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Quanti “Cold case” sulle Alpi! Il ritiro dei ghiacciai fa riemergere i resti di alpinisti scomparsi

Sono soprattutto i ghiacciai svizzeri a restituire i corpi di persone scomparse anche da oltre un secolo. Il problema delle identificazioni

L’ultima notizia risale a pochissimi giorni fa. Giovedì 31 agosto, la Polizia del cantone svizzero del Vallese ha ufficialmente identificato l’alpinista riemerso un anno prima dal ghiacciaio di Chessjen, nei pressi di Saas-Fee. Nell’estate del 2022, due escursionisti diretti alla Britannia Hütte, storico rifugio ai piedi dell’Allalinhorn, avevano visto affiorare dal ghiaccio delle ossa umane, dei resti di vestiti e un binocolo. Ma quel corpo è rimasto a lungo senza nome.

Negli archivi della Polizia del Vallese sono elencati circa 300 casi di camminatori e alpinisti scomparsi in alta montagna a partire dal 1925. Una ricerca per aree geografiche ha permesso di ridurre l’elenco dei nomi possibili. Poi, grazie alla collaborazione dell’Interpol e della polizia di Manchester, è stato identificato un possibile parente della vittima. L’analisi del DNA, realizzata nell’ospedale di Sion, ha confermato che i resti erano quelli di un alpinista britannico scomparso nel 1971.

Altri casi come questo sono stati risolti più rapidamente. Lo scorso 12 luglio, due alpinisti che stavano traversando il ghiacciaio del Teodulo, ai piedi del versante svizzero del Cervino, hanno visto spuntare dal ghiaccio, non lontano dalle piste di sci estivo, uno scarpone e un rampone. L’analisi del DNA sui resti umani trovati all’interno della calzatura ha permesso di identificare la vittima come un alpinista tedesco scomparso nel 1987, quando aveva 38 anni. La Polizia Cantonale del Vallese non ha rilasciato informazioni sulle circostanze della sua morte.

Negli ultimi decenni, come abbiamo raccontato più volte, il ritiro dei ghiacciai delle Alpi è diventato più rapido. Solo in Svizzera, che ospita le grandi colate delle Alpi Pennine, del Bernina e dell’Oberland, tra il 2021 e il 2022 è andato perduto il 6% della massa glaciale complessiva. Dall’Italia, dalla Francia e dall’Austria arrivano dati analoghi. Dal ghiaccio, oltre a oggetti di ogni tipo (rottami di aerei, reticolati e baracche della Grande Guerra…), emergono sempre più spesso dei resti di uomini e donne.

Il caso più celebre risale a 32 anni fa. Nel settembre del 1991, sul crinale tra la Val Senales e la Ötztal, sul confine tra Italia e Austria, due escursionisti tedeschi, Erika e Helmut Simon hanno scoperto sui 3200 metri del Giogo di Tisa un corpo umano mummificato che affiorava dal ghiaccio. Qualche giorno dopo il Bergrettung, il Soccorso alpino austriaco, ha liberato i resti e li ha portati all’obitorio di Innsbruck.

Il primo a capire che non si trattava di una vittima recente è stato Reinhold Messner, arrivato sul posto insieme a Hans Kammerlander dopo i Simon. Oggi sappiamo che quell’uomo, soprannominato Ötzi, l’uomo della Ötztal, è vissuto ed è morto circa 5.000 anni fa, nell’Età del Rame, e che prima di accasciarsi e morire ad alta quota era stato ferito da una freccia.
Oggi i resti, il vestiario e gli oggetti di Ötzi (tra questi un’ascia di rame, un amuleto di pietra, un arco con quattordici frecce e un pezzo di carne secca di stambecco) attirano decine di migliaia di visitatori ogni anno nel Museo archeologico di Bolzano. Sono diventati famosi anche i resti dei militari, Alpini italiani e Kaiserjäger austro-ungarici, che sono tornati alla luce sui ghiacciai del San Matteo e del Cevedale, teatro della “Guerra Bianca” del 1915-’18.

I tre fratelli “restituiti” dal ghiacciaio dell’Aletsch dopo quasi 80 anni

Meno attenzione, almeno in Italia, tocca ai ritrovamenti di alpinisti scomparsi, che diventano sempre più numerosi. Nel caldissimo agosto del 2022 sul ghiacciaio di Stockji, nei pressi di Zermatt, sono stati trovati i resti di un altro alpinista tedesco scomparso nel 1990, all’età di 27 anni, durante una traversata delle Alpi Pennine da Chamonix al Sempione.

Nel lungo elenco dei “Cold case” risolti dalla Polizia Cantonale del Vallese spicca quello dei resti scoperti nel 2012 dall’alpinista scozzese Robert McGregor e da sua moglie sul ghiacciaio di Aletsch, e che appartenevano a tre fratelli scomparsi 86 anni prima. A rendere relativamente facile l’identificazione sono stati un binocolo, un orologio da tasca, una pipa e un portafoglio contenente delle monete svizzere, la più recente del 1921.

Due anni dopo, il laboratorio di Sion ha ricostruito l’accaduto. Il 4 marzo del 1926 quattro alpinisti partiti dalla Hollandia Hütte erano stati uccisi da una bufera e sepolti dalla neve. Le ricerche, durate una settimana, non avevano dato risultati. Secondo un modello realizzato al computer, da allora, i corpi hanno viaggiato insieme al ghiaccio per circa 10 chilometri, alla velocità media di 122 metri all’anno. Il quarto alpinista, non imparentato con gli altri, non è stato ritrovato.

In Svizzera sono diventati famosi anche i casi di due giovani alpinisti giapponesi (21 e 23 anni), soci del Club Alpino Francese, morti nel 1970 mentre tentavano la parete Nord del Cervino, e riaffiorati nel 2014 sul Matterhorn Gletscher. Non erano alpinisti, invece, Marcelin e Francine Dumoulin, due svizzeri scomparsi nel 1942 sul ghiacciaio di Tsanfleuron mentre andavano in cerca delle loro mucche. La coppia ha lasciato sette figli, a ritrovarli nel 2017 è stato il conducente di un gatto delle nevi al lavoro sulle piste da sci.

In Austria ha destato scalpore il ritrovamento dello scorso 18 agosto, quando una guida alpina tirolese ha individuato un corpo umano sul ghiaccio dello Schlatenkees, ai piedi del Gross Venediger, sugli Alti Tauri. Le analisi del DNA non sono state ancora effettuate, ma una carta di credito e una patente di guida hanno permesso di identificarlo, con ragionevole certezza, come uno scialpinista scomparso nel 2001.

Solo pochi appassionati di montagna, al giorno d’oggi, ricordano Cinque giorni un’estate, Five Days One Summer nella versione originale, diretto nel 1982 da Fred Zinnemann, nel cui cast spiccava nientemeno che Sean Connery. Il film è una storia di amore e di alpinismo, ambientata tra le vette e i ghiacciai del Bernina. La fotografia, spettacolare, è firmata da Giovanni Rotunno.

In una indimenticabile scena, i resti di un alpinista scomparso mezzo secolo prima vengono recuperati in un ghiacciaio. E a piangere davanti al corpo, ancora biondo e giovane, è la sua fidanzata di allora, diventata un’anziana signora con i capelli bianchi. Era una fiction, ovviamente. Ma i “Cold case” delle Alpi, al giorno d’oggi, esistono e diventano sempre più numerosi.

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