Colin Haley, un alpinista refrattario ai riflettori
Il protagonista di scalate memorabili in Alaska e Patagonia, raccontato dal suo traduttore. Che, al solito, non risparmia gustosi aneddoti e retroscena
Tra i grandi alpinisti che poco amano le luci della ribalta e ancor meno le discussioni inutili e sterili, un posto d’onore nella mia personalissima classifica spetta al grandissimo Colin Haley, americano che però tiene a sottolineare le proprie ascendenze italiane, assurto agli onori della cronaca per le ascensioni veloci e visionarie effettuate in Alaska e, soprattutto, in Patagonia.
L’occasione per fare la sua conoscenza arriva tra il 2016 ed il 2017, quando Sergio Longoni e Renato Frigerio mi affidano l’organizzazione di una serie di incontri che decretano il mio passaggio da traduttore a conduttore e spesso anche organizzatore di incontri con grandi dell’alpinismo, il tutto all’insegna della frase: “Sei a diretto contatto con loro, sai come parlargli e sai come trattarli, perché non organizzi tu per noi?”
Sapersi lanciare in una avventura senza stare troppo a pensarci non differisce poi più di tanto dal decidere di salire una via seguendo una linea propria, magari non evidente come quella “normale” e conosciuta, ma che ispira fiducia e risulta degna di essere seguita. Accetto quindi di mettermi in gioco e provare non solo a contattare i vari alpinisti, ma ad organizzare le serate dal punto di vista pratico e concordandone soprattutto l’aspetto contenutistico, sapendo che un’altra parte di me avrebbe poi collaborato anche per le traduzioni. Un bel servizio all inclusive come si direbbe nel marketing spicciolo.
Colin Haley è però un personaggio schivo, con la reputazione di essere sempre poco disposto a perdere tempo con i media e la stampa. Questa fama di persona relativamente “scontrosa”, al momento in cui cerco di contattarlo è acuita dal dibattito creatosi attorno alla ben nota vicenda della schiodatura del Cerro Torre e all’accusa di talebanesimo rivolta ai due giovani autori nella arcinota lettera inviata da ambienti alpinistici italiani e alla quale avevano reagito con veemenza alcuni circoli, soprattutto quelli gravitanti nella zona patagonica e per la precisione a El Chaltén. Colin Haley, come anche Rolo Garibotti ed altri avevano difeso a spada tratta l’operato di Kennedy e Kruk responsabili della suddetta schiodatura. Con il risultato che si era creata una situazione di contrapposizione virulenta tra fazioni contrapposte.
Colin, che aveva già ampiamente dichiarato di essere poco propenso a prendere parte ad ulteriori discussioni al riguardo, inizialmente sembrava non volerne sapere di venire in Italia a presentare la sua attività alpinistica, subodorando il pericolo di trovarsi nel mezzo di una gazzarra tra rappresentanti delle differenti fazioni. Riuscire a stabilire un contatto con lui non è stato per nulla semplice, ma a volte, anche se non sempre, le cose più complicate sono quelle che portano i frutti migliori.
Alla fine, anche l’Anguilla delle Guglie, come nel frattempo avevo ribattezzato Colin, cede e mi apre un canale per discutere sull’idea. In breve, resosi conto che si trattava realmente di una serata alpinistica e non dedicata alla schiodatura del Torre, accetta consentendomi così di organizzare la serata come richiesto.
L’asso americano arriva a Lecco in tarda mattinata, accompagnato dall’allora presidente dei Gamma e subito mi viene presentato e “consegnato”. Lo osservo per bene e vedo che il suo è ancora uno sguardo inquieto, di quelli che esprimono una evidente diffidenza. È però la sua parte di sangue italiano a venirmi in aiuto.
“Colin, è ora di pranzo, ti va di mangiare un boccone con me prima di parlare di lavoro?” Gli si illuminano gli occhi. Accetta volentieri e subito dopo il bicchiere di aperitivo inizia a sciogliersi, raccontandomi di tutti i sistemi inventati per sopravvivere spendendo il meno possibile in modo da poter arrampicare di più.
“Sai, io, per esempio, non ho mai speso un dollaro per bere una birra. Per fortuna nei locali c’è tanta gente che lascia i bicchieri a metà… Io provvedo a ripulirli e a farmi qualche birra senza che la cassa destinata alle scalate abbia a risentirne”.
Ci tiene poi a sottolineare come da parte di madre abbia origini italiane, abruzzesi. Apprezza particolarmente la mia scelta del vino e lo vedo molto contento di assaggiare la non propriamente leggera cucina tipica del Lecchese.
Per la serata, alla fine, mi confida di sentirsi un po’ intimorito… “Scusa Colin, intimorito tu?”
“Lecco è la città da cui sono partiti per la prima vera ascensione del Cerro Torre… I Ragni e Lecco in Patagonia sono sinonimo di grandissimo alpinismo”, risponde.
È ferratissimo in storia dell’esplorazione alpinistica e lo vedo realmente felice di essere in quella cittadina. Più tardi, durante la classica pizza prima della serata, ecco una sorpresa estremamente gradita: arriva per venire ad ascoltarlo il suo amico e più grande conoscitore italiano delle montagne della Patagonia, Ermanno Salvaterra.
La serata, quindi, può avere inizio con il contributo di questo grandissimo ospite al quale, sul palco per i saluti finali, si aggiunge un altro mito, Mariolino Conti. Tutto fila liscio senza la benché minima polemica.
Un piccolo strascico ci sarà il giorno successivo, in occasione di un incontro con la stampa avvenuto in questo caso successivamente alla serata per motivi organizzativi. Uno dei giornalisti presenti prova a mettere sul piatto una domanda relativa alla schiodatura del Torre…
Colin sogghigna, si volta verso di me e chiosa così ad alta voce: “Ecco, adesso che è arrivata la domanda mi sento meglio, e anche tu, vero? Ci stavamo struggendo nell’attesa…”.
La risposta è stata una serie di frasi di circostanza, mirabile esempio di come parlare bene e con cortesia per non dire assolutamente nulla.
L’Anguilla delle Guglie Patagoniche, da allora, ha sempre mantenuto i contatti con me e ha partecipato anche all’iniziativa libraria sull’Assassinio dell’Impossibile.
Con lui ho potuto parlare in occasione della morte di Hayden Kennedy, particolarmente dolorosa e, più di recente, di quella di Ermanno Salvaterra, cui si è aggiunta, a corollario dell’annus horribilis 2023, la sparizione di Mariolino Conti.
Quando poco tempo fa, durante uno scambio via mail, gli ho fatto notare di essere rimasto piacevolmente sorpreso dal fatto di aver mantenuto i contatti con lui, la risposta è stata di quelle da scalpellare su pietra dura:
“Luca, io ho origini italiane. Tu, appena ci siamo conosciuti, mi hai portato a mangiare e bere, e questa è una cosa importante, è come legarsi alla stessa corda ed io non posso dimenticare quella giornata. Anzi, non vedo l’ora di ripeterla”.
Lo faremo presto, ricordando Ermanno, Mariolino e gli altri.