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Progetto l’Adieu des glaciers. Aperta fino al 7 gennaio al Forte di Bard la mostra dedicata al Monte Bianco

Scienza e fotografia, per una divulgazione rigorosa ma alla portata di tutti. Ne abbiamo parlato con il professor Michele Freppaz, curatore della parte scientifica del progetto

Un progetto complesso, dal titolo evocativo. L’Adieu des glaciers dal 2020 al 2023 ha indagato, attraverso un importante lavoro iconografico e scientifico, le trasformazioni per effetto dei cambiamenti climatici dei ghiacciai dei principali quattromila delle alpi occidentali: il Monte Rosa, il Monte Cervino, il Gran Paradiso e, quest’anno, il Monte Bianco. Un progetto articolato attraverso il quale si vuole mantenere viva la memoria di questi giganti bianchi, tanto imponenti quanto fragili.
Ne abbiamo parlato con Michele Freppaz, professore presso il Dipartimento di Scienze Agrarie, Forestali e Alimentari dell’Università degli Studi di Torino e curatore della parte scientifica del progetto.

Un progetto che combina in modo sinergico fotografia e scienza, come?

I quattro principali massicci montuosi valdostani, ognuno con le proprie caratteristiche, sono i protagonisti indiscussi. Un progetto che combina in modo sinergico aspetti fotografici e ricerca scientifica e che vede come risultato finale l’allestimento di una mostra, una per ognuno delle quattro macroaree glaciologiche indagate. Nello specifico, gli aspetti fotografici delle mostre, allestite presso il Forte di Bard, sono stati curati da Enrico Peyrot, fotografo e ricercatore storico – fotografico, mentre gli aspetti scientifici sono stati curati dal sottoscritto.

Come è stata organizzata la parte scientifica?

La parte scientifica e quella iconografica rappresentano due facce della stessa medaglia, due anime perfettamente integrate. Per quanto riguarda la ricerca scientifica è stata fatta una specifica richiesta da parte della Cabina di Regia dei Ghiacciai e del Comitato Glaciologico Italiano a vari enti di ricerca affinché scrivessero le attività condotte nelle quattro macroaree analizzate. La risposta è stata a dir poco straordinaria, con un importante contributo da parte di moltissimi attori che hanno descritto le proprie attività. Attività che coprono un importante spettro, con campi di indagine molto diversificati.

Ricollegandosi al tema della multidisciplinarietà, esiste una corrispondenza trai diversi campi di azione e le specifiche aree geografiche?

Ci sono ricerche comuni a tutti i gruppi montuosi, ad esempio quelle che riguardano le campagne glaciologiche e il monitoraggio dei ghiacciai, con misurazioni annuali che, se riprodotte per un lasso di tempo abbastanza lungo, portano ad avere un quadro storico evolutivo in grado di definire lo stato di salute dei corpi glaciali. Poi ci sono ricerche più specifiche, per esempio quelle riguardanti la degradazione del permafrost, ovvero il substrato permanentemente gelato, con importanti conseguenze sulla stabilità delle pareti rocciose; nello specifico il Monte Cervino rappresenta da questo punto di vista un laboratorio a cielo aperto, i cui versanti sono sempre più spesso soggette a crolli di roccia. Altri studi riguardano la neve come sensore e in particolare i carotaggi che sono avvenuti e avvengono nell’area del Monte Rosa.

Tutti e quattro i massicci montuosi, seppur con caratteristiche e manifestazioni diverse, ci testimoniano di quanto la criosfera – ghiaccio, neve e permafrost – sia in forte sofferenza e in disequilibrio con il clima attuale e ci comunicano e ci raccontano una storia globale. Quindi si, tanti laboratori specifici con risultati che però possono essere estesi a diversi contesti.

Un progetto utile a far conoscere il lavoro di tanti ricercatori, ricercatrici, esperti a persone “comuni”

L’obiettivo è stato quello di recuperare il maggior numero di ricerche condotte sulla criosfera per ciascuno dei quattromila valdostani e presentarle con modalità in grado di coniugare rigore scientifico e facilità di comprensione. Per ciascuna delle quattro macroaree le informazioni pervenute sono state rielaborate e presentate in specifiche schede, le quali a loro volta sono state raccolte in cataloghi, come se fossero dei veri e propri documenti d’identità, uno per ciascuno dei gruppi montuosi indagati.

