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I Gessi dell’Appennino emiliano sono Patrimonio dell’umanità

Carsismo nelle Evaporiti e Grotte dell'Appennino Settentrionale è il sito (seriale) appena entrato nella lista Unesco. Sette luoghi spettacolari dove rivivere la storia geologica del Mediterraneo.

Dal 19 settembre 2023, l’Emilia Romagna, già famosa nel mondo per i tortellini, la Ferrari, Pavarotti e Fellini, ha aggiunto un altro tesoro nel patrimonio mondiale dell’umanità Unesco. Si tratta di un’ampia zona del suo territorio caratterizzato da “Carsismo nelle evaporiti e grotte dell’Appenino settentrionale”.

Detto così, per chi non è esperto di geologia o di speleologia, può sembrare parecchio criptico. Facciamo luce: innanzitutto, il nuovo gioiello Unesco è composto da sette siti inclusi nelle province di Reggio Emilia, Bologna, Rimini e Ravenna. Ci troviamo in territori della media montagna appenninica, caratterizzati dal carsismo, ovvero dalla presenza di rocce solubili, che hanno consentito nell’arco di millenni all’acqua di penetrare in profondità e trovare vie di circolazione sotterranea. Se avete visitato le grotte di Frasassi o quelle nel Carso, che ha dato il nome al fenomeno, avete visto che l’abbinata roccia solubile e acqua può creare grotte meravigliose, con stalattiti e stalagmiti.

In Emilia Romagna, invece, la roccia di queste aree è solubile, ma di natura diversa: sono evaporiti. «Si tratta di sedimenti minerali creatisi con la deposizione di sali sciolti nell’acqua, che si depositano appunto quando il liquido evapora. Il meccanismo è come nelle saline, ma cambia l’ingrediente principale: anziché cloruro di sodio – il nostro sale da cucina – è solfato di calcio bi-idrato, cioè il gesso. Quando circa 6 milioni di anni fa è evaporato, il gesso si è depositato formando cristalli di selenite dai riflessi lunari, disposti con la tipica forma a coda di rondine», spiega Maria Teresa Castaldi, presidente del Comitato Scientifico del CAI Emilia Romagna, che dal 2017 ha sostenuto il progetto di candidatura a sito Unesco di queste aree appenniniche. «La loro presenza crea un ambiente magico. Se si percorre, per esempio, il Sentiero dei Cristalli realizzato dal CAI di Lugo, i bagliori e i luccichii delle rocce creano un’atmosfera fiabesca, come diamanti che brillano».

Le evaporiti più antiche hanno 220 milioni di anni, le più “giovani” 5,5.

Per capire la genesi di questo prodigio geologico, bisogna fare un salto indietro nel tempo di parecchi milioni di anni. «Le evaporiti più antiche si trovano nell’Alta Valle del Secchia, la cui formazione risale al Triassico, cioè circa 220 milioni di anni fa», spiega Castaldi. «Quest’area è unica, ed è la più antica. Gli sei altri siti – i Gessi del basso Appenino reggiano, i Gessi di Zola Predosa, i Gessi dell’Appenino Bolognese, la Vena del Gesso Romagnola, i Gessi della Romagna Orientale e le Evaporiti di San Leo – sono nati fra i 5,9 e 5,6 milioni di anni fa, in un periodo chiamato Messiniano, catastrofico per il Mare Mediterraneo. Nell’arco di circa 340 milioni di anni, il sollevamento dell’area compresa fra la Spagna e il Nord Africa determinò la chiusura dell’attuale stretto di Gibilterra  e quindi l’isolamento del Mediterraneo dall’Atlantico. Il fenomeno si è ripetuto per ben 16 volte». Insomma, il Mediterraneo ha rischiato di diventare un lago. Come facciamo a dirlo? «La roccia ne è testimone: le stratificazioni presentano per 16 volte un’alternanza di gesso ad argilla o arenaria, che è una prova per gli studiosi, oltre agli studi legati alle variazioni cicliche del clima terrestre».

