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Serenità e riscatto passano dal boulder

Il progetto Climbing for a Reason coinvolge bambini delle zone più disagiate del mondo. Il caso della Tanzania

Le grandi imprese non sono solo sulle vette più alte o sulle pareti più difficili. A volte basta una piccola parete per l’arrampicata artificiale e qualche masso sul quale fare boulder. Questo il senso  del progetto umanitario/sportivo nato dalla passione per l’arrampicata e dalla voglia di fare qualcosa di pratico per aiutare giovani che vivono in luoghi dove il disagio si fa sentire in modo profondo. E’ il caso di Climbing for a Reason – nato dalla passione di Lucho Birkner (scalatore, attivista e imprenditore cileno) e Mateo Barrenengo (regista e documentarista specializzato nell’outdoor) circa sei anni fa – che cerca di far sviluppare nei ragazzi meno fortunati la passione dell’arrampicata  dando loro  anche un’opportunità per un futuro lavoro.

CFR interviene in aree fuori dalle classiche rotte turistiche e dove l’arrampicata non è sviluppata ma la roccia è di qualità eccellente. Tra i paesi teatro dei  progetti ci sono Cile, Messico, Nepal, India e Suriname. Ultima in ordine cronologico è la Tanzania. Ne abbiamo parlato con Giorgia Bernabò, trentenne genovese ma milanese d’adozione, volontaria del progetto Climbing for a Reason nel paese africano.

Da dove è nata la decisione di partire per la Tanzania?
Sono stata una delle primissime volontarie di Climbing for a Reason e quando mi hanno chiesto di mollare tutto per un paio di mesi ed andare in Tanzania a Musoma, sulle sponde del Lago Vittoria, non ci ho pensato due volte. Eravamo ospitati dall’orfanotrofio Jipe Moyo Centre nato circa 20 anni fa grazie a Sister Chacha, una delle persone più carismatiche che abbia mai incontrato. Ha iniziato con l’obiettivo di salvare le bambine dalla mutilazione genitale, poi si è aperta a un’accoglienza più ampia. Oggi l’orfanatrofio accoglie bambini e bambine da un anno di vita fino ai 17 anni. Quando sono scesa io erano circa 70 gli ospiti, tutti fuggiti da casa per situazioni pazzesche come la mutilazione genitale femminili, abusi di vario genere, human traffic, stupri. Non è stato facile, nemmeno con l’arrampicata guadagnare la loro fiducia.

Come Climbing For Reason è arrivato nel Paese africano?
Benedetta Serra, volontaria allo Jipe Moyo Center l’anno passato, dopo avere osservato le molte rocce di granito bellissimo sparse nei dintorni, ha contattato i ragazzi di Climbing for a Reason, che, alla ricerca di un nuovo posto dove poter insegnare ad arrampicare ai bambini, hanno deciso di intervenire anche in Tanzania.

Cosa siete riusciti a fare in questi due mesi?
Abbiamo costruito, grazie alle donazioni, una parete di arrampicata artificiale nel centro per far muovere ai bambini i primi passi sul verticale. Poi aperto qualche via intorno al centro e nelle zone limitrofe, alcune di più lunghezze ma soprattutto di boulder. Abbiamo, sempre grazie a donazioni, portato scarpette per scalare, imbraghi e magnesite. Inoltre è stata costruita una casetta per lo stoccaggio del materiale, dei nuovi bagni, comprato dei materassi per la parte dove dormono i maschi, che era la più spartana. Sono stati costruiti un impianto di Biogas e quindi una cucina, una laundry room e organizzato delle lezioni di inglese con insegnante del posto che potesse anche parlare in swahili.

Perché proprio l’arrampicata?
Lucho Birkner uno degli ideatori del progetto è un forte scalatore, oltre che un imprenditore che ama girare il mondo seguendo i propri sogni. L’arrampicata si presta molto a questi progetti perché è una sfida quotidiana che permette di allenare non solo il fisico ma anche la mente, si deve lavorare in coppia e socializzare. Riacquistando, così, la fiducia nel prossimo.

Inoltre la scalata può aiutare i ragazzi ad avere un lavoro futuro, come ad esempio diventare guide per accompagnare turisti e locali ad arrampicare. Nel caso della Tanzania ci si trova vicino al Parco del Serengeti, notissima e frequentata meta turistica. Le opportunità non dovrebbero mancare.

E ora, dopo che siete partiti?
Abbiamo acquistato un cellulare che ciclicamente ricarichiamo a nostre spese con cui i ragazzi ci contattano, e quasi settimanalmente sentiamo Sister Chacha. Abbiamo inoltre visto le potenzialità di 6 ragazzi (di cui due bambine) a cui stiamo cercando degli sponsor per poterli portare a scalare in giro per il mondo. Mateo Barrenengoa, uno dei più noti registi di Outdoor in Cile, ha anche realizzato un documentario sul progetto di Musoma che uscirà a breve. Qui link del trailer: https://www.instagram.com/p/CuzbruloMor/

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