AlpinismoAlta quota

La verità di Achille Compagnoni sul K2, secondo la cognata Fernanda Mossini

Cos’è davvero successo sul K2 il 30 luglio del 1954, la sera prima dell’arrivo di Achille Compagnoni e Lino Lacedelli sugli 8611 metri della cima? Quindici anni fa, nel 2008, il CAI ha accolto l’opinione della commissione dei “Tre Saggi” (Alberto Monticone, Fosco Maraini, Luigi Zanzi), e ha fatto sua la versione di Walter Bonatti. Gli anni passano inesorabilmente, e i due alpinisti che hanno raggiunto la cima sono entrambi scomparsi nel 2009. Lino Lacedelli ha chiesto pubblicamente scusa a Bonatti, Compagnoni si è chiuso in un orgoglioso silenzio. In questa intervista inedita, Fernanda Mossini, sorella minore di Elda, la seconda moglie di Achille, ci racconta l’indignazione e il dolore di un uomo di montagna tutto d’un pezzo.

(Stefano Ardito)

La storia dell’alpinismo italiano presenta ombre relative ad ascensioni anche di fortissimi scalatori poste in dubbio dai ripetitori, come la “prima”, nel 1925 e in solitaria, di Severino Casara sugli strapiombi Nord del Campanile di Val Montanaia o quella sul Cerro Torre, 1959, di Cesare Maestri e Toni Egger, quest’ultimo scomparso in discesa con la macchina fotografica che avrebbe dovuto documentare la vetta. L’ombra più pesante e nota è però quella che grava sulla “conquista” del K2 da parte della spedizione nazionale italiana del 1954 guidata da Ardito Desio e che vide sulla cima Achille Compagnoni e Lino Lacedelli.

Walter Bonatti, che aveva guidato il gruppo incaricato di portare in quota l’ossigeno supplementare per la cordata di punta, accusò i due alpinisti di avere spostato l’ultimo campo in un luogo diverso da quello concordato per non farsi raggiungere, e d’averlo così costretto col portatore Amir Mahdi a un bivacco a 8100 metri potenzialmente fatale, un evento che rese Mahdi invalido. In più, secondo Bonatti, Compagnoni e Lacedelli mentirono, sostenendo che quell’ossigeno era terminato prima della vetta.

La questione, dibattuta per decenni e occasione di giudizi negativi quando non irridenti sull’alpinismo italiano provenienti da “esperti” di tutto il mondo, mi ha colpito in ritardo, dopo la condivisione da parte del Club Alpino Italiano delle accuse di Bonatti e la condanna dei due della cima. Scavando negli scritti dei protagonisti, e di Bonatti soprattutto, ho maturato la convinzione che quella condanna fosse infondata e ho quindi, non richiesto, assunto la difesa di Compagnoni. Un impegno appassionante che mi ha dato modo di conoscere persone interessate come me a quell’ombra o interessanti per posizione o ricordi. Una è stata più importante di altre.

Fernanda Mossini, sorella minore di Elda, seconda moglie di Achille Compagnoni dal 1985 alla scomparsa di lui nel 2009, è una milanese concreta e decisa che ha raccolto dalla sua germana l’eredità morale del cognato, e i documenti e i cimeli della sua grande impresa. Ne fornisce un ritratto “dall’interno” ovviamente di parte come le mie domande ma ricco di notizie e spunti (e di grinta!), e cortesemente corredato di alcune immagini del suo archivio. Non ci sono più le voci dei diretti protagonisti, questa è una delle poche, o forse la sola, proveniente da personaggi a loro vicinissimi insieme a quella dei familiari di Pino Gallotti, che nel 2010 hanno dato alle stampe il suo diario. La storia che Fernanda Mossini racconta ci riguarda, e può contribuire a far luce sull’impresa più notevole dell’alpinismo italiano nel Novecento. Ascoltarla significa conoscere, e conoscere non fa mai male.

Quando e come ha conosciuto Achille Compagnoni e cosa sa di lui e della sua vita?
Ho conosciuto Compagnoni personalmente nei primi anni ‘70, quando con mia sorella Elda, appassionata di montagna e di sci, frequentavamo Cervinia abitualmente, tanto che Elda decise di acquistarvi un piccolo alloggio. Compagnoni era molto famoso per la sua impresa sul K2 e capitava spesso di incontrarlo e di intrattenersi con lui nel bar del suo Albergo Da Compagnoni.

