Non c’è Pesce senza Igor
Il racconto dell’incontro con Igor Koller avvenuto in occasione del quarantennale della Via Attraverso il Pesce. Tra brindisi, sorrisi e domande scomode
E’ il primo di agosto del 2021 e arrivo a Malga Ciapela con un tempo in progressivo peggioramento. Non fa freddo, ma è evidente che sarà una giornata non solo uggiosa, ma proprio bagnata.
Ho appuntamento per le undici al rifugio Falier. Risalgo di buona lena il sentiero tra uno scroscio e l’altro, dapprima infilandomi e togliendomi la cerata e optando alla fine per un più pratico ombrello da escursionismo che, infilato ad arte nelle cinture dello zaino, sta su senza dover essere tenuto in mano.
Prima pausa a Malga Ombretta, dove un po’ di luce squarcia le nuvole e mi permette di intravvedere la Parete d’Argento per un tempo appena sufficiente a lasciarmi bere il caffè ben corretto preparatomi dalla Anna. Riparto sotto un altro scroscio e arrivo al rifugio allegro nonostante la pioggerella, perché la montagna, e quella in particolare, è bella e godibile sempre. Anche se piove.
All’arrivo mi accoglie affettuosamente lo storico rifugista Dante Del Bon, che subito avvisa chi mi sta aspettando, e dopo un paio di minuti ecco scendere Igor Koller, che mi guarda con i suoi tipici occhioni spalancati.
“Luca, ma sei venuto con questo tempo! Cosa da veri alpinisti senza paura! Grazie per essere venuto a festeggiarmi. Perché adesso si festeggia, si mangia e si beve, vero?”
Ci abbracciamo, lo mando a quel paese ed iniziamo a ridere e chiacchierare.
Poco dopo arriva in mountain bike Maurizio Giordani. Il suo saluto è una dichiarazione d’intenti:
“Ma chi cavolo dice che questo è maltempo? E’ il tempo perfetto. Sì, per mangiare e bere in rifugio”.
Di lì a poco a tavola ci troviamo dunque in “pochi ma buoni”. Igor, Pet’o, suo amico slovacco, Maurizio e io a farci coccolare da Dante e ad ascoltare le storie sulla parete che di tanto in tanto fa capolino. Nel frattempo, il rifugio si è riempito.
Quei pochi ma buoni sono radunati per festeggiare il quarantennale della prima ascensione della Via Attraverso il Pesce, effettuata tra il 2 e il 4 agosto del 1981. Una via iconica, paradigmatica, a ragione divenuta quasi da subito un pezzo di storia dell’alpinismo.
Dopo una sana mangiata e “qualche” bicchiere di rosso, prendo in mano la situazione e racconto ai non pochi avventori presenti chi sono i personaggi seduti a quel tavolo e, soprattutto, cosa stanno festeggiando.
Igor chiaramente lievita per la gioia, con gli occhi ancor più grandi del solito, lucidi. Ringrazia tutti e poi, dopo un sospiro, si lascia andare a racconti. Su quella parete ha aperto una quindicina abbondante di vie nuove e parecchie altre ne ha aperte sempre sulle montagne delle Dolomiti, del gruppo Masino-Bregaglia, dei Tatra. Lo interrompo con la mia solita battuta a lui dedicata, ovvero “Non di solo Pesce vive l’Igor”.
L’eterna domanda: chi ha aperto i tiri più difficili?
Quella Via del Pesce, però, Igor ce l’ha nel cuore per mille motivi che ama raccontare senza falsi pudori. Ne approfitto, dunque, per tornare una volta di più sulla vexata quaestio di chi abbia salito da primo i tiri più difficili della via. Ne avevamo già discusso per il libro “Il Guerriero dell’Est”, ma, come si sa, repetita iuvant. Non manca infatti chi ancora oggi, soprattutto online, ipotizzi o semplicemente affermi che per la Via Attraverso il Pesce tutte le lunghezze più dure siano state salite da Jindro, all’epoca diciassettenne.
“Igor, per cortesia, una volta per tutte: chi ha tirato le lunghezze più difficili? Tutte Jindro, tutte tu o ve le siete divise?”
“Dai, Luca, lo sai, siamo saliti a comando alternato, come due partner che si conoscono da tanto. Il famoso tiro “duro”, ovvero quello più pericoloso, l’ho risolto io. Mi riferisco all’uscita dal Pesce, quando sono salito sulle spalle di Jindro per piantare sul friabile tre chiodini pregando tutti i Santi che potessero tenere. Ecco, quella lunghezza, cui tanti fanno riferimento, l’ho salita io, avevo più esperienza di lui per certe cose”.
Igor continua, ma facendosi improvvisamente più serio: “Io però non ho mai detto di aver tirato da primo tutte le lunghezze ‘difficili’. No, di tiri come quello lì, quello ‘famoso’, ce ne sono cinque. Tre li ha saliti da primo Jindro e due io. In più ricordati che quella mia ‘uscita’ a sinistra, peraltro, è a tutti gli effetti ancora da ripetere. Quella che viene seguita adesso è l’uscita a destra, lungo quella che sarebbe corretto chiamare variante Mariacher”.
Non ci resta che concludere, levando i calici, che la via è di Koller e Šustr, salita a comando alternato, con più che equa divisione dei tratti facili e, soprattutto, di quelli difficili. Non c’è dunque “più Igor” o “più Jindro”.
Poi, però, la chiosa finale, con la voce impercettibilmente più ferma e con lo sguardo quasi luciferino, lascia capire la forza e la grandissima determinazione di Igor:
“Traduci, amico mio. Io riconosco sempre il valore degli altri. Sempre. Però ti ripeto che allora Jindro per me e mia moglie era come un figlio, un ragazzino che poi ho portato con me ad aprire una delle più belle vie della storia dell’alpinismo. Una via che avevo intuito e disegnato nella mia mente, sulla quale lui ha potuto dar prova di avere qualità eccezionali. Io, però, quella via avrei potuto salirla anche con un altro compagno. Jindro, prima di partire sapeva invece a mala pena dove fossero le Dolomiti. Senza Šustr in quel frangente storico il Pesce ci sarebbe stato comunque; senza Koller, credo proprio di no”.
Approfondimenti:
Igor Koller, Il Guerriero dell’Est, a c. di L. Calvi, Alpine Studio, Lecco, 2012.
Vedi, inoltre, il capitolo dedicato a Igor Koller in L. Calvi, Lost in Translation, Edizioni del Gran Sasso, Roma, 2023.