Medicina e benessere

Alimentazione in ambiente estremo: cosa mangiare in alta quota?

Pranzo al campo base del K2 (spedizione K2 2004)
Pranzo al campo base del K2 (spedizione K2 2004)

LECCO — Scoprire ambienti nuovi e raggiungere luoghi incontaminati ha sempre affascinato l’uomo. La montagna con le sue vette, i deserti, le distese di sale e il fondo dei mari: tutti ambienti estremi che richiedono all’organismo grandi capacità di adattamento. Come dobbiamo alimentarci se vogliamo ottenere delle maggiori prestazioni dal nostro corpo oltre i 3000 metri? Quando freddo, vento e fatica si fanno sentire, quali alimenti sarebbe meglio preferire per mantenere le performances ad alto livello, in caso di trekking ad alta quota? In fondo basta solo introdurre la miscela giusta per ottenere il “massimo dei giri”. Abbiamo approfondito la questione con la Dott.ssa Donatella Polvara, biologa nutrizionista durante la conferenza tenutasi a Lecco dal tema Alimentazione in ambiente estremo. Ecco il suo contributo.

“Nei paesi nordici è molto diffuso il consumo di alcool e l’uso di cibi grassi. Entrambe sono sostanze molto caloriche, i grassi richiedono molto più tempo dei carboidrati per essere digeriti e necessitano di maggiori quantità di ossigeno per essere strasformati in energia. Richiamano sangue allo stomaco e lo sottraggono ai muscoli. Sarebbe meglio evitarli in caso di intensa attività fisica a bassa temperatura od in alta quota.
La carne di orso è molto ricca di grassi, anche il salmone dei paesi nordici ha una quota in lipidi superiore rispetto al salmone pescato in Canada, ma a queste latitudini, ci troviamo a basse quote e a livello del mare, la pressione di ossigeno è buona e cibi con questi valori nutrizionali possono essere trasformati in energie utile per le scorte.

Messner, quando conquistò il Polo Nord, adottò una dieta molto ricca di grassi,: il 40% della dieta era composto da cibi con alto contenuto lipidico. L’alto contenuto calorico di tali cibi 9Kcal/gr consente di fornire all’organismo le calorie giuste per far fronte al dispendio energetico durante la termoregolazione corporea a bassa temperatura. Ad alta quota, quando la pressione di ossigeno si riduce notevolmente, soprattutto sopra i 4000 metri, risulta più difficoltoso per l’organismo trasformare in energia tali alimenti per questo sarebbe eccessivo consumarne in abbondanti quantità.

L’alcool causa una vasodilatazione periferica, sottrae sangue agli organi interni e lo porta in superficie. Causa una ipoperfusione interna, ci da una sensazione di caldo di breve durata ma non è in grado di aumentare la temperatura corporea in modo ottimale. Non è quindi il miglior metodo per scaldarsi a bassa temperatura!

Le principali fonti energetiche per il trekking dovrebbero essere date dai carboidrati, la maggior parte degli autori consiglia di arricchire le proprie fonti quotidiane con una quota pari al 70 % in glucidi. I carboidrati migliorano anche la per fusione polmonare e quindi possono anche contribuire a migliorare i sintomi del male di montagna. Fruttosio e isomaltulosio sono due tipi di zuccheri che troviamo nelle barrette energetiche, ottimi per ottenere energia di gran lunga durata rispetto all’utilizzo di glucosio semplice. Anche fruttosio/maltodestrine sono un mix vincente per mantenere la glicemia a livello costante e consentire energia di gran lunga durata.

Le richieste energetiche dell’alpinista, oltre i 4000 metri sono molto elevate, dovute oltre che allo sforzo fisico anche agli adattamenti richiesti al corpo in tali condizioni estreme: termoregolazione, battito cardiaco, respirazione, produzione di globuli rossi. Le richieste dell’alpinista durante l’attacco alla cima potrebbero arrivare anche a 5000/6000 calorie al giorno. Tale apporto calorico non sempre può essere mantenuto in quanto ad una certa altezza subentra un rallentamento delle attività gastro-intenstinali che spesso comporta inappetenza. Inoltre si deve far fronte anche ai problemi pratici legati alla stanchezza, alla temperatura e alle difficoltà nella preparazione dei cibi.
La lontananza da casa può influire enormemente sulle abitudini alimentari e sull’alimentazione dell’alpinista.
E’ stato stimato che al rientro delle imprese in alta quota il corpo subisca un calo fisiologico del peso tipico degli astronauti al rientro dopo le missioni nello spazio.

Prodotti sottoforma di gel, barrette liofilizzati, pasti completi con i principi nutrizionali adeguati alle esigenze energetiche, ricchi in trigliceridi a catena media, fruttosio, isomaltulosio, maltodestrine e vitamina C, tutti utili da consumare nei trasferimenti in quota.

Durante la sosta al campo base indispensabile è il reintegro con pasta, patate, riso e legumi. Carne e uova non possono mancare importante fonte proteica. La carne di Yak per esempio consente un buon apporto di vitamina B e Ferro utili per la formazione dei globuli rossi e il trasporto di emoglobina.
Il reintegro dei liquidi è fondamentale soprattutto ad una certa altezza. L’alpinista dovrebbe bere un’acqua con un buon contenuto di sali (RF>1000) in quanto acque con basso residuo fisso o acque iposodiche dissetano ma aumentano la diuresi facilitando la disidratazione. Dunque meglio aggiungere sempre un corretto contenuto di sali nell’acqua di fusione.

Per imprese alpinistiche di alto livello sarebbe accurato attenersi ad una corretta alimentazione in funzione al proprio metabolismo basale e al proprio dispendio energetico sotto sforzo; utile per mantenere le performances il supporto di esperti nel settore che garantiscano un apporto calorico mirato.

 

Donatella Polvara

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