Tomasz “Tomek” Mackiewicz
Lo scalatore polacco, caduto sulla montagna tanto corteggiata subito dopo averla finalmente conquistata. Una storia tormentata, finita troppo presto
Il Nanga Parbat è una grattugia per l’ego. Tomasz Mackiewicz
I polacchi lo chiamano Czapkins da Czapa – berretto – a causa della sua passione per i copricapi, anche se per tutti è Tomasz “Tomek” Mackiewicz. È stato un sognatore e un ribelle, una figura libera innamorata della vita e di una montagna: il Nanga Parbat. Si è dedicato con ostinazione alla scalata di questo Ottomila in inverno, in modo caparbio, quasi folle. Sette anni di tentativi che alla fine l’hanno portato in vetta, ma anche alla morte. Il suo corpo riposa oggi sulla montagna a una quota circa 7400 metri lungo la via Kinshofer, la normale alla montagna.
Il rapporto tra Tomek e la montagna aveva qualcosa di viscerale, di intimo e profondo. Rappresentava la ricerca di un modo per essere libero, per ritrovare nell’ascesa a quote dove l’aria si fa rarefatta il significato più profondo della vita.
La vita
Nato il 13 gennaio 1975 a Działoszyn, un piccolo centro rurale nel sud ovest della Polonia, Tomek trascorre un’infanzia felice insieme ai nonni. Forse uno dei periodi più belli per la vita dello scalatore polacco che, dopo questa prima fase si trasferisce con i genitori e la sorella maggiore nella città industriale di Częstochowa dove frequenta il liceo. In questo periodo la sua vita prende una piega amara: per lui, ragazzo di campagna, inserirsi nel contesto della città è difficile; come difficoltoso è il rapporto con il padre, alcolizzato. Tomek inizia così a rifugiarsi in se stesso, sprofondando nella depressione e trovando conforto nella droga. In quegli anni il ragazzo arriva a toccare il fondo, cancellando se stesso e la sua personalità. A dare una svolta alla sua esistenza sarà l’ingresso in uno dei centri della Comunità Terapeutica di Monar dove riesce a liberarsi del demone dell’eroina tornando alla vita.
La nuova vita di Tomek è totalmente diversa da quelle vissuta fino a quel momento. Terminato il percorso di disintossicazione parte, va in India come missionario in un centro per la cura della lebbra dove, tra le altre cose, si dedica all’insegnamento dell’inglese ai bambini ospiti del centro. Questo momento è estremamente significativo per la Tomek.
La montagna e l’arrampicata verranno dopo, in Irlanda dove lavorerà per qualche anno e dove conoscerà Marek Klonowski. In breve i due diventeranno amici e compagni di cordata, prima sulle scogliere dell’isola poi sulle montagne del mondo. La loro prima avventura insieme sarà in nord America nel 2008, alla conquista del Mount Logan (5959 m) che gli vale il premio Colossi come impresa dell’anno. Nel 2009, in solitaria, salirà il Khan Tengri (7010 m) la montagna più alta del Kazakistan.
Le poche spedizioni alpinistiche portate avanti da Tomek sono sempre andate in sordina, con poco clamore mediatico e pochi soldi. Per questo spesso cercava di racimolare il necessario alle salite attraverso il crowdfunding, soprattutto quando ha iniziato a prepararsi per il Nanga Parbat invernale. Una montagna difficile, complessa, estrema. Un colosso himalayano che per oltre trenta inverni ha retto all’assalto dei migliori scalatori al mondo, eppure Tomek non si è fatto spaventare da tutto questo. Scelto per il basso costo del permesso di scalata, soprattutto nella stagione fredda, il Nanga Parbat è diventato la sua ossessione e poi, la sua tomba.
Il Nanga Parbat
Tomek tentò la scalata invernale alla nona montagna del pianeta per sette volte. Il suo primo tentativo lo portò avanti con Marek, il compagno delle altre avventure in montagna, intitolando il progetto “Nanga Dream”.
Loro erano i sognatori del Nanga Parbat e, forse, gli unici a non avere ben chiaro in che gioco si stessero mettendo. Nonostante questo riuscirono a raggiungere una quota di 7400 metri prima di essere fermati dalla montagna e dalla sua furia invernale. Tomek ottenne così un primo assaggio di quel che significa Himalaya in inverno, ma questo non lo fece desistere, anzi. Inverno dopo inverno la certezza era che Tomek, nonostante le difficoltà economiche, sarebbe tornato al Nanga Parbat per cercare di realizzare il suo sogno. Un sogno vero, che neppure la prima salita invernale (portata a compimento il 26 febbraio 2016 da Alex Txikon, Ali Sadpara e Simone Moro) è riuscita a spegnere.
Nell’inverno 2017/2018 torna al Nanga Parbat con Elisabeth Revol. Lo fanno in sordina, di loro si sa poco e non arrivano molte news sulla progressione in parete. Le uniche informazioni sono che stanno cercando di completare, in inverno, la via Messner-Eisendle (tracciato visto e tentato da Reinhold Messner e Hanspeter Eisendle nell’estate del 2000). Sorprendentemente ci riescono toccando la vetta il 25 gennaio 2018. Durante la discesa Tomek viene però colpito da forti sintomi di mal di montagna unito a cecità da neve e alcuni congelamenti. La sua condizione fisica gli ha impedito di proseguire la discesa, Elisabeth è rimasta con lui fin quando ha potuto. Alla fine la necessità di sopravvivere l’ha costretta a lasciare Tomek a una quota di circa 7400 metri, dove ancora oggi riposa.
La francese verrà tratta in salvo il 28 gennaio a 6000 metri di quota da Denis Urubko e Adam Bielecki, dopo aver continuato a scendere nonostante spossatezza e congelamenti.
Libri
La versione di Tomek. Storia di Tomasz Mackiewicz, Mulatero, 2018
Tomek Mackiewicz, il sognatore ribelle, Alpine Studio, 2018
Sul Nanga Parbat mi sento un po’ come a casa. Ho trascorso lì sei inverni. Sento che ho stabilito uno strano rapporto con questa montagna. Non ho alcuna ambizione di arrivare in vetta per primo, voglio solo chiudere un progetto. Più che i record o i titoli mi interessa lo sviluppo spirituale. Tomasz Mackiewicz