Per esempio, per quanto riguarda il Monte Bianco abbiamo messo insieme ben 29 schede, dalle quali emerge chiaramente come la montagna sia in forte sofferenza ma come sia anche uno straordinario laboratorio scientifico che ospita moltissime discipline diverse, come la geoglaciologia, la nivologia ma anche studi nell’ambito della fisica. Insomma, i quattro massici, ciascuno con le proprie peculiarità hanno e continuano ancora oggi ad ospitare moltissimi esperimenti. Un esempio sono gli esperimenti che a metà degli anni ’80 si conducevano nel campo della fisica e delle particelle all’interno di tunnel scavati nella montagna.

Rigore scientifico e linguaggio accessibile: le schede e le immagini organizzate in mostre divulgative

L’obiettivo è stato quello di trovare una modalità di divulgazione scientifica che fosse in grado di coniugare rigore scientifico e un linguaggio accessibile e adatto ad intercettare una platea il più ampia possibile. Per fare questo abbiamo chiesto a tutti coloro che hanno compilato le schede di esprimere con un linguaggio semplice ma non banale la propria attività, il proprio settore di ricerca ma anche soprattutto di indicare delle parole chiave. Emerge chiaramente che per ciascuno dei massicci montuosi indagati ci sono alcune parole chiave e questo dipende dal fatto che ognuno di essi è unico.

Per esempio, per quanto riguarda il Monte Rosa alcune delle parole chiave sono monitoraggio e carotaggi;  invece per il Gran Paradiso uno dei termini più ricorrenti è biodiversità, riferita al Parco Nazionale del Gran Paradiso. L’area del Cervino è da sempre studiata per i rock glacier e l’instabilità dei versanti ed ecco che entrambi rientrano nelle parole chiave, così come copertura detritica e ghiacciai neri lo sono per il Monte Bianco per via del Ghiacciaio del Miage. Complessivamente sono state prodotte 91 schede con oltre 200 ricercatori, una risultato davvero straordinario.

Foto e schede che si sono perfettamente integrate all’interno di quattro mostre, una per ciascuna delle macroaree indagate ma anche in specifici cataloghi che rappresentano una sorta di enciclopedia della criosfera dei principali gruppo montuosi valdostani, con oltre 250 riferimenti bibliografici. Due strumenti che rendono i dati accessibili e intellegibili al più vasto pubblico possibile.

Alle parole e alle foto devono seguire necessariamente  i fatti: la  mostra come spunto di riflessione

I ghiacciai sono sentinelle del cambiamento climatico, in una maniera visivamente molto efficace di quello che sta accadendo a livello climatico; stiamo vivendo un’intesa accelerazione di questi processi e questo soprattutto a partire dagli anni Ottanta del secolo scorso. In montagna tutto questo viene amplificato e i ghiacci ne sono la testimonianza. Però, oltre ad avere una profonda conoscenza e consapevolezza del problema, non dobbiamo dimenticarci il lavoro di tanti ricercatori e ricercatrici che con il loro lavoro hanno contribuito al sapere di questi ambienti tanto belli quanto ostili all’uomo. In particolare, la figura di due scienziati – alpinisti che hanno vissuto la loro vita e le loro ricerche su questi massicci, e sono Umberto Monterin, un glaciologo e climatologo e Angelo Mosso, fisiologo umano e professore all’Università degli Studi di Torino.

Tornando ai giorni nostri esiste una gamma di Enti che si occupano di curare questi pazienti malati quali sono i nostri ghiacciai alpini; ad esempio, gli operatori del Comitato Glaciologico Italiano che ogni anno conducono campagne di misurazione delle fronti glaciali e ne testimoniano numericamente l’arretramento. Serie storiche che permettono una comprensione della portata di un fenomeno globale ma che sulle Alpi assume connotazioni ancora più evidenti.

I ghiacciai come servizi ecosistemici culturali: un patrimonio da salvaguardare e valorizzare

La fusione dei ghiacciai non rappresenta solo una perdita di un patrimonio naturalistico e scientifico ma anche culturale e linguistico. Infatti, i ghiacciai oltre ad essere degli archivi naturalistici possono essere anche visti come dei veri e propri servizi ecosistemici culturali. La loro estinzione comporterebbe una perdita di linguaggio, dei modi di descrivere questi straordinari ambienti e “organismi viventi”. Una perdita, dunque, non solo fisica e materiale ma anche culturale e questo ci deve indurre a riflettere e a maturare una nuova consapevolezza.
Il paesaggio naturale è anche un paesaggio culturale, quindi se si impoverisce uno, di conseguenza, reagisce negativamente anche l’’altro. Il ghiacciaio è anche in relazione con l’uomo e oggi noi ne stiamo modificando le relazioni (in modo negativo).

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