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L’epurazione dei soci ebrei del CAI, una ferita da sanare

Nella storia dell’alpinismo e dell’escursionismo italiano c’è una pagina dolorosa e sconosciuta. Certo, l’epurazione di qualche centinaio di soci ebrei, anzi “di razza non ariana” del CAI, secondo il lessico orrendo del tempo, è una piccola cosa di fronte alle immani tragedie della Shoah e della Seconda Guerra Mondiale. Ma è una storia che vale la pena conoscere, e una ferita che può essere parzialmente curata. 

A ricordarla al Club Alpino Italiano, che il regime fascista, per cancellare la parola “esterofila”, aveva ribattezzato Centro Alpinistico Italiano, è Lorenzo Grassi, giornalista esperto di storia contemporanea ma anche speleologo, scialpinista e socio di lunga data della Sezione di Roma del CAI. Nel 1986, con un amico, Lorenzo ha compiuto la prima discesa in sci del Corno Piccolo del Gran Sasso, per il vertiginoso canalone Sivitilli. Oggi, da ricercatore, presenta un prezioso rapporto dal titolo L’epurazione dei soci ebrei dalla Sezione dell’Urbe del Centro Alpinistico Italiano. I vertici odierni del CAI, a iniziare dal presidente Vincenzo Torti, lo hanno potuto leggere in anteprima. Qui, per la prima volta, lo presentiamo a tutti gli appassionati di montagna.  

I fatti di cui racconta Lorenzo Grassi si svolgono alla fine degli anni Trenta, un periodo terribile per la storia dell’Europa e del mondo ma fecondo per l’alpinismo italiano. In quegli anni, dalle Jorasses al Sassolungo e dalle Tre Cime al Monte Bianco, personaggi come Riccardo Cassin, Gino Soldà, Emilio Comici, Giusto Gervasutti e Hans Vinatzer aprono delle vie straordinarie. Alcuni di loro, dopo questi exploit, vengono premiati dal regime fascista. Le medaglie del Duce, però, non impediranno a Cassin e Soldà di diventare dei capi partigiani, né a Vittorio Ratti e a Ettore Castiglioni di pagare il loro impegno antifascista con la vita. 

In quegli anni Mussolini e il suo regime imboccano una strada sinistra. Dopo la conquista dell’Etiopia nel 1936, le “inique sanzioni” volute dalla Gran Bretagna e dalla Francia spingono l’Italia fascista nelle braccia della Germania di Hitler. E il Duce segue le orme del Führer sulla via della guerra, e nella discriminazione razziale. 

La coincidenza tra le date è impressionante. Il 14 luglio 1938, tre settimane prima che Cassin e compagni attacchino lo Sperone Walker, esce sul Giornale d’Italia un documento che s’intitola Il Fascismo e i problemi della razza. Al suo interno è una frase perentoria, “gli ebrei non appartengono alla razza italiana”. Il 5 agosto, mentre i tre di Lecco salgono verso la vetta delle Jorasses, quel testo riappare sulla rivista La difesa della razza. Qualche settimana più tardi un “censimento speciale” sancisce che alla “minoranza ebraica” appartengono “58.412 persone con almeno un genitore ebreo e di esse 46.656 ebree”. Poi, tra settembre e novembre, la discriminazione si fa legge. Il 5 settembre un Regio Decreto caccia studenti e professori ebrei dalle università e dalle scuole, poco dopo ai “non ariani” vengono vietati gli impieghi pubblici e le libere professioni. Il 18 settembre le leggi razziali vengono rivendicate da Mussolini in un discorso a Trieste. Il 6 ottobre il Gran Consiglio del Fascismo pubblica la Dichiarazione sulla razza, che a novembre diventa legge dello Stato.

Il CAI, in quegli anni, non è più la libera associazione del passato. Nel 1927 è stato forzatamente inserito nel CONI, e secondo il presidente Eliseo Porro è diventato una “legione di Benito Mussolini”. Due anni dopo la sede viene spostata da Torino a Roma, nel 1930 diventa presidente Angelo Manaresi, podestà di Bologna, sottosegretario alla Guerra e presidente dell’Associazione Nazionale Alpini. L’uomo che, per volere del Duce, ha il controllo sulla montagna italiana. 

