Storia dell'alpinismo

Nuovo mattino, l’alba di una montagna diversa

È stato il Sessantotto della montagna, ed è apparso quasi da nulla prendendo rapidamente piede. In realtà si è evoluto nel tempo, partendo dallo scantinato di una libreria torinese. Quella di Piero Dematteis, che oggi si è trasferita nel locale accanto senza però perdere lo spirito rivoluzionario.

Un antro buio dove un gruppo di ragazzi appassionati si riuniva in modo quasi sovversivo. Ricercavano con passione un nuovo linguaggio, più vicino al loro modo di intendere la scalata e l’alpinismo. Un modo di raccontare che si discostasse da quello tipico del periodo: un po’ autoreferenziale, legato all’alpinismo classico, eroico. Stavano cambiando i tempi e i ragazzi degli anni Settanta volevano scalare con obiettivi diversi dal mero raggiungimento della vetta. Le nuove ambizioni li portano alla ricerca delle difficoltà, della bellezza del gesto. Vanno ricercando la possibilità di scalare liberi su pareti che non portano a niente. Erano degli anarchici, dei ribelli dai capelli lunghi. Contestatori che alle piazze preferivano le montagne. Erano i ragazzi del nuovo mattino. Si muovevano sulle montagne piemontesi, trovando base alle porte del Parco Nazionale del Gran Paradiso. A guidarli c’era il torinese Gian Piero Motti, ragazzo di buona famiglia, colto e ottimo arrampicatore. A dare spazio a queste idee, al rifiuto della figura eroica, dell’alpinista duro e puro, erano le pagine della Rivista della Montagna di cui Motti era uno dei  fondatori. Su questa scrive articoli forti, pieni di significato, dando concretezza a un sentimento che era nell’aria ma che nessuno riusciva a esprimere in modo chiaro.

A ispirare Gian Piero (con la n) nei suoi scritti le riviste internazionali che trattavano il tema di Yosemite, delle leggendarie scalate su El Capitan. Leggendole ha avuto la capacità di intuire le potenzialità di questa idea trasportandola, in una versione più contenuta, nella piccola valle dell’Orco. Un luogo dove provare emozioni, dove vivere esperienze. I nuovi scalatori indossano jeans, bandana e maglietta. Niente pantaloni alla zuava, niente desideri di conquista. Si muovono con leggerezza aprendo vie i cui nomi traggono ispirazione dai ragazzi d’oltreoceano. Itaca nel sole e La via della rivoluzione, sono solo due dei molti tracciati che trovano spazio sulla parete del Caporal, la Yosemite italiana. Al fianco di Motti ritroviamo nomi di primordine, che hanno saputo lasciare un segno in quel decennio di anni Settanta. Tra i tanti spicca Mike Kosterlitz, famoso per la fessura, ma ancor di più per il premio Nobel.

Quest’avventura dura poco più di dieci anni, circa. Con l’arrivo degli anni Ottanta gli spiriti si placano, i giovani ribelli vengono addomesticati dall’età e le battaglie diventano altre. La vita di tutti i giorni prende il sopravvento e finisce il tempo dei sogni in favore di quello dei mercati e della globalizzazione. Finisce un’epoca e se ne delinea una nuova “più arrendevole e disincantata”, come scrive Enrico Camanni. La parola fine viene messa nella notte tra il 21 e il 22 giugno 1983 quando Gian Piero si toglie la vita. La sua scomparsa è l’ultimo atto di questi anni tragicamente scanzonati.

“Sarei molto felice se su queste pareti potesse evolversi sempre maggiormente quella nuova dimensione dell’alpinismo spogliata di eroismo e di gloriuzza da regime, impostato invece su una serena accettazione dei propri limiti, in un’atmosfera gioiosa, con l’intento di trarne, come in un gioco, il massimo piacere possibile da un’attività che finora pareva essere caratterizzata dalla negazione del piacere a favore della sofferenza.”

Gian Piero Motti

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Un commento

  1. Dalle foto nasce una considerazione…il raggio dei 200 metri per spostamenti vale solo in orizzontale od anche in verticale?Certe case hanno una falesia vicinissima, alcune addirittura si appoggiano alla roccia con una parete… o hanno enormi massi erratici accanto…in prato di privata proprieta’..

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