Eravamo state più volte ospiti nel suo albergo e fummo molto colpite dalle due tragedie che lo ferirono negli affetti più profondi, la perdita nel 1973 del figlio maggiore Maurizio, nato nel 1943, in un incidente sull’Autostrada Milano-Torino, e la scomparsa nel 1979 della moglie Enrica, sua coetanea, che aveva con lui condiviso la sua vita di guida, alpinista e conquistatore del K2, oltre che la gestione del loro hotel. Qualche anno più tardi quella che era stata per Achille ed Elda una semplice conoscenza, si trasformò in un affetto sempre più tenace che li portò al matrimonio nel 1985. Elda vedeva in Achille il suo “eroe” e non esitò a lasciare Milano e il suo lavoro presso un’importante casa produttrice di cosmetici per trasferirsi a Cervinia, coadiuvandolo nella gestione dell’albergo, assistendolo nella vita di ogni giorno e difendendolo strenuamente dagli attacchi di Bonatti fino al 2009, quando Achille morì dopo 24 anni di vita insieme.

Io fui sempre vicina a Elda e quindi ad Achille, compatibilmente con la mia vita lavorativa. Nel 2004, ormai pensionata e libera da impegni familiari, mi recai a Cervinia per qualche giorno … e vi rimasi fino al 2019, collaborando con mia sorella e il marito nella gestione dell’albergo. Il mio rapporto con Achille era di amicizia, di affetto e di stima reciproche. Quello che più mi colpiva di lui era l’umiltà.

Compagnoni era stato prima del K2 un’affidabile guida del Cervino ma non era tra gli scalatori più noti di quegli anni. Dopo quell’impresa, fu limitato dalle mutilazioni alle dita delle mani conseguite ai congelamenti riportati lassù. Ma come uomo chi era, Achille Compagnoni?
Vorrei innanzitutto far notare che quando salì il K2 Achille aveva 40 anni. La sua carriera di alpinista e di atleta dello sci – era diventato maestro nel 1942 – si svolse quindi principalmente prima della Seconda Guerra Mondiale sul Monte Bianco e sul Rosa, oltre che sul Cervino e, all’inizio, sulle montagne che l’avevano visto nascere. Proveniva infatti da una famiglia contadina della Valfurva, una valle secondaria della Valtellina e da ragazzo lavorava con i suoi negli alpeggi, tanto che un attestato del 1931 lo qualifica come “casaro”. Amava raccontare che lo zio o il nonno lo nascondevano nella gerla quando portavano viveri ai soldati nelle trincee della Guerra 1915-‘18. O che il suo maestro lo bacchettava sulle mani quando sbagliava a scrivere, e come lui gli portasse un uovo per accattivarselo.

Ricordava la Scuola Militare Alpina di Aosta, che gli aveva permesso di coltivare la grande passione per la montagna e di divenire una guida come quelle che, da bambino, vedeva accompagnare i “signori” sulle sue montagne. E come proprio allora ebbe l’opportunità di conoscere la conca del Cervino e di rimanerne abbagliato. In Valfurva Achille tornava ogni estate a trovare sorelle e amici. Al “monte”, così chiamava la sua baita sopra Santa Caterina, trovava i cervi che lo riconoscevano, in particolare “Toto”, ghiotto del suo pane e “Lisa”, che egli stesso ricorda nel libro K2 Conquista Italiana. Tra storia e memoria.

Quanto alla bravura, so che alcuni componenti della spedizione del 1954 erano più noti di lui come scalatori, non solo Bonatti ma Soldà e lo stesso Lacedelli. Tuttavia anche Achille fu scelto per l’attività di alpinista e di guida oltre che per la serietà e la tenacia che gli erano proprie, e che gli valsero l’incarico da parte del professor Desio di condurre la cordata di punta. Non va dimenticato che Achille, prima di conquistare la cima della seconda montagna della Terra, attrezzò con Rey, Bonatti e Lacedelli il tratto più difficile, piantò sette dei nove campi. Salendo e scendendo per farlo, coprì sullo Sperone Abruzzi, secondo gli accurati grafici redatti quotidianamente da Mario Fantin e riportati nel suo libro K2. Sogno Vissuto del 1958, il dislivello maggiore tra tutti i compagni. Solo molto più tardi, dopo due anni di entrate e uscite dagli ospedali, per gli interventi sulle mani congelate e la lunga convalescenza, riuscì a riprendere il lavoro di maestro di sci e guida alpina, salendo sul Cervino più di 100 volte.

Non va dimenticato che Achille, prima di conquistare la cima della seconda montagna della Terra, attrezzò con Rey, Bonatti e Lacedelli il tratto più difficile, piantò sette dei nove campi.

