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Una sorpresa dall’Artico: trovati i fossili di antichi parenti dei primati  

I risultati di una ricerca, pubblicati lo scorso 25 gennaio sulla rivista Plos One (“Basal Primatomorpha colonized Ellesmere Island (Arctic Canada) during the hyperthermal conditions of the early Eocene climatic optimum”) rimettono un po’ in discussione parte della teoria evolutiva, ricollocando la posizione nel mondo di alcuni antenati dei nostri antenati.

Secondo quanto scoperto da un team di scienziati dell’Università del Kansas, guidati da Kristen Miller, i primi esemplari di primati si sarebbero adattati a vivere nel clima relativamente temperato del Canada preistorico: lo dimostrerebbero alcuni fossili ritrovati nell’isola di Ellesmere che appunto fornirebbero la prova di un ambiente simile a una palude. I reperti risalgono all’Eocene, la seconda epoca geologica del Paleogene (dai 55,6 ai 33,9 milioni di anni fa), e sono i primi recuperati a così poca distanza dal Polo Nord.

Scoperte due nuove specie

Dopo gli esami, i ricercatori hanno identificato due nuove specie, dalle dimensioni simili a quella dell’odierna marmotta, considerate i primi parenti dei primati trovati nell’ecosistema artico e chiamate Ignacius Dawsonae e Ignacius Mckennai. Analizzando frammenti fossili di denti e mascelle, gli scienziati hanno immaginato che questi animali, rispetto a quelli simili provenienti da località più meridionali, avessero caratteristiche utili a sopravvivere a latitudini più settentrionali: in particolare, l’analisi della dentatura suggerirebbe un’alimentazione a base di cibi più duri, anche perché nei rigidi inverni artici poteva essere parecchio complicato individuare cibi più morbidi di cui nutrirsi.

Che cosa facevano così a nord?

Considerato che l’ambiente era più ostile, viene da chiedersi perché questi animali si fossero spinti così a nord: se è vero che l’Artico, decine di milioni di anni fa, era molto diverso da come è ora, con temperature estive che potevano toccare i 25 gradi, anche è vero che gli inverni erano decisamente freddi e caratterizzati da lunghi mesi di totale assenza di luce. La risposta di questa sorta di migrazione, secondo i ricercatori, sarebbe legata al cambiamento climatico: proprio durante l’Eocene, la Terra attraversò un periodo di forte riscaldamento che spinse molti animali a muoversi dalle foreste meridionali alla ricerca di zone meno toccate dagli incendi e dalle ondate di calore. Come appunto quelle settentrionali.

Perché questa scoperta è importante?

Il ritrovamento di fossili a queste latitudini, oltre a essere una rarità, è significativo perché conferma l’ipotesi che la regione artica ospitasse una sua specifica biodiversità. Inoltre, queste informazioni potrebbero rivelarsi fondamentali per l’elaborazione di modelli previsionali sulle reazioni ai cambiamenti climatici anche degli ecosistemi moderni: nelle conclusioni dello studio si legge che “oggi il riscaldamento delle temperature medie sta trasformando gli ecosistemi artici in modi difficili da prevedere, ma antichi episodi di riscaldamento globale mostrano come potrebbero svolgersi le transizioni dell’Artico” e che “i fossili correlati ai primati mostrano che questi mammiferi sono stati in grado di colonizzare le regioni polari circa 52 milioni di anni fa, adottando un’alimentazione a base di noci e semi che ha permesso loro di sopravvivere nei lunghi mesi di oscurità invernale”.

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