Gennaio 1963, competizione sulle Torri del Paine
L’alpinismo di punta può diventare una gara. Chris Bonington e Don Whillans lo scoprono alla fine di agosto del 1961, quando affrontano la Chandelle, la cuspide del Pilone Centrale del Monte Bianco, un mese e mezzo dopo il tragico tentativo di Walter Bonatti, Pierre Mazeaud e compagni. Sullo strapiombo di uscita Don vola, poi Chris risolve il problema incastrando dei sassi in una fessura, e usandoli per legare dei cordini a cui aggancia le staffe. Dietro di loro salgono un altro inglese, Ian Clough e il polacco Jan Djuglosz, poi ci sono tre francesi (Pierre Julien, René Desmaison, Yves Pollet-Villard) e il fortissimo friulano Ignazio Piussi. Gli americani Gary Hemming e John Harlin hanno rinunciato più in basso.
Un anno e mezzo più tardi, la scena sembra ripetersi su una guglia di granito che si alza dall’altra parte della Terra. All’alba del 16 gennaio 1963, quando il maltempo della Patagonia concede finalmente una sosta, Chris e Don attaccano la Torre Centrale del Paine, nell’estremo sud del Cile, risalendo lungo le corde che hanno fissato nei giorni precedenti. Dietro di loro salgono Barrie Page e John Streetly. Non è una salita facile. Su una placca, nella parte iniziale della via, Whillans si appende alla corda, ma questa, consumata dall’attrito e dal vento, gli si spezza tra le mani. Don, con un miracolo di equilibrio, riesce a non volare.
Con le punte degli scarponi su dei minuscoli appoggi, lega i due capi tranciati “con un movimento da pianista” della mano, poi ricomincia a salire. Un’ora dopo, mentre supera a forza di chiodi uno strapiombo in un enorme diedro grigio, tocca a Bonington fare un volo di qualche metro. Anche lui riparte senza problemi, e quando raggiunge un terrazzino gli altri membri della spedizione, Vic Bray, Derek Walker e Ian Clough, iniziano a urlare a squarciagola dal basso. Non sono congratulazioni ma un avvertimento. Quando Don Whillans guarda verso basso, vede “cinque italiani con dei caschi rossi che salgono lungo la via”.
I rivali sono quattro alpinisti lombardi e un trentino, Carlo Casati, Josve Aiazzi, Nando Nusdeo, Vasco Taldo e Armando Aste, membri della spedizione organizzata dalla Sezione di Monza del CAI. All’arrivo in Patagonia nessuno dei due gruppi sa della presenza dei rivali, la mancanza di una lingua comune rende le comunicazioni difficili. “L’unico terreno comune era un’infarinatura di spagnolo e francese stentati” confesserà Chris Bonington sull’Alpine Journal.
Il suo amico Don Whillans è un duro, ne ha già viste molte, ma sulla Torre Centrale del Paine si indigna. “Ci avevano assicurato che avrebbero tentato una via completamente diversa. Invece devono aver utilizzato le nostre corde fisse anche più in basso, nel canalone, come dimostra il mucchio di materiale lasciato” su quella che gli inglesi chiamano The Notch, “l’Intaglio”, la forcella tra la Torre Centrale e la Torre Sud del Paine. “Stavano usando la nostra via, comprese le staffe, le corde fisse e tutto il resto! Sembra troppo incredibile per essere vero” conclude Don. Come sul Pilone Centrale, però, queste battaglie esaltano lui e l’amico Bonington. Mentre Page e Streetly, più lenti, rinunciano e si calano a corda doppia, i primi due accelerano a forza di chiodi e raggiungono la fine del tratto più impegnativo, due tiri di corda che hanno richiesto cinque ore.
Ora passa in testa Whillans, che sale un diedro rosso “più facile di quel che sembrava dal basso”. Più in alto, su una spalla pianeggiante, lui e Chris abbandonano i chiodi in eccesso, i sacchi da bivacco e i piumini. Mentre la sera si avvicina, i due proseguono per placche e camini ghiacciati, aggirano una cascata di ghiaccio, raggiungono la forcella tra le due cime della Torre. La più alta è a sinistra, ma per tre volte Chris arriva su una guglia per scoprire che dopo ce n’è un’altra più alta. Tocca a Don, alla fine, arrivare sul blocco sommitale. “Big Ned is dead!” “La Grande Guglia è morta” urlano i due inglesi, che tornano a bivaccare sulla spalla, ma non possono bere perché Barrie e Streetly avevano il pentolino e il fornello. Dal basso li ascoltano i loro compagni, e gli italiani che passano la notte sulle staffe.