Fernanda Mossini

Che uomo era? Quello che risulta da quanto sopra: forte, lavoratore, determinato, giustamente orgoglioso della sua impresa, ma rispettoso degli altri e modesto, malgrado la conoscenza di celebrità del cinema, capitani di industria, VIP del tempo, la cui amicizia mise a frutto per ottenere dei contributi per don Vietto, parroco di Cervinia, che necessitava di aiuti per la nuova chiesa in costruzione. Era anche orgoglioso di aver conosciuto tutti i Presidenti della Repubblica, tra cui Carlo Azeglio Ciampi che nel 2004 lo fece Cavaliere di Gran Croce e tutti i Papi fino a Benedetto XVI.

Prima d’intraprendere la professione di guida, Compagnoni era stato militare di carriera nelle guardie di frontiera, poi alpino nella Scuola di Aosta. Cosa gli era rimasto di una permanenza così lunga nelle truppe di montagna?
Rispondo con le indicazioni che lui stesso ha lasciato nel citato libro K2 Conquista Italiana. Tra storia e memoria. Achille era entrato a vent’anni, nel 1934, nei reparti della Milizia Confinaria di stanza in Valtellina, passando poi alla Scuola Militare Alpina di Aosta, dalla quale si congedò nel 1945 col grado di sergente per esercitare a Cervinia la professione di maestro di sci e guida alpina. Da militare partecipò a molte gare nelle Alpi. Nel 1936 corse il Trofeo Mezzalama, piazzandosi con la sua squadra al secondo posto solo perché vicino al traguardo un suo compagno perse un attacco. Nel 1940 vinse il Giro delle Dolomiti, impegnativa competizione di sci di fondo e nello stesso anno, la gara di tiro nel Campionato mondiale pure di fondo.

Gli undici anni in divisa gli avevano lasciato un forte senso del dovere. Nel 1936 la Scuola di Aosta indicò in lui “un elemento di eccezionale forza fisica, uno sciatore alpino sicuro ed avveduto, ottimo di carattere, educato, disciplinato”. Questo giudizio trovò integrale conferma nel suo comportamento durante la Spedizione al K2 e nella sua dedizione al Prof. Desio, che proprio negli alpini era stato Ufficiale durante la guerra 1915-’18. Certo, anche per spirito gerarchico, ne accettava più degli altri alpinisti i modi militareschi e ne seguiva gli ordini. Quando, subito dopo la morte di Mario Puchoz, il capo spedizione chiese agli alpinisti di riprendere l’ascensione, il “SÌ” di Achille, contro il “NO” di tutti gli altri, fu determinante. Ci furono critiche nei suoi confronti oltre che nei confronti di Desio, ma non si sa come sarebbe finita se quel “SÌ” non ci fosse stato.

Lei è stata vicina a Compagnoni dal 1985 al 2009, negli anni delle sempre più pesanti accuse di Bonatti e poi della condanna del CAI nel 2004. Quali erano stati i rapporti tra i due ex compagni e come visse suo cognato quei sospetti e quella censura infamanti?
Compagnoni diceva che lui, Bonatti e gli altri compagni avevano lavorato duramente e serenamente insieme per la conquista del K2, Achille spesso in coppia con Ubaldo Rey e Bonatti con Lacedelli. Al rientro dal K2 Bonatti aveva fatto visita a Compagnoni quando questi era in ospedale per i suoi interventi, era stato ospite nel suo albergo a Cervinia e aveva partecipato con gli altri alpinisti della spedizione agli incontri cordiali organizzati a Courmayeur per ricordare Mario Puchoz.

Questi rapporti amichevoli finirono d’improvviso quando, come ricorda Achille, “una volta, credo fosse il settimo anno (dunque il 1961, ndr) eravamo a mangiare da Ubaldo Rey, a un tratto Bonatti si alza, si scusa, dice che deve andare, saluta. È l’ultima volta che l’ho visto, subito dopo ha cominciato con le sue accuse”. Achille non riuscì mai a spiegarsi la ragione del mutamento e restò, di fronte a quelle accuse, prima stupito e poi indignato. Penso che all’inizio avesse sottovalutato la situazione, sapendo di avere la coscienza pulita e so che il professor Desio gli aveva consigliato di lasciar perdere, pensando che tutto si sarebbe calmato. Purtroppo non fu così.

Achille non riuscì mai a spiegarsi la ragione del mutamento e restò, di fronte a quelle accuse, prima stupito e poi indignato.

