Paul Pritchard, l’uomo che visse due volte
Lo scalatore inglese, vittima di un drammatico incidente di arrampicata ma poi capace di ripartire nonostante le disabilità, raccontato dal traduttore dei suoi libri. Che svela la personalità di un uomo speciale
Lo scalatore britannico-tasmaniano Paul Pritchard è uno di quegli uomini che, invece di abbattersi di fronte ad una tragedia come l’emiplegia causata da un incidente, risponde facendo subentrare la comprensione che il limite è l’asticella del possibile da raggiungere e superare per porsi obiettivi via via più elevati anche nel mondo della Montagna e del Verticale.
Riuscire a tradurre simili personaggi richiede a chi sta tra il protagonista “diversamente abile” e l’ascoltatore, di saper elaborare e tradurre percezioni e sensibilità superiori, raffinate, la cui comprensione e resa in forma intelligibile non è mai scontata.
Ho l’occasione di conoscere Paul in occasione di una “tre giorni” in sua compagnia a Bergamo, Varese e Poschiavo. Mi era stato anticipato che non sarebbe stato semplice seguirlo e tradurlo, e che sarebbe stato un tour de force di un certo livello. Io però affronto la mia vita, soprattutto quella lavorativa, con lo stesso spirito con cui affronto i miei bassissimi limiti in montagna, ovvero non considerandoli barriere insuperabili, ma ostacolo di turno da valutare e superare. Accetto quindi volentieri l’invito, bramoso di conoscere l’uomo del Totem Pole.
Prima dell’incidente Paul Pritchard era stato uno dei migliori scalatori a livello mondiale, attivo in pressoché in tutti i continenti. Durante una scalata di un pinnacolo roccioso della Tasmania a livello del mare, chiamato il Totem Pole, un sasso caduto dall’alto centra in pieno la calotta cranica dello scalatore britannico, lasciandolo riverso sulla cengia sui cui si trova, in un lago di sangue. La compagna di cordata scende da sola, risale la scogliera, percorre di corsa i vari chilometri che la separano dalla civiltà e riesce a organizzare i soccorsi.
Dopo una lunghissima degenza, Paul si ritrova emiplegico e soggetto ad attacchi epilettici. Deve imparare ex novo a parlare, ad alimentarsi, a scrivere, a camminare… A vivere.
Paul non si abbatte e decide di imparare a vivere la sua “seconda vita”, arrivando, con una serie di ragionamenti al limite, addirittura a ringraziare l’incidente avuto per avergli dato la possibilità di ripensare la sua vita.
Col triciclo reclinabile, il trike, compie viaggi difficilmente realizzabili anche per un normodotato, come salire al Campo Base dell’Everest partendo dal Tibet per scendere in Nepal.
Torna a scalare sul facile, in falesia, e proprio in Italia, ad Arco, torna a salire da primo vie che per quanto di grado non superiore al terzo, di certo rimangono un’impresa davvero ai limiti per un emiplegico.
Si immerge nello studio della filosofia e della psicologia, di testi sacri antichi e recenti, occidentali e orientali, elaborando una sorta di autodisciplina del dolore e della sofferenza, trasformati in fattori di crescita, limiti da superare e non da odiare.
Di tutto ciò e di molto altro Paul racconta nei suoi incontri con il pubblico e da subito a colpirmi è la totale assenza di autocommiserazione e la calma interiore che lo porta a ridere di tutto e soprattutto di sé.
“Luca, per piacere, quando mi traduci segnalami se sto andando via di testa, a volte mi disoriento, non mi ricordo più le parole, oppure le confondo…”
Al riguardo, ecco una delle sue battute preferite, regolarmente citata:
“Sai, mi è capitato una volta di voler ordinare un uovo per colazione, ma la parola non mi veniva… Insomma, alla fine mi sono spazientito ed ho ordinato ‘quella cosa priva di spigoli che esce dal culo dei polli’ ”.
In birreria, dopo una serata, guardando il campo di battaglia di boccali vuoti davanti a noi, se ne esce con un:
“Eh, ho fatto fatica a imparare nuovamente ad alimentarmi, a bere… Devo recuperare e con te, Luca, mi sa che ce la farò ben presto! Sai, le prime volte mi rovesciavo la birra addosso come un bambino!”. E scoppia in una fragorosa risata proprio come farebbe un bambino.
Cortesissimo con le persone, prima di parlare ascolta fino in fondo ciò che gli altri hanno da dire, comportamento peraltro molto apprezzato e tipico di chi fa il mio lavoro, visto che dobbiamo capire tutto fino in fondo per poterlo “rendere”, oltre ad essere un segno di grande rispetto.
Gentile, ma fermo sulle sue convinzioni: durante la serata a Bergamo, città con una chiara vicinanza alla Chiesa cattolica, gli viene posta la classica domanda se l’aver frequentato le montagne e soprattutto ciò che gli è successo lo hanno portato ad avvicinarsi ancora di più a Dio.
Si volta, mi guarda e a bassa voce mi chiede se possa dire la verità o se debba invece dire due frasi di circostanza. Lo invito a dire solo ed esclusivamente la verità, se lo può permettere e lo deve per rispetto a chi ascolta. Si mette a ridere, mi da una pacca sulla spalla, si volta verso il pubblico, al quale la scenetta provoca ilarità, e con una flemma del tutto British, risponde:
“Signora, so di essere in una città in cui c’è una forte vicinanza alla religione, so che c’è un Papa che proviene da quest’area ma, francamente, io sono sempre stato assolutamente ateo e tale mi ritengo ancora, almeno per quanto riguarda le religioni e le fedi codificate che conosciamo. Mi piace approfondire le filosofie e i misteri della vita, certo, ma sono veramente molto lontano dall’idea della vicinanza a Dio di chi sale le montagne”.
Forza della natura che quando inizia a prendersi in giro non ha limiti, Paul dedica molto spazio al rispetto degli altri e ha sviluppato una propria filosofia interiore che lo porta a trattare con dolcezza e compassione chiunque dimostri astio o fastidio per il suo stato di persona affetta da emiplegia.
“Luca, lo sai che nel Tibet quando vedevano me e la mia compagna di viaggio passare con i trike in più occasioni ci hanno lanciato sassi ed altre porcherie. D’altronde vanno capiti, per loro esistono karma e reincarnazione, se in questa vita sei così mal messo chissà di quali crimini ti sei macchiato nella vita precedente…”.
Da allora ci sentiamo regolarmente e nel 2023 ho tradotto il suo “The Mountain Path” decidendo di tradurlo con “La Via per la Montagna”, optando per “via” invece di “sentiero”. “Path” è molto più di un sentiero, è “la Via”, l’itinerario da seguire. Volendo ricercare assonanze con una religione che lui non riconosce e nei confronti della quale io mi professo agnostico da anni, il titolo corretto potrebbe essere la “Via della Vita verso la Verità”, quella dentro a ciascuno di noi. La stessa che permette al traduttore, Caronte delle parole e delle idee nella bolgia delle lingue, di essere realmente in vera sintonia con l’Autore tradotto.
Approfondimenti:
Paul Pritchard, Totem Pole: risalita dall’abisso, CDA & Vivalda, 2003.
Paul Pritchard, Deep Play, Versante Sud 2012.
Paul Pritchard, La via per la montagna. Il viaggio di uno scalatore tra la vita e la morte, Versante Sud 2023.
Vedi inoltre il capitolo a lui dedicato in L. Calvi, Lost in Translation, Edizioni del Gran Sasso 2023.