Il giorno dopo, mentre il sole tinge di rosa le cime, i due vincitori della Torre Centrale scendono a corda doppia incrociando gli italiani, e recuperando le corde fisse e le staffe. Aste e Aiazzi li guardano in malo modo, poi il “grande, amichevole Taldo” si congratula per l’ascensione, e aggiunge in un inglese incerto “questa è la vostra via, noi non dovremmo essere qui”.
Nel pomeriggio, mentre Aste e i lombardi compiono la seconda salita della Torre Centrale, Clough e Walker realizzano la terza ascensione della Torre Nord. Nelle settimane successive, mentre i britannici vengono respinti dalla roccia marcia sui Cuernos e da un temporale sulla Torre Meridionale del Paine, gli italiani, l’8 e il 9 febbraio, salgono in bello stile quella cima.
Non è facile, per gli alpinisti e i per trekker di oggi, capire quanto sia lontana, in quegli anni, la Patagonia argentina e cilena dalle Alpi. Le spedizioni viaggiano via mare, impiegando due settimane da Genova, Marsiglia o Southampton a Buenos Aires, e proseguono su piccoli aerei oppure in camion. Quasi nessuno conosce lo spagnolo, e per organizzarsi si ricorre ai connazionali emigrati in Argentina o in Cile. I primi alpinisti, a iniziare da padre Alberto Maria De Agostini, hanno esplorato ghiacciai e raggiunto vette non troppo difficili. I tentativi alle cime più dure iniziano nel 1952 con la conquista francese del Fitz Roy, e proseguono con le spedizioni italiane al massiccio del Paine e al Cerro Torre. Nel 1957-’58 le guide valdostane della spedizione Monzino salgono il Cerro Paine e la Torre Nord, nel 1959 Cesare Maestri rivendica di aver salito il Torre con il tirolese Toni Egger, un’impresa che oggi non viene riconosciuta.
Nell’inverno 1960-‘61 la prima South Patagonia Survey Expedition britannica scopre delle possibili vie di salita per le due Torri vergini, ma viene respinta dal tempo atroce. Un anno dopo, a Derek Walker, Barrie Page e Vic Bray si aggiungono Whillans, Bonington, Clough e Streetly. Dopo aver risalito la valle del Rio Ascensio, la squadra affronta la Torre Centrale, ma il tempo diventa brutto per un mese. La spedizione della Sezione di Monza del CAI arriva dopo i rivali, e i rapporti sono immediatamente difficili. Come spiega Maurizio Gentilini in Ho scalato un ideale, la bella biografia di Aste uscita nel 2021, “la passione nazionale” viene “incarnata soprattutto da Armando, che da subito considera i britannici degli avversari”. L’inseguimento sulla Torre Centrale fallisce, e l’alpinista di Rovereto, sulla cima, confessa di avere “un sapore amaro alla bocca” e “nel cuore una gran voglia di fuggire”. Qualche giorno più tardi i due gruppi si incontrano all’Estancia Cerro Guido, per una cena organizzata dai proprietari in onore degli alpinisti. “Anche lì, qualcuno affrontò la serata con lo spirito di Pierre de Coubertin, qualcun altro meno…” ironizza Gentilini. Poi però il vento gira, e Armando Aste e Vasco Taldo compiono la prima ascensione della Torre Sud del Paine. “Nel silenzio più assoluto ci abbracciammo in vetta” annota Aste nel suo diario, che si può leggere anche su www.armandoaste.it. “Poi si scatenò il vento che suonava l’organo del cielo al diapason. Come se l’enorme tastiera fosse toccata dalle magiche mani di Johann Sebastian Bach. Sul vertice estremo urlammo il nostro grazie alle montagne e al cielo”. Uno a uno, la competizione sulle Torri del Paine finisce in pareggio.