L’attacco ai soci ebrei arriva il 5 dicembre 1938, quando viene spedita alle sezioni una “circolare riservatissima” della Presidenza generale, che Lorenzo Grassi ha scovato nell’Archivio della Sezione CAI di Milano. L’oggetto è “l’epurazione dei soci di razza non ariana”. Oggi, commenta Grassi, “la riservatezza dell’operazione rende difficile trovare documentazioni evidenti dell’epurazione”. Nel suo lavoro, l’autore ricorda l’epurazione “rapida e radicale” dei soci ebrei dalla Società Alpina delle Giulie, lo “zelo” in materia da parte della Sezione di Ferrara, la cacciata dalla Sezione di Torino del compositore e alpinista Leone Sinigaglia e di Ugo Ottolenghi di Vallepiana, compagno di cordata di Paul Preuss e ufficiale degli Alpini nella Grande Guerra. I rifugi dedicati a “non ariani” come il Luzzati al Sorapiss, il Levi in Val di Susa e il Sonnino al Coldai vengono ribattezzati.  

La ricerca è più dettagliata per la Sezione di Roma, fascisticamente ribattezzata “dell’Urbe”. Nell’archivio, Lorenzo Grassi ha trovato i documenti che provano l’epurazione di nove soci. La presenza nei verbali di 127 soci ordinari “dimessi” e di 46 soci aggregati “non rinnovati” dimostra però, secondo l’autore, che gli epurati sono stati “circa 150”. Nell’elenco spicca il nome di Giovanni Enriques, futuro fondatore della casa editrice Zanichelli, e di Carlo Franchetti, al quale la Sezione di Roma, nel 1959, dedicherà un rifugio al Gran Sasso. Un altro caso famoso è quello di Agnese Ajò, appassionata sciatrice moglie dell’alpinista Enrico Iannetta, autore un secolo fa di importanti ascensioni sul Gran Sasso. Sandro Iannetta, figlio della coppia, ha spiegato a Lorenzo Grassi che suo padre “si risentì non tanto per il dimissionamento di mia madre, che gli appariva come un’inezia rispetto a ben altre persecuzioni, quanto per il fatto che il “nuovo” Club Alpino Italiano del dopo Liberazione non si era preoccupato di reintegrare con le scuse i soci cacciati per questioni razziali”. 

La conclusione del lavoro di Lorenzo Grassi si lega a questa riflessione. “L’epurazione dei soci ebrei dal CAI durante il fascismo è un argomento rimosso da qualsiasi riflessione o dibattito, sia pubblico che interno al Sodalizio, con una imperdonabile omissione. Anche la pagina web del CAI tratta la questione con sciatta superficialità” scrive lo storico e giornalista romano. Oltre a ritoccare la sua storia ufficiale, il Club Alpino Italiano di oggi può fare un’altra cosa, simbolica ma importante. “Nel 2020, l’Ordine dei Giornalisti del Piemonte e l’Ordine degli Avvocati e dei Procuratori di Roma hanno annullato le espulsioni di più di ottant’anni fa, il CAI potrebbe fare lo stesso. Un gesto più che simbolico, considerati i tempi attuali che mostrano rigurgiti di spinte razziste” conclude l’autore. 

Il lavoro di Grassi, uno storico che è anche un nostro socio, è un contributo prezioso” commenta Vincenzo Torti, presidente generale del CAI. “Prendo atto della sua ricerca, e metterò appena possibile la questione all’ordine del giorno degli organismi centrali, e delle altre Sezioni che possono ricostruire gli elenchi dei loro soci epurati. Il CAI di oggi è ben diverso da quello del 1938-‘39, ma l’obbligo di raccontare la verità riguarda tutti”.

Alla questione generale, Lorenzo Grassi ne affianca una che riguarda il CAI di Roma e il Gran Sasso. “Guido Brizio, presidente della Sezione dell’Urbe nel 1938-‘39, è stato un convinto esecutore delle leggi razziali. Oggi una ferrata del massiccio, inaugurata nel 1955 e restaurata da poco, lo ricorda. Questa intitolazione va cambiata” spiega Grassi. “La ferrata potrebbe essere avere un nome geografico, come “del Vallone dei Ginepri”, o a un altro presidente del CAI Roma come l’alpinista Franco Alletto. Sarebbe suggestivo, però, dedicarla a un socio ebreo espulso nel 1939 dal Sodalizio come Agnese Ajò”. 

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3 Commenti

  1. Stessa cosa ora con chi nn vuole il siero magico! Ma non vi siete accorti di nulla? O anche a voi hanno dato dei bei milioni di euro? La storia ricorderà chi è stato uomo libero è chi è schiavo! Ma ancor di più schifoso collaborazionista

  2. Si esaltano coloro che aiutarono a rischio della vita, ma ci furono molte spie e delatori e”avvoltoi”. tardivamente ci sono saggi che pubblicano storie e nomi di tali figuri..
    Altra vicenda da cercare sul web:”Richard Lowi”…consumata in ambiente dolomitico.

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