri vanno a piedi. La scena si ripete l’indomani, quando il capospedizione Charles Howard-Bury e gli altri britannici lasciano a loro volta Darjeeling, insieme al secondo gruppo di portatori carichi. 

Se si bada alla topografia, la storia della cima più alta della Terra inizia nel 1846, quando gli uomini del Survey of India puntano i loro teodoliti verso una cima che indicano come Peak XV. La chiusura dei confini del Nepal li costringe a lavorare da 170 e più chilometri di distanza. Per dare a quella montagna una quota ufficiale (29002 piedi, pari a 8839,80 metri) servono dieci anni di calcoli. Subito dopo la Royal Geographical Society decide di trascurare il nome locale Chomolungma, e di dedicare la vetta a Sir George Everest, il primo direttore del Survey. 

L’alpinismo himalayano nell’Otto e Novecento

L’alpinismo himalayano inizia negli anni tra l’Otto e il Novecento, con il tragico tentativo di Albert Frederick Mummery al Nanga Parbat e le prime esplorazioni verso il Kangchenjunga e il K2. Nel 1883 il britannico Clinton Dent, autore della prima ascensione del Grand Dru, ha scritto che tentare l’Everest è possibile. Ma la chiusura dei confini del Nepal e del Tibet blocca qualunque tentativo. Le cose cambiano nel 1904, quando una piccola invasione di truppe inglesi e indiane, fa del Tibet quasi un protettorato dell’India britannica. Nel 1912, in Antartide, i norvegesi di Roald Amundsen arrivano per primi al Polo Sud battendo Robert Falcon Scott e compagni, e questi ultimi muoiono di freddo e stanchezza al ritorno. L’Everest è un’ottima occasione per rifarsi.   

Nel 1919, dopo la fine dei massacri della Grande Guerra, l’esploratore Francis Younghusband, il primo occidentale a vedere da vicino il K2, diventa presidente della Royal Geographical Society. Si augura che il primo uomo a salire sulla vetta “sia un inglese, o almeno uno scozzese”, spiega di volere che “l’avventura all’Everest sia l’elemento centrale della mia presidenza”. A fine giugno il capospedizione designato, il tenente colonnello Charles Howard-Bury, parte per l’India. A Simla, la capitale estiva del Raj, incontra il political officer Charles Bell, che tiene i contatti con il governo tibetano. Il 20 dicembre del 1920, con un telegramma partito da New Delhi, arriva a Londra il permesso del Dalai Lama. 

I membri della spedizione

La notizia diventa pubblica il 10 gennaio, e i giornali britannici si scatenano. Poi il Mount Everest Committee, il gruppo di lavoro della Royal Geographical Society e dell’Alpine Club, si dedica a cercare i fondi per la spedizione, e a selezionare i suoi membri. Fanno parte del gruppo giovani (e meno giovani) che tra il 1914 e il 1918 hanno partecipato ai terribili combattimenti sul Fronte occidentale, e uomini della generazione precedente, che hanno percorso l’Himalaya tra l’Otto e il Novecento. E’ un reduce il capospedizione Howard-Bury, che ha combattuto a Ypres e ad Arras e ha finito la guerra nel campo di concentramento tedesco di Ravensbrück. Si è imbarcato con la Royal Navy il medico e botanico Alexander Wollaston. George Mallory, l’alpinista più famoso del gruppo, è stato un ufficiale della Royal Artillery, e ha visto morire amici e coetanei. Non hanno conosciuto la trincea Guy Bullock, che è un diplomatico di carriera, il geologo Alexander Heron, e i topografi Henry Morshead e Oliver Wheeler, in forza al Survey of India. Alexander Kellas, alpinista e fisiologo scozzese, durante la guerra ha messo a punto i primi respiratori a ossigeno per i piloti britannici. Il capo della parte alpinistica è Harold Raeburn, compagno di cordata di Mummery e autore di belle imprese sulle Highlands e nel Caucaso. Secondo lo storico Walt Unsworth, è diventato “un vecchio scontroso e irritabile”. 

La partenza da Darjeeling

Alpinisti e topografi si ritrovano nei primi giorni di maggio a Darjeeling, dove Lord Ronaldshay, il governatore del Bengala, organizza un banchetto in loro onore. Vengono arruolati una quarantina di sherpa, il sikkimese Gyalzen Kasi viene scelto come sirdar, il capo della carovana. Dopo la partenza la spedizione segue un’antica carovaniera che collega l’India con il Sikkim. Fa caldo e piove, Mallory si ripara con una mantella da ciclista e un ombrello. Oltrepassato il confine si inizia a salire, sotto la pioggia, in una foresta colorata dalle orchidee selvatiche. Scavalcati i 4300 metri del Jelep La si entra in Tibet, e il monsone diventa un ricordo. Si continua in quello che Mallory definisce “un arido bacino grigio”, “un mondo diverso, infinitamente più rude” della foresta che lo aveva incantato. Poi si scavalcano il Tang La, in vista dei 7326 metri del Chomolhari,  e il Donkar La, dove si superano per la prima volta i 5000 metri. 

Poi la tragedia colpisce. Alexander Kellas, che era stanco già prima di partire e ha sofferto dalla partenza, si accascia prima del Donkar La,  viene portato in barella dai portatori, si spegne. Intanto gli altri britannici vanno a caccia di gazzelle e di bharal, le antilopi himalayane. Kellas viene sepolto l’indomani, con una semplice cerimonia, al margine della pianura di Khampa Dzong, in vista del Pauhunri, di cui lo scozzese ha compiuto la prima ascensione, e della lontana cima dell’Everest. Il suo nome è il primo del lungo elenco dei caduti nella corsa al “Tetto del Mondo”. 

George Mallory, in una lettera alla moglie Ruth, si pente di quell’addio frettoloso al compagno. “E’ sconvolgente che nessuno di noi gli fosse accanto. Puoi immaginare qualcosa di meno adatto per una spedizione di alpinisti? Questa cosa mi ha reso molto infelice, e mi fa vergognare ancora oggi”. 

Un anno dopo, quando una valanga sotto al Colle Nord costerà la vita a sei portatori sherpa e tibetani, Mallory avrà toni altrettanto contriti. Poi, nel 1924, sarà lui a morire, insieme ad Andrew Irvine, ormai in vista degli 8848 metri della cima.  

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