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Cosa è davvero successo a Reinhold Messner?

Qualche giorno fa, un post apparso sulla sua pagina Instagram ha fatto pensare che Messner sentisse la morte vicina. Non è vero. E’ in viaggio in India, tra i templi di Varanasi e le acque sacre del Gange

L’alpinista più famoso del mondo sta bene. I video e le fotografie postati tra domenica e lunedì sulla pagina Instagram “Reinhold Messner official” ce lo mostrano a Varanasi (o Benares), la città sacra dell’India.

Vediamo l’uomo degli ottomila in una giornata nebbiosa, di fronte alle scalinate che scendono al Gange, e dove ogni giorno si celebrano i funerali di centinaia di indù. I corpi dei fedeli vengono cremati, poi le ceneri sono portate via dal fiume. Poi Messner si affaccia dall’alto sull’acqua, di sera, e osserva le imbarcazioni ormeggiate. Infine si appoggia a un’immagine sacra, in un tempio del dio Shiva. Sta bene.

Sabato scorso, sempre sulla sua pagina Instagram, l’alpinista più famoso del mondo aveva pubblicato una riflessione sull’età e sulla morte. “Sono arrivato alla fine, questa è la realtà. Me ne vado con la coscienza pulita, sapendo di essere stato una brava persona, di aver dato il massimo, di essere stato un padre amorevole, un buon amico e un buon fratello”, ha scritto Messner accanto a una foto che lo ritrae vicino a un lago alpino. “Ora è il momento di vivere i miei ultimi sogni e di amare le persone che significano molto per me, ma la cosa più importante è la gratitudine”.

Queste frasi, scritte in inglese, hanno provocato un brivido di preoccupazione in tutto il mondo. Sul social, accanto al post di Reinhold Messner, sono immediatamente comparse centinaia di commenti. Uno dei più belli, affiancato da un cuore, è opera dell’alpinista bergamasco Simone Moro, uno degli eredi dell’altoatesino in Himalaya e nel Karakorum. “Ti amiamo, ogni giorno è un nuovo giorno e un nuovo pezzo di vita. Non c’è un’età per sognare, ma c’è il sogno giusto per ogni età”.

Il mondo è scosso da tragedie e da guerre, l’umanità ha bisogno di eroi pacifici. Non a caso Reinhold Messner, che nel 2024 festeggerà gli 80 anni, è uno dei personaggi più noti e più amati del pianeta. A ottobre, quando il “Guinness dei primati” gli ha tolto lo scettro di re degli “ottomila”, la rivolta degli alpinisti e del pubblico lo ha riportato a forza sul trono.

Tra sabato e domenica scorsi lo spavento è rientrato perché, qualche ora dopo aver postato quel testo, l’alpinista, esploratore, regista e creatore di musei altoatesino ha spiegato di star bene, e di essere in partenza per l’India. Ma il tempo non si ferma per nessuno, e Messner questo lo sa molto bene.

Nella sua vita di alpinista, sulle Dolomiti e poi a 8000 metri, Reinhold ha visto la morte in faccia a causa di valanghe, cadute nei crepacci o malanni aggravati dall’altissima quota. Sull’Everest, dov’è salito due volte senza respiratori e bombole, nel 1978 con Peter Habeler e poi nel 1980 da solo, ha rischiato di morire a causa della mancanza di ossigeno.

Nel 1970, mentre Reinhold scendeva esausto dal Nanga Parbat, suo fratello Guenther è rimasto indietro, è caduto in un crepaccio ed è morto. Qualche anno più tardi Siegfried Messner, il fratello maggiore, guida alpina, è stato ucciso da un fulmine sulle Torri del Vajolet. Nel 1990, Reinhold ha rischiato più volte la pelle quando ha compiuto la prima traversata sci ai piedi dell’Antartide insieme all’esploratore tedesco Arved Fuchs.

Oltre a essere un uomo coraggioso e un alpinista straordinario, Messner ha sempre guardato avanti. Nel 1986, dopo aver completato per primo, sugli 8516 metri del Lhotse, la collezione dei 14 “ottomila” della Terra, ha iniziato a pensare ai suoi musei, che mettono in mostra opere d’arte, cimeli dell’alpinismo e dell’esplorazione e oggetti arrivati da ogni parte del mondo.

Nell’estate del 2024, sul Monte Elmo, in Alto Adige, nascerà l’ultimo dei Messner Mountain Museum. Da due anni, Reinhold ha lasciato la responsabilità dei musei alla figlia Magdalena, per dedicarsi alla regia dei suoi film di alpinismo. L’ultimo progetto è la Messner Mountain Heritage, una serie di iniziative culturali da realizzare con la terza moglie, la tedesca Diane Schumacher, che ha 35 anni meno di lui, e che Messner ha sposato poco prima di festeggiare i 77.

L’alpinista altoatesino non ha mai nascosto a sé e agli altri il passare del tempo. Dopo l’ultima impresa himalayana, una via nuova sugli 8125 metri del Nanga Parbat salita nel 2000 insieme al fratello Hubert, ad Hans Peter Eisendle e a Wolfgang Thomaseth, ha rilasciato al giornalista tedesco Thomas Huetlin una lunghissima intervista destinata a diventare “La mia vita al limite”, il libro con cui nel 2004 ha festeggiato i 60 anni.

Anche “Il senso dell’inutile”, scritto a due mani con Diane e uscito pochi mesi fa, è pieno di riferimenti al tempo che passa e alla fine. “Ho avuto paura di morire a causa del Covid, mi sono vaccinato subito”, ci ha raccontato qualche mese fa in un’intervista.

Continuo ad andare in montagna più volte a settimana, quando arrampico sul ghiaccio o sulla roccia il capocordata è mio figlio Simon. Scrivere, come l’alpinismo, è l’arte di resistere alla morte”. Varanasi/Benares, affacciata sulle acque del Gange, è un buon luogo per interrogarsi sulla fine che attende ognuno di noi. Buon viaggio in India, Reinhold Messner!

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