Fernanda Mossini

Ma come mai, dopo lo stupore iniziale, Compagnoni non si difese, contestando punto per punto le accuse circostanziate che gli venivano mosse, quando fu chiaro che Bonatti non si sarebbe fermato e poi quando nel 1994, quarantennale della spedizione, divenne noto che il CAI intendeva processarlo e condannarlo?
Qui va considerato che negli anni ’80 Achille era un uomo duramente provato dalle due tragedie che negli anni ‘70 gli avevano sconvolto la vita: il dolore più grande per un padre e quello di un marito che vede la propria compagna spegnersi per lo stesso dolore. La ripresa avvenne lentamente, proprio mentre il castello di accuse di Bonatti si appesantiva all’uscita di ogni suo libro. La condanna del CAI lo raggiunse quando aveva ormai novant’anni. Tentò però sempre, in ogni modo e inutilmente, di farsi ascoltare dai media ma senza risultato. Sollecitò più volte un incontro chiarificatore con Bonatti, incontro che gli fu sempre rifiutato, come dichiarato dallo stesso Bonatti. Neppure il CAI, a cui si era rivolto con una richiesta che io stessa scrissi su sua dettatura, ritenne opportuno ascoltarlo, e tantomeno i “Tre Saggi” (Alberto Monticone, Fosco Maraini, Luigi Zanzi), che si accingevano a processarlo, senza sentire le sue ragioni.

Bonatti giocò la carta della vittima, ma nello scontro con Achille era lui il Golia, l’alpinista più famoso al mondo e dal 1962 collaboratore e poi dal 1979 famoso inviato speciale di Epoca, la rivista più letta d’Italia in quegli anni, conferenziere e scrittore di successo, non solo a suo agio ma, giustamente per la sua bravura, ricercato e osannato nel mondo della Comunicazione. Questa posizione gli permise di costruire e diffondere come verità assolute, fra i suoi colleghi giornalisti e negli ambienti del Club Alpino, quelli che erano sospetti senza fondamento. Comunque, e come ho detto, quando poté Achille entrò nei particolari delle accuse che gli venivano mosse.

Nasconderci per non essere trovati? A 8000 metri non si gioca a nascondino! Mai nessuno era salito lassù! Cosa sapevamo di quel che avremmo trovato?

Achille Compagnoni

In un’intervista ad Aldo Cazzullo uscita nel 2004 sul Corriere della Sera, relativamente alle dimensioni della “Super K2” dell’ultimo campo, riferì che “in quella tenda precaria, poggiata non di piatto ma di coltello, ci stavamo a malapena in due, incastrati, con i piedi fuori e il telo ghiacciato a quattro dita dal naso”. All’accusa d’avere spostato il luogo del campo, rispose “nasconderci per non essere trovati? A 8000 metri non si gioca a nascondino! Mai nessuno era salito lassù! Cosa sapevamo di quel che avremmo trovato?”.

C’è chi pensa ci fosse Compagnoni dietro l’insinuazione proposta nel 1964 dal giornalista Nino Giglio secondo cui Bonatti aveva “succhiato”, durante il bivacco all’addiaccio, parte dell’ossigeno destinato a lui e Lacedelli. Cosa sa di questa storia?
Di questo episodio ho sentito parlare e anche letto negli articoli di stampa dell’epoca, visto che nel 1964 non frequentavo Achille. Al contrario di quanto superficialmente si pensa, Giglio non ha mai tirato in ballo Compagnoni relativamente a tale insinuazione e infatti Bonatti non lo associò nella querela fatta al giornalista. Achille negò sempre tale sospetto e so che i giudici interpellarono Mahdi in Pakistan, il quale non disse mai nulla contro Compagnoni. Achille ed Elda cercarono copia della dichiarazione del portatore, ottenendo come risposta che era andata persa.

Nel suo libro del 2004 Lacedelli scrive d’avere sospettato anche lui, sul K2, che Compagnoni avesse spostato il nono campo per non farsi raggiungere ed eventualmente sostituire da Bonatti. Cosa disse Compagnoni di quel libro, e del compagno di vetta che dopo mezzo secolo passava ad accusarlo?
Achille lesse il libro in una notte e non sapeva spiegarsi il motivo delle infamie di Lacedelli. “Come si può pensare che io abbia deciso da solo? Certe cose in montagna, legati l’uno all’altro, a 8000 metri, si decidono insieme”. Chiese conto al vecchio compagno del suo comportamento, ma senza ottenere una risposta plausibile. A sentire Lacedelli sembrava che il libro fosse stato scritto a sua insaputa!

Sui loro rapporti precedenti posso solo dire che, quando chiesi, per curiosità, ad Achille chi dei due fosse arrivato per primo sulla cima, lui mi rispose soltanto “guarda la corda”, intendendo che dovessi guardare la foto della vetta, la stessa riportata nelle pagine del suo libro sul K2 citato sopra; e non volle dirmi altro. Vidi che la foto mostrava come lui avesse, appunto sulla cima, la corda sulla parte posteriore del fianco, mentre Lacedelli l’ha legata davanti. Capii che questo significava che Achille era il primo e Lacedelli il secondo nella loro cordata.

