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Il CAI sul “giusto cammino”. Approvato il reintegro dei soci ebrei espulsi tra il 1938 e il 1939

Domenica scorsa il Club Alpino Italiano ha fatto un passo importante nei confronti della verità e della storia. L’Assemblea dei Delegati, riunita a Bormio per rinnovare le cariche nazionali del Club, ha approvato all’unanimità una mozione presentata da Angelo Soravia, Fabrizio Russo e Milena Manzi. Il testo, che è stato pubblicato poco dopo sul sito ufficiale loscarpone.it, impegna il CAI a riconoscere la propria responsabilità nell’aver contribuito alla politica razziale del Fascismo, e a “riconoscere la responsabilità nell’epurazione dei soci ebrei” avvenuta tra il 1938 e il 1939. La mozione approvata a Bormio ha deciso “la riammissione formale di tutti gli espulsi, riabilitandone e onorandone la memoria e, ove possibile, con la consegna delle tessere alla memoria agli eredi dei soci epurati”. E’ prevista, per ricordare quegli uomini e quelle donne, anche la posa di pietre di inciampo simili a quelle che onorano, in Italia e non solo, la memoria degli ebrei deportati e uccisi per volere di Mussolini e di Hitler. L’Assemblea di Bormio ha scritto una delle migliori pagine della storia recente del Club Alpino Italiano” ha commentato il presidente generale Vincenzo Torti, che a Bormio ha esaurito il suo secondo mandato, e che alla fine della giornata di domenica è stato sostituito da Antonio Montani. 

A riportare alla luce la vicenda, qualche mese fa, è stata una ricerca di Lorenzo Grassi, giornalista esperto di storia contemporanea ma anche speleologo, scialpinista e socio da decenni della Sezione di Roma del CAI. In un rapporto dal titolo L’epurazione dei soci ebrei dalla Sezione dell’Urbe del Centro Alpinistico Italiano, che abbiamo presentato a gennaio, alla vigilia della Giornata della Memoria, Grassi ha raccontato l’epurazione di qualche centinaio di soci “di razza non ariana” del Club Alpino, che il regime fascista aveva ribattezzato per cancellare la parola “esterofila”.

Nell’archivio della Sezione CAI di Milano, Lorenzo Grassi ha trovato la “circolare riservatissima” del 5 dicembre del 1938, che dispone l’epurazione. Non si sa quanti soci e socie siano stati cacciati in tutta Italia. Tra gli epurati dalla Sezione di Torino sono due personaggi famosi, come il compositore e alpinista Leone Sinigaglia e Ugo Ottolenghi di Vallepiana, compagno di cordata di Paul Preuss e ufficiale degli Alpini durante la Prima Guerra Mondiale. Nell’archivio della Sezione di Roma, ribattezzata “dell’Urbe” dal regime fascista, Grassi ha trovato i documenti che provano l’epurazione di nove soci. La presenza nell’elenco del 1939 di 127 soci ordinari “dimessi” e di 46 soci aggregati “non rinnovati” dimostra però, secondo l’autore, che gli epurati sono stati “circa 150”. Tra loro sono Giovanni Enriques, futuro fondatore della casa editrice Zanichelli, e Carlo Franchetti, al quale la Sezione di Roma, nel 1959, avrebbe dedicato un rifugio al Gran Sasso. 

E’ famoso anche il caso di Agnese Ajò, moglie dell’alpinista Enrico Iannetta, autore un secolo fa di importanti ascensioni sul Gran Sasso. Dopo la Liberazione, e quindi dal 1945 in poi, molti soci ebrei sono stati riammessi alla spicciolata nel CAI, ma non vi sono mai state delle scuse ufficiali. Di fronte al documento pubblicato da Lorenzo Grassi, il presidente generale Vincenzo Torti si è impegnato a intervenire in tempi brevi, sull’esempio dell’Ordine dei Giornalisti del Piemonte e dell’Ordine degli Avvocati e dei Procuratori di Roma, che nel 2020 hanno annullato le espulsioni avvenute più di ottant’anni prima. Quel che è accaduto in seguito dimostra che Torti si è dato da fare. 

