Alpinismo

Da Polenza: l’Uiaa difende l’alpinismo

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BERGAMO — Bene, bravi!!! La voce dell’Uiaa si è alzata forte, questa volta, a difesa dell’alpinismo. I valori di fondo che accomunano le coscienze di tutti gli uomini e i popoli, quali la libertà e i diritti umani, non possono essere ignorati e vanno difesi quando, con stupida arroganza e ottusa prepotenza, vengono calpestati e offesi, anche – o “solo” – per impedire a qualche centinaio di alpinisti di tentare la vetta dell’Everest.

Nulla di drammatico, badate bene. Al campo base nepalese c’ero nei giorni scorsi e l’aria era tutt’altro che tesa. Anzi. C’era un che di “sabato del villaggio” con gli sherpa che, tolti scarponi e “tutone” di piumino e indossati jeans e maglietta di corsa, prendevano nel sole del mattino il sentiero per i villaggi del fondo valle. Alcuni avrebbero passato qualche giorno a casa a Namche e Thame.
 
Certo c’era qualche militare a guardia dei satellitari sequestrati o della piazzola degli elicotteri vuota. Ma niente di più. Nessuna manifestazione, nessun cartello, nessun inneggiamento al Tibet libero o insulto all’oppressore cinese. Semplicemente tende sparse ovunque, con quelle grandi a casetta dalle quali si levano il fumo azzurrino delle cucine, le risate dei cuochi e dei "kitchen boy", l’odore dell’aglio e dei fritti. Bandierine di preghiera ovunque, nel cielo azzurro, che frullano e invocano le divinità della montagna, serenità, benessere, gioia…
 
Gli alpinisti erano più rassegnati che incazzati, anche se iniziava a serpeggiare l’idea dei risarcimenti da chiedere alle agenzie e al Governo del Nepal. Alla mia richiesta sull’opportunità che il Nepal ristabilisse con il mondo alpinistico le buone relazioni che da sempre esistono e che questa faccenda rischia di offuscare, è stato risposto che tutti sapevano.
 
Ma i cinesi solo il 10 marzo hanno annunciato la chiusura dell’Everest dal loro versante, i nepalesi hanno aderito alle richieste di “restrizioni” sul loro versante decidendo a fine marzo, quando i giochi per le spedizioni, con i patrocini e gli sponsor, erano già fatti e difficile era starsene a casa. “Se avessero voluto, avrebbero potuto rinunciare e sarebbero stati rimborsati” mi è stato detto del costo dei permessi.
 
Sì, certo. Io avevo in tasca per il nostro progetto SHARE Everest il patrocinio del nostro Presidente della Repubblica Napolitano, ma anche i patrocini del Ministero degli Esteri, di quello della Ricerca Scientifica e quello ell’Ambiente.
 
Avevo in tasca anche il patrocinio dell’Unep, l’agenzia delle Nazioni Unite per l’ambiente. Ai primi di aprile il presidente Napolitano ci aveva ricevuto e gli avevamo spiegato, noi e il direttore generale dell’Unep, il grande significato, anche simbolico, di collocare un piccolo sensore di temperatura sul punto più alto della Terra. Avremmo dovuto invitare l’Ambasciatore Cinese, quello nepalese in Italia non c’è, forse avrebbe compreso che nessuno ce l’aveva con la torcia olimpica e le Olimpiadi a Pechino. Che saremmo stati onorati di calpestare la cima dell’Everest insieme o dopo la fiaccola, ancor di più se portata lassù con modi e spirito rispettosi dell’etica alpinistica, onorati di continuare e accrescere i valori universali che essa rappresenta, affiancandoli a quelli della ricerca scientifica e del rispetto ambientale.
 
L’Uiaa ha fatto bene a far sentire la sua voce. Ero irritato, per quel che conta, dal troppo prolungato silenzio. Non è una voce contro la fiaccola o le Olimpiadi. No. Non è nemmeno una voce che vuole disturbare la debole speranza di pacificazione e rispetto che gli annunciati colloqui tra i rappresentati del governo cinese e il Dalai Lama hanno acceso. Solo una voce forte e coraggiosa in difesa dei valori dell’alpinismo e della montagna. E non è poco.
 
 
Agostino Da Polenza

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