Achille Compagnoni sul K2 – Archivio Achille Compagnoni

Dopo la morte di Compagnoni nel 2009 sua sorella Elda ha raccolto notizie e documenti dell’ascensione e della polemica, ripromettendosi di farne una pubblicazione. Può dirmi di cosa si tratta e perché sua sorella non è riuscita nell’intento prima di scomparire a sua volta nel 2018?
Elda ha vissuto e sofferto con Achille tutte le insinuazioni e le accuse di Bonatti e dei “Tre Saggi”. Quando lui se ne è andato s’è messa d’impegno a cercare elementi per smentirle, raccogliendo non solo gli articoli pubblicati sul caso dal 1954 in avanti, ma anche e soprattutto, gli scritti degli alpinisti della spedizione spesso discordanti coi libri di Bonatti e del CAI. Purtroppo Elda non ha avuto il tempo di mettere questa documentazione in “bella copia” perché è andata in cielo inaspettatamente, ma tutte le sue carte sono ancora lì.

Mia sorella aveva raccolto anche l’attrezzatura personale usata da Achille nel 1954, scarponi, piccozza e ramponi, giacca a vento, guanti e altri indumenti, spezzoni delle corde usate per attrezzare la via e di quella della cima sulla quale era stata intessuta la V di vittoria, ma anche una tenda Moretti, la numero 45, di quelle usate sino all’ottavo campo. Questo materiale, esposto nella mostra del 2014 organizzata dall’Associazione Achille Compagnoni Onlus nel Museo Nazionale della Scienza e della Tecnologia di Milano e ora custodito a Cervinia, dovrebbe essere esposto stabilmente in un Museo della montagna, perché da una parte non si disperda e dall’altra dia testimonianza di quella grande impresa.

Anche Lei ha chiesto al Club Alpino Italiano il riesame del caso K2 e l’annullamento della delibera del 2004 di condanna di Compagnoni. Come pensa di poterci riuscire, sapendo che Bonatti è ormai un mito e non solo nel mondo degli alpinisti?
Mi rendo conto delle difficoltà cui andrò incontro. Bonatti rimane nella storia come un grande alpinista ed esploratore e non intendo certo scalfire questa meritata fama, ma solo far accettare che anche un mito può sbagliare una volta e che Compagnoni non meritava, dopo aver vinto per l’Italia sul K2, il fango che gli è stato buttato addosso.

Avendo vissuto con lui e con mia sorella tutta la vicenda sfociata nel libro Una storia finita del 2007, e le tante umiliazioni subite, mi auguro che, a distanza di anni, lontani dalle tifoserie del tempo, gli studiosi della montagna, i media e soprattutto il Club Alpino vogliano riesaminare il caso per restituire dignità alla memoria di Achille ma anche per loro stessi e per l’immagine dell’alpinismo italiano nel mondo.

Mi rendo conto delle difficoltà cui andrò incontro. Bonatti rimane nella storia come un grande alpinista ed esploratore e non intendo certo scalfire questa meritata fama, ma solo far accettare che anche un mito può sbagliare una volta e che Compagnoni non meritava, dopo aver vinto per l’Italia sul K2, il fango che gli è stato buttato addosso.

Fernanda Mossini

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29 Commenti

  1. l’articolo non aggiunge niente di fattuale a cio’ che gia’ sapevamo. un tentativo di far passare il carnefice come vittima. Bonatti e’ stato massacrato di calunnie da parte di Compagnoni e soci, e il CAI era d’accordo a farlo passare come “il cattivo” della vicenda.

    1. E proprio così, C’è voluto 30 anni di lotta per sapere la verità Se non c’era Bonatti che aga rischiato la propria vita, non sarebbero mai arrivati sul k 2. E poi Lacedelki prima di morire ha detto tutta la verità di come sono andate le cose ….

  2. Ora però, per chiudere definitivamente la vicenda, dobbiamo sentire la versione del dentista di Bonatti e del carrozziere di Lacedelli… MA PER FAVORE!!!

  3. Che mentalità paesana da quelle parti !
    Non riescono mai a vedere oltre il proprio orticello, che per altro coltivano bene anche se mai aggiornati.
    E sì che il mondo è grande e lo si sa da tanto tempo, più tempo di quello della ingorda bega economica del K2 italiano, poi ripetuta e taciuta: il denaro viene vissuto come un problema fondamentale da quelle parti, ma non lo si dice mai.
    L’alpinismo fondamentalmente lì non c’entra, serve solo.

