Dal Baltico alle grandi pareti nord: l’eclettismo di Marcin Tomaszewski, lo Yeti
Timido e riservato, il fortissimo scalatore polacco si trasforma sulle montagne più inospitali. Con il pensiero sempre attento alla responsabilità di essere padre
Sono numerosi i casi di grandi alpinisti o grandi studiosi del mondo montano nati nel piattume della pianura o perfino in riva al mare. Potrei citare Emilio Comici o Antonio Berti, ma più recentemente personalità come Alessandro Gogna oppure lo stesso Nirmal Purja. Del tutto atipica e particolare è poi la figura di Marcin “Yeti” Tomaszewski.
Avevo letto delle imprese di questo ragazzo polacco assieme al suo compagno Marek Raganowicz, ascensioni di massima difficoltà in ambienti estremi, grazie all’input fornitomi da due giovani alpinisti bergamaschi, Fabio Elli e Diego Pezzoli, per i quali avevo tradotto un capitoletto per un libro dedicato all’arrampicata artificiale, un vero gioiellino pubblicato da Versante Sud.
Come d’abitudine, proprio per rendere al meglio la traduzione avevo cercato di sapere di più dei due alpinisti polacchi e a colpirmi, in particolare, fu proprio la storia di Marcin, giovane ribelle, iperattivo, cresciuto con un padre alcolista in una famiglia problematica che abitava nei sobborghi di Szczecin-Stettino, lontanissimo dalle montagne. Un giovane arrivato a conoscere il pericolo delle compagnie sbagliate dopo essere stato malato a lungo ed aver avuto una lunga permanenza in un sanatorio, per trovare poi uno sfogo alla sua iperattività nei cosiddetti sport urbani.
Tra questi, una grande scoperta per lui fu quella dell’arrampicata su qualsiasi struttura urbana a disposizione mentre, quasi contemporaneamente, una luce verso il “salvataggio” e le vere grandi passioni fu la frequentazione degli scout e della natura vera, quella lontana dalle città e dagli uomini.
Il passo successivo è quello di unire l’arrampicata, nella quale nel frattempo arriva a distinguersi per abilità nelle palestre indoor, alla scoperta delle montagne da lui sentite sempre più come il suo vero ambiente, soprattutto sui Tatra, dove porta a termine numerose ascensioni importanti, spesso in solitaria. Marcin arriva poi a dare piena giustificazione al suo soprannome di Yeti quando scopre di amare le montagne quanto più queste si presentino in ambientazioni ostiche ed inospitali.
Il resto è una storia sufficientemente conosciuta, di salite in Pakistan, nell’Isola di Baffin, in Norvegia e più in generale ovunque ci siano condizioni meteorologiche proibitive e grandi pareti da esplorare. Tre le imprese con cui, agli inizi, arriva a segnalarsi negli ambienti alpinistici posso citare l’apertura nel 2012 della via Superbalance (VII, A4, M7+) sulla Polar Sun Spire a Baffin, Canada, Bushido nel 2013 (VII-A4, VII+) sulla Great Trango Tower in Pakistan e nell’inverno 2015, Katarsis (A4, M7) sulla parete nord del Trollveggen in Norvegia.
Quando riesco ad entrare in contatto con lui, notoriamente refrattario al pubblico e alla notorietà che pure poi arriverà ad apprezzare, anche se solo a dosi da farmacista, trovo un alleato insperato per riuscire a portarlo in Italia nella sua seconda moglie, Sylwia Różycka, attrice e cantante notissima in Polonia, innamorata del nostro Paese e che quindi perora apertamente l’ipotesi di un viaggetto in Italia, dove peraltro vengo a sapere che lui è già stato più di una volta per legarsi alla corda di un altro personaggio noto per la scarsa loquacità, Tom Ballard.
Quello che conosco a Lecco è un ragazzo chiaramente timido e introverso, ma estremamente cordiale, professionale, serio e stupendamente innamorato della moglie e del bello della vita.
In privato mi confessa di aver ormai deciso di lasciar stare il rischio troppo alto e di volersi concentrare su un’attività alpinistica che gli consenta di godere al massimo anche del suo ruolo di papà. La conferenza riesce molto bene, nonostante Marcin tenda a mangiarsi parecchio le frasi ed usi un polacco spesso infarcito di forme tipiche dello slang giovanile. È comunque giusto così, spetta a me aggiornarmi. Alla fine della presentazione, Sylwia regala al pubblico una canzone dedicata al marito e al pubblico.
