150 anni fa la conquista del Catinaccio. Comyns-Tucker e Carson raggiungono i 2981 metri della vetta
Il 31 agosto 1874 a condurre i due giovani avvocati britannici sulla cima è la guida di Chamonix François Dévouassoud
Oggi la valle del Vajolet e la Gola delle Torri, sul versante trentino del Catinaccio, sono tra i luoghi più frequentati delle Alpi. Folle di escursionisti risalgono la stradina che sale da Gardeccia verso i rifugi Vajolet e Preuss, e il comodo sentiero che prosegue verso il Passo Principe e la base del Catinaccio d’Antermoia. C’è folla anche sul percorso, più ripido e più impegnativo, che risale la Gola verso la conca del Gartl e i rifugi Re Alberto e Passo Santner.
Escursionisti bene attrezzati e più esperti affrontano le due ferrate del Catinaccio d’Antermoia, e quella che raggiunge il Passo Santner dal versante altoatesino. Nelle belle giornate, una fila di cordate si snoda sullo spigolo, espostissimo ma non troppo difficile (quarto grado), della Torre Delago, la via più classica delle Torri del Vajolet.
Le altre classiche di media difficoltà del passato, dal camino Piaz della Punta Emma alla fessura Winkler della omonima Torre sono molto meno percorse rispetto a un tempo. Resta celebre e relativamente frequentata la compatta e meravigliosa parete Est del Catinaccio, che domina la conca di Gardeccia. Ma gli alpinisti che la percorrono per le vie tracciate da Antonio Dimai, da Hans Steger e da altri maestri sono quasi invisibili dai sentieri e dalle ghiaie.
Gran parte dei visitatori del Catinaccio non s’interessa alla storia dell’alpinismo su queste cime, e dopo il sudore, le foto panoramiche e i selfie si getta sulla polenta, i canederli, lo strudel e la birra dei rifugi. La presenza dello splendido e ben gestito rifugio che ricorda Alberto I del Belgio, il “sovrano alpinista” e l’origine fassana della grande guida Tita Piaz, portano inevitabilmente in piano gli alpinisti nati in questi territori.
Nell’affollato album di famiglia del massiccio compaiono anche tedeschi come Georg Winkler, Hans Dülfer e Hans Steger, altoatesini e austriaci, trentini come Donato Zeni (strepitosa la sua via sulla parete Est dei Mugoni), altri grandi professionisti della montagna fassani come Antonio Bernard, Luigi Rizzi, e via via fino a Bruno Pederiva e Tone Valeruz.
Alle guide di Chamonix e agli inglesi non pensa proprio nessuno. E’ un errore. Gli alpinisti britannici, che indicano la via a tutti gli altri sulle Alpi occidentali e centrali, dal Monte Bianco e dal Cervino fino al Bernina e al Disgrazia, si affacciano sulle vette del Tirolo, del Trentino e del Veneto con un po’ di ritardo. A inaugurare l’alpinismo su roccia sui Monti Pallidi con la prima ascensione del Pelmo è nel 1857 John Ball, nato a Dublino e deputato al Parlamento di Londra.
Negli anni che seguono altri britannici illustri – Douglas Freshfield, Francis Fox Tuckett, Leslie Stephen – si innamorano della “bizzarra wilderness” delle Pale di San Martino, sul confine tra il Trentino e il Veneto. Un componente del gruppo, Edward Whitwell, compie nel 1870 la prima salita del Cimon della Pala. Da inglese, accompagnato da due guide dell’Oberland, decide di non salire dal lato delle rocce, ma per un selvaggio canalone di neve e ghiaccio.
Sei anni prima, nel 1864 Douglas Freshfield ha inaugurato la sua carriera di straordinario esploratore con un viaggio che lo ha condotto dal Lago di Ginevra fino a Trento consentendogli di scoprire le guglie delle Dolomiti di Brenta. Alla fine di agosto, insieme a due amici, a un portatore locale e a François Dévouassoud, guida di Chamonix, ha compiuto la prima ascensione della Presanella, una imponente montagna rivestita da ghiacciai.
Per conoscere in dettaglio gli exploit dei pionieri britannici sulle Dolomiti conviene leggere “Ad est del Romanticismo” un’opera di Riccardo Decarli e Fabrizio Torchio (Accademia della Montagna del Trentino, 2013) che comprende anche una ricca antologia.
“Ho trovato qualcosa”. Dévouassoud individua la linea di salita vincente
Il 31 agosto del 1874, dieci anni dopo l’impresa sulla neve e sul ghiaccio della Presanella, ritroviamo Dévouassoud mentre esplora un massiccio completamente diverso. Dopo aver lasciato i suoi clienti sul terrazzo di erba e ghiaie dove oggi sorgono i rifugi Vajolet e Preuss, lo chamoniard risale l’aspro vallone roccioso che separa il Catinaccio e la Punta Emma dalle Torri del Vajolet.
Quando torna – come racconterà Charles Comyns-Tucker, uno dei clienti, nel suo “The Rosengarten Gebirge” – dice con aria misteriosa: “ho trovato qualcosa, ma bisogna lasciare tutto. Niente zaini, niente bottiglie di vino, solo un pezzo di pane e un po’ di formaggio nelle tasche”. I due inglesi, entrambi avvocati trentenni, obbediscono e lo seguono verso l’alto.
Comyns-Tucker, qualche anno prima, ha partecipato alle esplorazioni degli inglesi sulle Pale. Il suo amico Thomas Carson, due anni dopo, diventerà suo cognato sposando sua sorella Mary Sophie. Dévouassoud, che è la guida di fiducia di Freshfield, ha all’attivo le prime salite di varie grandi cime delle Alpi e numerose spedizioni nel Caucaso, con le prime salire dell’Elbrus e del Kazbek.
Un anno prima, nell’estate 1873, Comyns-Tucker e Carson hanno compiuto la prima salita del Catinaccio d’Antermoia, meno visibile da lontano del Catinaccio vero e proprio, ma che con i suoi 3004 metri è la cima più elevata del gruppo. Sono passati per la rampa del versante Est dove oggi sale la via ferrata, li ha accompagnati la guida fassana Luigi Bernard. Il Catinaccio vero e proprio misura “solo” 2981 metri, ma la differenza è difficile da apprezzare sia dalle vette che dalla base delle due cime.
Ma torniamo al 1874. Dopo qualche ora di sonno a Vigo di Fassa (in quegli anni i rifugi non ci sono, e nessuno teme delle sgambate che oggi possono sembrare micidiali), la guida e i due alpinisti risalgono prima per boschi e prati, e poi per “quella gola straordinaria che spacca la massa del Rosengarten da parte a parte”.
Alle facili ghiaie tra il laghetto del Gartl e il Passo Santner segue un faticoso camino, che Comyns-Tucker definisce “una specie di trincea”, “insopportabilmente liscia e ripida”, che oggi è valutata di terzo grado. All’uscita in cresta il terreno diventa facile, ma si cammina per rocce straordinariamente esposte, e che sembrano pronte a cadere nel vuoto.
Poi un anfiteatro ghiaioso, che giustifica il nome del Catinaccio per chi osserva dal versante di Fassa, offre una progressione più facile. Altri brevi passi di arrampicata portano i tre uomini sulla cima. Qualche ora dopo, alla fine di una laboriosa discesa, solo i pastori della valle del Vajolet salutano e festeggiano gli alpinisti. Nel 1874 le Dolomiti tra la Val di Fassa e l’Alto Adige sono ancora un mondo per avventure solitarie.