    Strani pensieri oggi: lucidità ?

  4. Dovreste solo vergognarvi. Articolo senza alcun contenuto dal titolo fuorviante ad infangare ancora una volta la memoria di chi non può piu difendersi. Sono sbalordito.

  5. Ma perchè non pubblicate una bella intervista alla parrucchiera della cognata di Compagnoni? Potrebbe essere utile anche lei per far luce sulla vicenda. Leggevo anche volentieri Montagna.tv…..ma ora piuttosto vado dal mio parrucchiere e mi leggo Novella2000.

  6. Sanremo tutto attaccato e i puntini di sospensione dovrebbero essere 3…Almeno tu hai fatto ridere me, visto che io non sono riuscito a far sorridere te…

  7. Francamente non capisco tutta questa ironia né capisco quali siano i motivi tecnici sottesi alla critica dell’articolo, battute a parte.
    L’autore, Francesco Saladini, ha pubblicato un libro – “Storie di montagna” – che, da fan di Bonatti, mi ha fatto comunque riflettere, poiché in esso v’è un capitolo proprio sulla “questione K2” molto ben articolato e documentato. Prima di leggere il citato libro, credevo di conoscere bene la questione, sposando in pieno la tesi di Bonatti. Dopo averlo letto il libro di Saladini, mi sono posto molte domande in direzione di un revisionismo critico. Nel libro non viene affatto demolita la figura di Bonatti, anzi ne viene tracciata anche una certa “buona fede”, oltre che la sua grandezza, tuttavia emergono diversi criticità proprio in relazione ai fatti per come accertati dai “Tre Saggi”. Ora, per carità, non sono i commenti la sede per dibattere di dettagli tecnici, ma resta il fatto che documentarsi, a prescindere dalla tesi che si ritiene poi di sposare, non fa mai male. Ciò detto, Bonatti e Compagnoni hanno, con le loro diverse peculiarità, tracciato la storia dell’alpinismo e meritano entrambi rispetto. Lo stesso che andrebbe tributato ad un grande studioso ed appassionato di montagna quale Saladini.

    1. non comprero’ il libro , ci puoi dire in sostanza cosa c’e’ di nuovo in questo libro che non sia gia’ stato detto da Bonatti? Quanto a Compagnoni, aveva solo da rispondere a quanto Bonatti scrisse, invece di fare l’offeso. Sappiamo bene che Compagnoni era sostenuto da tutto il Gotha del CAI, tutti i politici e uomini di potere… sembra strano che con tale potenza di fuoco non trovasse il modo di scrivere qualcosa di serio. Inoltre ho letto il libro di Compagnoni sul K2, altro che umile, ha messo una propria foto in ogni pagina, come se lui fosse stato il protagonista principale della storia.

  8. “Nel 1994 il dottore australiano Robert Marshall rintraccia la prima foto scattata in vetta al K2, che era stata pubblicata sull’annuario svizzero “Berge der Welt” del 1955. Tale foto mostra che le maschere dell’ossigeno erano state utilizzate fino in vetta, e l’ossigeno non era finito a quota 8.400 come sostenevano le versioni ufficiali del Club Alpino Italiano, redatta da Compagnoni e presentata da Desio.”

  9. a Bonatti hanno persino bruciato l’automobile a Courmayeur, contro di lui nel mondo delle guide c’era risentimento, probabilmente perche’ Compagnoni aveva sparso menzogne sul suo conto. E poi volete far passare Compagnoni per una povera innocente vittima. Meno male che poi Bonatti se n’e’ andato in Francia dove – non essendo le guide dei mafiosi omertosi come gli italiani – lo adoravano come un eroe.