Riusciamo così, quasi per scherzo, ad entrare in amicizia e a rimanere in contatto, ripromettendoci di trovarci quanto prima per altre serate in Italia e non solo… Dopo qualche tempo, nonostante un po’ di ritardo dovuto al Covid e ad altre ragioni, Marcin pubblica un libro che immediatamente mi colpisce: in apertura trovo infatti la descrizione di un suo incidente dal quale si salva per un soffio, grazie ad un intervento salvifico proprio del sopra citato Tom Ballard. L’accaduto lo porta a pensare molto a quali possano essere i rischi accettabili per chi voglia essere responsabile verso la propria famiglia e a cosa potrebbe capitare se dovesse rinunciare al suo ruolo di padre.
Decido che quel libro dev’essere tradotto e fatto conoscere in Italia. La presentazione dell’opera ha luogo presso DF-SportSpecialist a Sirtori (LC), dove Marcin arriva con moglie e figlio e presenta la sua attività e il suo pensiero come sempre senza alcun fronzolo, a spizzichi e bocconi, timoroso di parlare troppo, di dire troppo, di poter sembrare uno che vuole imporre la sua figura a tutti i costi. Ha ormai passato la quarantina, è un professionista stimato e riconosciuto, ma nel cuore e nella mente rimane il ragazzo ribelle di Stettino, nervoso, iperattivo e spesso sospettoso di chiunque non faccia parte della sua ristrettissima cerchia di affetti e di amici.
Il giorno dopo la presentazione, trovo tra i messaggi whatsapp uno da parte di Marcin che conservo ancora alla voce “complimenti più belli di una vita”:
“Luca, grazie di tutto. Se sei tu a tradurre so di non dovermi guardare le spalle”.
Grazie alla Gazzetta dello Sport, poi, nel 2023 Marcin Tomaszewski viene presentato al Festival Internazionale dello Sport della Gazzetta dello Sport, a Trento, dove impressiona tanto per la qualità delle sue imprese, soprattutto delle sue solitarie in Norvegia, Alaska e sull’Isola di Baffin, come anche per il suo libro, Tato (Papà in polacco).
Il libro non è certamente di facile lettura ed interpretazione. Si presenta diviso in tre parti distinte, tra loro strettamente interconnesse. Partendo dal racconto di come sia riuscito a sfuggire alla morte in un crepaccio patagonico grazie al compagno Tom Ballard, l’autore inizia a far emergere il ragionamento sulla responsabilità degli alpinisti verso gli altri, dai compagni di avventura agli affetti familiari.
La seconda parte narra la sua spedizione allo Jannu nel 2019, in compagnia dei russi Segej Nilov e Dmitrij Golovchenko, finita male per lui a causa di problemi fisici e in più funestata dalle notizie sulla scomparsa di Tom Ballard e di Daniele Nardi. La spedizione viene analizzata secondo varie prospettive, riflettendo sui diversi aspetti di chi preferisce una salita “solitaria” rispetto a quella di un gruppo che si muove con una troupe cinematografica (trovano spazio in questa parte figure come la regista Eliza Kubarska e il grande specialista di riprese in ambienti estremi Keith Partridge). Imperdibili e gustosi i “quadretti” dedicati all’incontro di Marcin con la vita quotidiana dei Paesi che attraversa.
La breve parte conclusiva, densa di riflessioni, rientra nel novero della letteratura pura. Una lucida e disincantata analisi sulla morte, su ciò che sarebbe potuto accadere se uno dei suoi incidenti si fosse rivelato per lui fatale, cosa avrebbero detto e pensato di lui persone che gli sono e che gli erano più vicine. In quel dialogo immaginario trova spazio il mai risolto rapporto tra lui ed il padre.
A Trento, prima di salutarci, assieme a Sandro Filippini, proviamo a tornare a parlare con lui di Tom Ballard, con il quale nel 2016 aveva aperto Titanic (A3, M5, 6b) sulla nord dell’Eiger (oltre ad altre vie sulle Alpi ed in Dolomiti). Marcin continua ad avere poca voglia di raccontare alcunché al riguardo, limitandosi a segnalare come Tom fosse persona di pochissime parole: “Un esempio? Per l’Eiger ci siamo incontrati ai piedi della parete, abbiamo iniziato a scalare limitandoci ai comandi di cordata e, una volta ridiscesi, quel che ci siamo detti è stato solo un ciao prima che ognuno continuasse per la sua strada. Era una macchina da guerra, progettato per essere un grande alpinista”.
Eclettico come sempre, Marcin riesce a stupirmi ancora prima di salutarmi: “A cosa lavori, adesso, Yeti?” “Ad una serie di favole per bambini… Adesso abbracciami, qui c’è troppa folla ed io, come dici tu, sono lo Yeti”. Un abbraccio ed un sorriso sincero prima di confondersi del tutto tra la folla alla ricerca di anonimato e solitudine.
Approfondimenti:
- M. Tomaszewski, Tato, Trad. di L. Calvi, Versante Sud, Milano, 2021.
- V. anche L. Calvi, Lost in Translation, Edizioni del Gran Sasso, 2023.