Novecento grotte, alcune visitabili

Il paesaggio montano appenninico racchiude, dunque, un libro prezioso e raro, che racconta un pezzo di storia del nostro pianeta. Solo in Spagna esistono testimonianze simili, ma l’elevata concentrazione in Emilia Romagna ha portato all’importante riconoscimento Unesco. «Noi vantiamo anche un elevatissimo numero di grotte, circa 900 nei sette siti», aggiunge Castaldi. «Il complesso carsico di Monte Caldina detiene il record mondiale di dislivello nei gessi: la profondità massima è 265 metri». Le grotte sono visitabili? «Sì, alcune  sono attrezzate ad accogliere il pubblico in sicurezza, sempre insieme a una guida. Sono la Spipola nei Gessi Bolognesi, la Tanaccia, la Re Tiberio e la Toresina nella Vena del Gesso Romagnola e la Onferno nei Gessi della Romagna Orientale. Ovviamente il percorso è limitato, anche per proteggere il delicato ambiente ipogeo». All’aperto, invece, c’è una ricca rete di sentieri curata dalle sette sezioni del CAI di tutta la zona interessata, che consente di camminare vicino a queste rocce così speciali unendo al cammino il piacere della scoperta geologica.

La parola “gesso” evoca ricordi d’infanzia, la lavagna con la polvere bianca sulle mani. C’è un legame con i Gessi riconosciuti dall’Unesco? «Certamente. Quando accompagno bambini e adulti alla scoperta dei Gessi nella mia zona, racconto sempre che basta bruciare con un accendino una roccia con una scaglia di gesso per far evaporare l’acqua contenuta ottenendo una polvere fine di solfato di calcio, detta scagliola», racconta Castaldi. «Se la metto in una cannuccia e aggiungo acqua, si ricava un gessetto come quelli usati a scuola». Al di là della chimica e della geologia, i Gessi hanno anche un forte legame con  la storia umana. «I romani utilizzavano il gesso per le loro costruzioni e nel 2015 nella Vena del Gesso Romagnola è stata trovata una cava che ne attesta la frequentazione dal II secolo a.C. Questo materiale è stato impiegato nel corso dei secoli per costruire case e mura, basti pensare che le basi delle Due Torri di Bologna sono in gesso». C’è poi una varietà secondaria di gesso, che si è cristallizzato a strati, facilmente divisibile in lastre piane e trasparente come il vetro. «Quando ancora non esisteva la tecnologia per creare vetri di grandi dimensioni, si tagliavano questi cristalli che venivano messi alle finestre. Solo dei ricchi, naturalmente».

Il CAI Emilia ha sostenuto il progetto. E s’impegnerà nella tutela di questi luoghi

Il patrimonio rappresentato dai Gessi e dalle Evaporiti è oggetto di studio da 400 anni. Lo stesso CAI ha pubblicato studi che risalgono alla metà del Novecento. Insomma, da tempo si è consapevoli dell’unicità di questi territori. Ma come si è giunti alla candidatura Unesco? «È frutto di uno sforzo congiunto. Nel 2015 tre importanti docenti universitari, l’allora direttore del Parco della Vena del Gesso romagnola e il presidente della Federazione Speleologica hanno promosso il progetto, proponendolo alla Regione che l’ha presentato al Ministero dell’Ambiente. Il CAI ha dato il suo ampio sostegno», spiega Castaldi. «Nel 2021 è stata presentata la documentazione all’Unesco e nel novembre 2022 un’ispettrice ha visitato i sette siti candidati». Il lieto fine lo conosciamo già. E ora, non resta che cogliere i frutti di questa fatica. «Il marchio Unesco di solito comporta un aumento del turismo del 15-20 per cento», ricorda Castaldi. «Non è un punto d’arrivo, ma una tappa intermedia. Nel ribadire la nostra soddisfazione, ricordiamo che questo importante riconoscimento comporta una grande responsabilità.  Il CAI ha come obiettivi la divulgazione della conoscenza della montagna, ma anche la sua tutela. La salvaguardia degli ambienti carsici e del loro patrimonio naturale richiede il massimo impegno. Occorre abbandonare la logica che considera l’ambiente soltanto come uno spazio da sfruttare indiscriminatamente o da distruggere. L’Unesco ha raccomandato proprio di porre un limite alle escavazioni. Continueremo a lavorare per far conoscere questi luoghi con serate ed eventi, ma sarà fondamentale in futuro non smettere di proteggerli».

Per scoprire questi luoghi l’autunno è la stagione ideale. In attesa della realizzazione di un sito unico per tutta l’area patrimonio Unesco, si possono consultare il sito https://ambiente.regione.emilia-romagna.it/it/parchi-natura2000 e i quelli dei singoli Parchi regionali.

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