  10. ciao.senza polemica.apporto solo 2 parole:SARCASMO E IRRIVERENZA.trovo sconcio nel 2023 leggere di attacchi e condanne.Bonatti prima di accusare e stato ATTACCATO.perche?perche aveva scelto il silenzio.il cai ha condannato?il cai nn ha poteri giuridici amiinistrativi ne legislativi.non condanna affatto nessuno.vuole fare chiarezza su una questione che chiamarla PORCATA E TUTT’ORA ANCORA UN EUFEMISMO.il problema principale e la testimonianza manipolata da imprecise volute e non ,traduzioni,da parte del GALANTUOMO AMIR MAHDI.seconda anima di Bonatti.era un’hunza,parlava un rudimentale urdu,e ci volevano 2 traduzioni.urdu-inglese inglese-italiano.qui c’e’ la chiave di tutto.e nessuno mai espone chiaramente,PER PIGRIZIA INTELLETTUALE che i fatti veri e propri si trovano per lo piu in inglese tedesco pashtu e urdu(nei quotidiani o resoconti pakistani).oltre a questo NESSUNO indica nel fotografo elvetico che scopri’ parte dell’inganno del k2.le foto.che provavano senza incertezza alcuna la diversa tipologia degli attacchi delle maschere.una presunta pensione italiana,un premio in denaro e 2 medaglie oltre al titolo di cavaliere,furono cose inaspettate nel mondo alpinistico asiatico e pakistano.tutto questo voluto DA ARDITO DESIO.per coprire la PORCATA?non si sapra’ mai.AMIR MAHDI non ricevette compensi ed onori quando insieme a un altro portatore salvo’ la vita a HERMMAN BUHL,cieco oftalmico e senza un rampone,ipotermico con parti del corpo gia’ nere dal frostbite.questo riguardo al nanga parbat.AMIR MAHDI e sempre stato l’uovo di colombo per Bonatti.10 mesi di ospedale,alcune dita delle mani e i piedi tutti senza dita e piu,resero la vita un declivio totale.l’esercito,gli affido’ un ufficio amministrativo e lo fece curare fa medici inglesi di prim’ordine.ai figli venne affidata una posizione di lavoro.l’ambasciatore italiano dovette presentarsi dal magistrato per spiegazioni ,perche anche altri portatori hunza e non ,NON CERTAMENTE STUPIDI NE IGNORANTI,si accorsero delle liti e delle discussioni prima e dopo l’ascesa.e lo riportarono al sergente-militare di scorta.che lo riporto’ al magistrato o procuratore.da qui l’uovo di colombo.l’intervista e d’obbligo.ci mancherebbe.i saggi del CAI SONO DEI DINOSAURI.ci vuole ogni tanto una ventata d’aria fresca.ripeto:Bonatti scelse il silenzio.duro e cupo.dopo la scoperta delle foto invece si incazzo’ terribilmente.come non poteva??bye

  11. Sono anch’io, come altri, scosso e sbigottito da questo articolo.
    Ma come, d’accordo che tutti hanno diritto di parola, ma qui si tirano in ballo
    e si confutano cose ormai dimostrate come vere. Confesso che non sono nemmeno
    riuscito a finirlo.
    Questa è la cognata di Compagnoni, difficile che non lo difendesse…ma lo fa affermando delle falsità, dimostrate
    come tali. Quindi secondo la signora fu Bonatti a tirare fango su Compagnoni…mah, punti di vista…questi hanno
    sostenuto il falso per 50 anni, facendo passare Bonatti per disonesto e truffaldino e ora dicono cosa??
    Può anche essere che non tutto andò esattamente come descritto e sostenuto allo stremo da Bonatti, ma
    le falsità introdotte dal trio Desio-Compagnoni-Lacedelli (che peraltro alla fine ha ammesso che era giusto quanto
    detto da Bonatti), in primis le menzogne sugli orari e sull’ossigeno, bastano per capire tante cose.
    E non dimenticherei il fatto che, complici anche gli anni in cui si svolsero i fatti, Desio e Compagnoni erano
    per così dire accomunati da un retaggio politico – il fascismo – che li univa. Desio era il capo, Compagnoni
    il suo vice e capo per la parte dell’ascesa vera e propria; perché pensate fu lasciato a casa Cassin???
    Stenderei un velo pietoso sull’intervista e sull’articolo stesso… ho paura che oggi Montagna.tv abbia perso qualche lettore…

    1. Concordo su tutta l’analisi ma non sulla chiusura del commento: non credo che per un articolo che “non ci piace” si possa decidere di non frequentare più un (a mio parere) ottimo sito che ci tiene informati sul mondo che tutti amiamo.
      E, secondo me, anche chi ha deciso di pubblicare questo articolo ha capito che riaprire, ,a quasi 70 anni dai fatti e protagonisti ahimè ormai tutti passati a miglior vita, una questione che ancora scalda gli animi, basandosi sulle memorie della cognata di Compagnoni, non sia stata questa grande idea…

      1. …si, concordo anch’io con te, era una boutade provocatoria…però devo dire che,
        essendo tutto sommato un lettore affezionato, mi ha disturbato non poco questa
        “uscita dalle righe” che hanno avuto. Il punto non è che non si possa parlare di
        certe cose, bisogna parlare di tutto per carità, ma non si possono riproporre ancora,
        70 anni dopo, cose che sono ormai state analizzate e contro analizzate facendo finta che possano esserci più verità.
        Anche se alla fine il fatto che siamo qui a parlarne forse era il loro scopo…
        Buon cammino a tutti.

