Gente di montagna

Chantal Mauduit

Dal Lhotse e al Manaslu scalati in solitaria fino alla tragica scomparsa sul Dhaulagiri

“In ogni tempo, attraverso il vento, strada facendo, dall’Himalaya all’Oceano, io vado e imparo”.

Chantal Mauduit

Chantal Mauduit è stata una delle principali protagoniste dell’alpinismo al femminile negli anni 90, amata da molti per la sua capacità di raccontare il mondo dell’alta quota con uno sguardo diverso da quello “eroico” allora ancora tanto diffuso, ma anche criticata per gli incidenti che costellarono le sue salite himalayane.

Sicuramente il suo percorso fra le montagne, affiancato a quello di altre grandi protagoniste di quel periodo, come Catherine Destivelle o Halison Hargreaves, rappresentò un segno di cambiamento e di rottura con una realtà alpinistica fino ad allora segnata, nella concezione e nella pratica, da un quasi esclusivo monopolio maschile.

La vita e l’alpinismo

Chantal nasce a Parigi il 24 marzo del 1964, ma ben presto si trasferisce con la famiglia a Chambery, nell’Alta Savoia, dove scopre la passione per la montagna dedicandosi fin da bambina all’escursionismo e allo sci.

La sua formazione scolastica si lega alla passione per lo sport, portandola a completare gli studi per diventare fisioterapista, ma, accanto a questa vocazione più pragmatica, affiancherà sempre una grande sensibilità verso la cultura, la letteratura e la poesia, che le darà gli strumenti per interpretare e raccontare le sue avventure con una speciale sensibilità, espressa attraverso i numerosi appunti dei suoi diari e nelle sue conferenze, capaci di mettere in risalto gli aspetti più intimi e spesso inconsueti dell’esperienza alpinistica.

Speciale sarà anche la sensibilità verso le realtà ambientali e umane incontrate nei suoi viaggi, che la porterà a diventare un’attivista per la causa dell’indipendenza tibetana.

Il passaggio dall’escursionismo all’alpinismo vero e proprio avviene all’età di 15 anni. Ben presto Chantal dimostra di avere talento e capacità di confrontarsi con le grandi salite alpine come la nord delle Grandes Jorasses, la nord del Cervino e i Drus.

La sua vocazione però non è rivolta alle grandi difficoltà tecniche, o almeno non solo. Quello che cerca è soprattutto la dimensione dell’avventura, del viaggio, dei grandi spazi e l’incontro con realtà umane e culturali differenti da quelle europee. Un richiamo che la porta verso le montagne di tutti i continenti: dall’Antartide, dove sale il Mount William, alla Yosemite Valley, ma soprattutto in Sud America, dove compie diverse spedizioni salendo cime come l’Urus (5420 m), lo Huascaran (6768 m) e il vulcano Sajama (mt. 6542), in Bolivia, di cui compie la traversata.

Sono esperienze che confermano in lei il richiamo per l’altissima quota e fanno maturare il grande sogno che perseguirà per il resto della sua breve vita: salire tutti i 14 Ottomila, in stile alpino e senza l’uso di ossigeno.

Il primo fra i Giganti della Terra che riesce a scalare è il K2, di cui raggiunge la vetta nell’agosto del 1992 dalla via classica dello Sperone Abruzzi. La discesa dalla montagna si trasforma in un’epopea che rischia di avere un esito tragico: accecata dal riverbero della neve resta bloccata ai campi alti e viene salvata dall’intervento di Ed Viesturs e Scott Fisher, che rinunciano alla loro opportunità di scalare la vetta per portarle soccorso.

Il 1993 è un anno di grandi successi. Nel giro di un mese, nella stagione post monsonica, sale prima lo Shisha Pangma e poi il Cho Oyu, ma ancora una volta le spedizioni sono accompagnate da un alone di critiche e polemiche a causa del fatto che le ascensioni vengono compiute senza l’autorizzazione delle autorità locali.

Per ben sette volte tenta di salire l’Everest, e, nel 1995, arriva a toccare la cima meridionale, a 8750 metri, dove, sfinita, perde conoscenza e, ancora una volta, viene salvata in extremis, grazie all’intervento di Rob Hall, che, in discesa dal Colle Sud, la soccorre e la riporta al campo base.

Questa ennesima terribile esperienza non ferma la sua voglia di confrontarsi con le altissime quote e, nel maggio del 1996, diviene la prima donna a toccare la vetta del Lhotse, raggiunta in ascensione solitaria. Di nuovo la felicità per il risultato raggiunto viene oscurata dall’ombra della tragedia: proprio nei giorni della sua ascensione la Mauduit assiste al calvario degli alpinisti bloccati dalla bufera che investe l’Everest e che causerà la morte, fra gli altri, dell’amico Scott Fisher.

Quindici giorni dopo la forte alpinista francese è di nuovo in vetta ad un Ottomila: questa volta si tratta del Manaslu, anch’esso salito in solitaria.
La salita del Gasherbrum II, nel luglio dell’anno successivo, la conferma definitivamente come una delle più forti scalatrici del momento.

Nel 1998 Chantal si appresta a varcare la metà del suo percorso sulle vette più alte del mondo: l’obiettivo è il Dhaulagiri. Si avvia sulla montagna assieme al fidato sherpa Ang Tshering ma, dopo un periodo di maltempo, le comunicazioni con i due si interrompono. Il 13 maggio Ed Viesturs raggiunge il campo 2, a circa 6500 metri di quota, dove trova la loro tenda: all’interno scopre i cadaveri di Chantal e Tshering, probabilmente uccisi da una valanga o da una scarica di sassi.

Dopo la sua morte, gli amici di Chantal decidono di rendere omaggio al suo ricordo portando avanti l’impegno sociale che l’aveva sempre contraddistinta e creando l’associazione Chantal Mauduit Namasté, che si dedica alla realizzazione di progetti per il miglioramento delle condizioni di vita delle popolazioni nepalesi e in particolare dei bambini.

Le ascensioni in Himalaya

  • 3 agosto 1992, K2 per lo Sperone Abruzzi
  • 4 ottobre 1993, Shisha Pangma, parete sud
  • 31 ottobre 1993, Cho Oyu
  • 10 maggio 1996, Lhotse, prima salita femminile e in solitaria
  • 24 maggio 1996 Manaslu, in solitaria.
  • 17 luglio 1997, Gasherbrum II

Libri

  • Abito in paradiso, Chantal Mouduit, Versante Sud, 2023 (prima edizione francese 1997)
  • Chantal Mauduit. Elle grimpait sur le nuages, Alexandre Duyck, Edizioni Paulsen, 2016
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Un commento

  1. sono cresciuto con la rivista “Alp”,ho ancora il poster di c.desteville, Chantal era un alpinista unica nel suo genere, consapevole dei rischi a cui andava incontro… aveva davanti tante sfide.

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