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Nanga Parbat, otto anni fa la prima invernale

Era il 26 febbraio 2016 quando Simone Moro, Alex Txikon e Ali Sadpara raggiunsero per primi la vetta del Nanga Parbat in inverno. Un’impresa storica.

Ha retto per trent’anni agli “assalti” dei migliori himalaysti al mondo, senza mai cedere d’un passo. Poi, tutto è sembrato semplice e naturale. La via attrezzata, pulita, condizioni meteo perfette, salita tranquilla fin sulla vetta e poi giù verso il campo base.

Era il 26 febbraio 2016 quando Simone Moro, Alex Txikon e Ali Sadpara hanno raggiunto per primi la vetta del Nanga Parbat in inverno. Un’impresa storica che ha riportato l’alpinismo sulle prime pagine dei quotidiani nazionali.

Dopo tempo le notizie provenienti dalle grandi montagne del Pianeta sono positive, raccontano di un successo. Un successo con qualche macchia, con qualche turbolenza da campo base, come spesso accade in queste occasioni. La stessa prima salita del Nanga Parbat, nel lontano luglio del 1953, si è sporcata di polemiche e battibecchi. Al K2, l’ultima grande sfida dell’himalaysmo invernale, è andata ancora peggio nel 1954. È l’alpinismo, va così.

L’inverno 2015/2016

Affollato il Nanga Parbat nel corso dell’inverno 2015/2016. All’inizio della stagione sono cinque le spedizioni presenti al campo base. Sulla via Messner-Eisendle troviamo due cordate: quella italiana, composta da Simone Moro e Tamara Lunger, e quella franco-polacca, formata da Tomek Mackiewicz ed Elisabeth Revol. Altre due si muovo sulla via Kinshofer con due approcci drasticamente diversi: i polacchi Adam Bielecki e Jacek Czech vorrebbero salirla in stile alpino, mentre la spedizione internazionale composta da Alex Txikon, Daniele Nardi e Ali Sadpara si è organizzata per scalare la montagna in modo classico, fissando corde fisse e campi. Sul versante Rupal della montagna si trovano infine i ragazzi del Nanga Dream “Justice for All”.

L’inverno in Himalaya richiede pazienza e con il tempo arrivano le prime rinunce. I primi a battere in ritirata sono Tomek ed Elisabeth, dopo aver fallito a 7600 metri il loro tentativo di vetta. Bielecki e Czech, vista l’impossibilità per una salita in stile alpino, scelgono di unirsi alla spedizione di Txikon e Nardi contribuendo all’attrezzatura della via fin quando Adam vola per circa 80 metri sul muro Kinshofer. Un evento che li porta alla decisione di rinunciare al Nanga Parbat. Anche Moro e Lunger, dopo aver assistito al fallimento del team franco-polacco, decidono di lasciar perdere la Messner-Eisendle aggregandosi al gruppo di Txikon. Infine, dopo un mese sotto la parete Rupal i ragazzi di “Justice for All” fanno i bagagli pronti al rimpatrio in Polonia. Rimane così un’unica grande spedizione a tentare la scalata del Nanga Parbat invernale, un gruppo disomogeneo che nell’attesa di una finestra di bel tempo mostra tutta la sua eterogeneità. Al campo base emergono contrasti e diatribe. Daniele e Simone hanno caratteri che non combaciano e in breve le loro diversità esplodono in un’accesa discussione che si allarga coinvolgendo gli altri membri del team. Alla fine Daniele si ritrova solo di fronte alla grande montagna, ritenendo estremo un tentativo in solitaria, prende così la saggia decisione di rientrare verso casa dopo aver contribuito alla preparazione della via fino a campo 3

L’attacco alla vetta

Rimasti in 4, con la via pronta fino al terzo campo, non resta che attendere una buona finestra di bel tempo per affrontare il tentativo di vetta. La cordata lascia il campo base sul versante Diamir il 22 febbraio seguendo la coda di una perturbazione. La scelta di salire quando ancora il tempo è incerto è dettata dalla necessità di incontrare meteo favorevole e vento clemente in cima alla montagna. In 10 ore raggiungono campo 2 a 6200 metri, dove poi rimangono bloccati per tutta la giornata successiva a causa dell’imperversare di una bufera. Il 24, con il migliorare delle condizioni, riescono a salire di quota arrivando a campo 3 (6700 m) e il 25 sono finalmente a campo 4 (7200 m).Circa 1000 metri il dislivello che ancora li separa dalla vetta del Nanga Parbat, ma il tempo e buono e l’umore alto. A inficiare l’impresa potrebbe però essere la scarsa acclimatazione del gruppo. A causa delle rare finestre di bel tempo avute nel corso della stagione nessuno dei componenti della spedizione è infatti riuscito a trascorrere sufficiente tempo in quota: Alex e Ali hanno fatto una rotazione a 6700 metri; Simone e Tamara ad appena 6100 metri.

Da campo 4 si vede la piramide sommitale e la cima, appare nitida e vicina, ma nella realtà dista molte ore di cammino. Per raggiungerla è necessario tempo e, come citato nelle prime righe, ad abbracciarsi sulla vetta sono stati Simone Moro, Alex Txikon e Ali Sadpara. Tamara Lunger si è invece fermata a circa 70 metri dalla fine. “Sul Nanga Parbat era stremata, si è sacrificata per noi” le dichiarazioni del compagno di cordata Moro. Il poco tempo trascorso in quota ha impedito a Tamara di acclimatarsi a sufficienza e questo l’ha indebolita lasciandole però la lucidità necessaria per scegliere saggiamente di rinunciare prima della vetta, in modo da non rallentare gli altri durante la discesa. Girati i tacchi rientra lenta verso campo 4 trovandosi, a poche decine di metri dalla tenda, di fronte a un crepaccio di mezzo metro. Tamara, nel tentativo di saltarlo, precipita per circa 200 metri e solo grazie alla neve fresca, che frena la caduta, riesce a fermarsi. “Credevo di morire” ha raccontato.

Il primo a toccare le nevi invernali del Nanga Parbat è stato il pakistano Ali Sadpara che ha deciso, una volta arrivato ai piedi della piramide sommitale, di puntare dritto alla vetta senza guardarsi indietro. Una scelta dettata forse dall’insuccesso dell’anno precedente quando, insieme ad Alex Txikon e Daniele Nardi, è arrivato ad appena 150 metri dalla fine per poi dover rinunciare a causa di un errore nell’individuazione del canalone che sale verso gli 8125 metri della montagna.

Per Alex e Ali si trattò del primo Ottomila scalato in inverno, per Simone del quarto. Con questa realizzazione Simone Moro divenne al tempo l’unico alpinista da aver raggiunto la vetta di 4 Ottomila in prima invernale: Shisha Pangma, Makalu, Gasherbrum II e Nanga Parbat.
L’impresa è stata successivamente ben raccontata nel film “La montaña desnudadi Alex Txikon: 70 emozionanti minuti da vivere con il fiato sospeso.

 

Articolo scritto da Gian Luca Gasca e pubblicato originariamente nel febbraio 2020; aggiornato dalla redazione di montagna.tv il 25 febbraio 2024.

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