    2. Per quanto riguarda l’alpinismo italiano mischiato con il CNR e i politici d sinistra e di destra, Montagna tv è una “figlia” di Da Polenza che è “figlio” di Desio, forse anche “erede”.
      Questi articoli ci stanno e permettono a tanta gente di capire qualcosa.

      “L’alpinismo italiano è morto, viva l’alpinismo !”
      Qualcuno che fa alpinismo d’alto livello comunque c’è sempre, ma non se ne parla 🙂

  12. Vecchia storia. Ci manca solo che venga rispolverata anche quella del Cerro Torre e siamo a posto.
    Comunque W Bonatti che é stato un grande Alpinista .Probabilmente lo avessero lasciato fare sarebbe arrivato anche lui sul K2. Purtroppo le rivalità umane, in ogni campo ed in ogni tempo, sono presenti.

  13. Se si osserva bene la storia dell’alpinismo di là, ci si accorge che la mentalità non è cambiata: si tende ancora a raccontarne di troppo grosse.
    Da anni mi domando se quegli alpinisti siano legati più al guadagno economico personale che al riconoscimento alpinistico, degli alpinisti nevvero, non dei politici e dei media che infarinano la gente come vogliono.

    Pensata agli inizi degli anni 50 del secolo scorso e portata avanti per 50 anni e oltre, anche ripetuta !
    Gli affari sono affari ! 🙂
    E l’alpinismo italiano è ormai quasi sempre di secondo piano.
    Bravo cai & c. !

  14. Sono stato molto incerto se dovessi intervenire sull’argomento: figlio di uno dei protagonisti (Guido), e a mia volta per due volte su quella montagna “degli Italiani”, a celebrare gli anniversari della loro salita.
    La mia gioventù è cresciuta, si è formata e nutrita dei racconti diretti dei protagonisti, gli eroi del 1954. Mantenendo essi sempre tutti l’onore del “giuramento al silenzio”. Fino alla storia più recente e alla revisione necessaria, per giustizia nei confronti di alpinisti straordinari e uomini fedeli ad un ideale.
    Giuramento al silenzio anche legato alla frase: “Ricordate che io ho in mano la stampa, posso rovinarvi in un solo momento…” Quel soprannome tra gli alpinisti, il “Ducetto”, che bene tratteggiava l’uomo a capo del gruppo.
    Quell’uomo, dalle capacità indiscusse di Comandante, aveva comunque bisogno di fedelissimi, che garantissero l’esecuzione di alcuni ordini, quando più volte si arrivò prossimi all’ammutinamento degli onesti. Così come Riccardo Cassin, che mai avrebbe potuto essere addomesticato, una volta in campo aperto.
    Presterei quindi molta attenzione al tentativo di riportare a nuova vita degli zombie: potrebbero portarsi addosso anche i segni di tradimenti di amici e conoscenti durante la Resistenza in Valtellina, indicandone i nascondigli; oppure le menzogne e le macchinazioni degli anni seguenti, alimentate da “anime nere” (nulla di politico, ma di diabolico) delle quali qualcuno amò circondarsi.
    Vorrei veramente pregare tutti di chiudere qui, senza ulteriori commenti né aggiornamenti, un tentativo di tradimento della storia che potrebbe fare davvero molto male, a tutti… Grazie

    1. ciao a tutti.BUON DIO ,e perche mai?e anche se fosse una scelta inopinabile,TU a che titoli,a che deleghe ti permetti,TI AZZARDI A FARE UNA ESTERNAZIONE DEL GENERE?cerca di rimanere serio VA’ LA’!!

  15. Tanto per andare un po’ “sotto” il K2 🙂
    Leggevo che in Libia venivano piantati gli ulivi, poi un geologo scoprì il petrolio e gli inglesi con gli americani fecero sloggiare tutti con ricchi premi, poi gli abitanti se ne appropriarono e ora vengono fatti litigare e tutto si ripete: perché ancora oggi pochi lo dicono ?

    1. Ho firmato l’intervista alla signora Mossini e chiedo a Paolo e a tutti gli autori dei commenti critici sopra riportati di farmi avere, indirizzando a fsaladini33 chiocciola gmail.com, un loro recapito.
      Potrei così inviare loro, senza alcun apprezzamento polemico o d’altro genere, il documento ‘K2 vittoria pulita’nel quale spiego le ragioni della mia richiesta al CAI di riabilitare Achille Compagnoni e al quale si ricollega l’intervista, al solo fine di quel confronto civile che è spesso mancato nl trattare il ‘caso K2’.

      1. Non c’è bisogno di inviare documenti a recapiti privati. Se ci fosse qualche fatto nuovo sul K2 sarebbe sufficiente farne breve menzione qui stesso.

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