Lo scorso 25 aprile, Festa della Liberazione, il nuovo consiglio direttivo del CAI di Biella, che a ottobre festeggerà i 150 anni dalla fondazione, ha deciso di reintegrare con le scuse i suoi 11 soci ebrei che erano stati epurati il 14 luglio del 1939, e che erano stati reintegrati senza scuse sei anni dopo. Biella è la città di Quintino e di Vittorio Sella, e un luogo di enorme importanza per tutto il CAI. Abbiamo ritrovare il verbale del 1945, ma quelle righe così scarne e quelle parole così fredde non ci paiono sufficienti a riparare in modo decoroso alla cancellazione” ha spiegato il neopresidente sezionale Andrea Formagnana a Simona Romagnoli della Stampa. 

In loro memoria, verranno sistemate una pietra diinciampo nella Piazza Santa Marta di Biella (dov’era la sede del CAI) e una targa al rifugio Vittorio Sella al Lauson, nel massiccio del Gran Paradiso. Una struttura di proprietà della Sezione, e frequentata dallo scrittore Primo Levi, ebreo, partigiano, sopravvissuto al lager di Auschwitz e tra i primi in Europa a descrivere gli orrori della Shoah. 

I soci del Club Alpino Italiano sono iscritti alle rispettive Sezioni, e la mozione presentata da Soravia, Russo e Manzi, e approvata dall’Assemblea dei delegati, è prima di tutto un invito a ricercare nei verbali e negli archivi sezionali i nomi dei soci e delle socie epurati tra il 1938 e il 1939, e poi a prendere delle iniziative per ricordarli. 

Tra Roma e il Gran Sasso, la vicenda dei soci ebrei cacciati in malo modo dal CAI s’intreccia a un anniversario importante. Il prossimo 19 luglio verrà celebrato il centenario della prima ascensione del Paretone del Corno Grande, compiuta nel 1922 da Enrico Iannetta, Michele Busiri, Mario Giaquinto, Raffaello Mattiangeli, Raffaele Rossi e Giulio Tavella. Due giorni dopo, Iannetta, Busiri e Tavella salirono anche la parete Est del Corno Piccolo.   Agnese Ajò, moglie di Iannetta, era tra i soci ebrei espulsi. Nel dopoguerra, né lei né il marito si iscrissero più al Club Alpino. “Guido Brizio, presidente della Sezione dell’Urbe nel 1938-‘39, è stato un convinto esecutore delle leggi razziali, ed è ricordato da una ferrata inaugurata nel 1955 in territorio di Pietracamela, e che è stata restaurata da pochi anni dal Parco nazionale del Gran Sasso e Monti della Laga. E’ un nome che dev’essere cambiato” spiega Lorenzo Grassi.

La questione è stata posta mesi fa davanti ai frequentatori del massiccio, e proposta da Grassi e da chi scrive all’Associazione degli Alpinisti del Gran Sasso, che raccoglie numerosi personaggi autorevoli. In futuro, se questo itinerario dovesse cambiar nome, potrebbe diventare la “ferrata del Vallone dei Ginepri”, o essere dedicata a un altro alpinista. Sarebbe suggestivo, però, farla diventare la “ferrata Agnese Ajò” o “Agnese Ajò-Enrico Iannetta”. 

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Un commento

  1. Incredibile; ci hanno messo tutto questo tempo per capire l’ errore mostruoso e disumano che era stato commesso? Mai stato iscritto a tale “club” e sempre più convinto, ora, della scelta. Pero’ è altrettanto incredibile che dopo tutti questi anni sia ancora tornata la dittatura, non del fascio e delle sue assurde teorie, ma del vaccino sperimentale; chi teneva la testa alta e non si sottometteva all’ ideologia imperante, allora come adesso, è stato espulso dal lavoro, dal mondo dell’ istruzione, dalla politica, dai sindacati. E allora a cosa servono queste “scuse” se non impariamo mai?

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