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Perseveranza, coraggio e innovazione: a lezione da Lorenzo Delladio

Lorenzo Delladio, amministratore Delegato e Presidente di La Sportiva, ha vinto il premio imprenditore dell’anno di Ernest & Young, ideato per celebrare le eccellenze produttive più capaci di contribuire allo sviluppo del Paese, “Per la lungimiranza che lo ha portato a trasformare un piccolo laboratorio artigianale in un marchio globale che coniuga altissime performance e prestazioni con il design e lo stile italiano”. Delladio ha saputo creare valore, con spirito innovativo e visione strategica, contribuendo alla crescita dell’economia, dimostrando coraggio, innovazione e trasformazione in un momento senza precedenti.

Nata in un piccolo laboratorio della Val di Fiemme, ai piedi delle Dolomiti, La Sportiva è infatti oggi un player globale nel settore outdoor, presente in oltre 75 mercati al mondo e con una quota export che supera l’82%, pur mantenendo ben salde le proprie radici tra le montagne del Trentino, al di fuori dei distretti industriali italiani, con un forte attaccamento al territorio, alle persone che ne fanno parte e con grande responsabilità sociale e ambientale. Gli anni della pandemia hanno visto l’azienda crescere in doppia cifra nonostante le incertezze, e intraprendere scelte che hanno permesso di conservare gli oltre 400 posti di lavoro nella sede principale di Ziano di Fiemme.

Cosa significa per lei questo premio?

“È stata una grande emozione, un premio che è frutto del lavoro di una vita: di mio nonno, di mio papà Francesco, e di tutte le persone che hanno lavorato in La Sportiva e senza le quali non sarebbe stato possibile. È un premio alla carriera dell’azienda. Il riconoscimento mi è stato consegnato a Palazzo Mezzanotte, che ospita la Borsa di Milano, un posto prestigioso, ed è stato inaspettato: dieci giorni fa mi è arrivata questa comunicazione da parte di Ernest & Young, ed è stata proprio una bella sorpresa”.

Lei ha una figlia e un figlio che sono in azienda, Giulia e Francesco, quale è il più importante insegnamento imprenditoriale che vorrebbe lasciare a loro, ai giovani italiani e del mondo?

“Giulia e Francesco sono cresciuti a pane e scarpe, hanno seguito le orme delle tre generazioni precedenti ma non era scontato, avrebbero potuto scegliere altre strade e l’azienda non avrebbe avuto continuità. Per questo dico sempre che siamo fortunati come azienda ad avere due ragazzi giovani che con la loro passione hanno voluto dare seguito a questa avventura. Quando mi capita di parlare agli studenti delle Università dico loro di fare quello che si sentono, e allo stesso modo i miei figli non sono stati forzati nelle loro decisioni, sono entrati in azienda dal basso. La meritocrazia comanda quindi se meriti vai avanti, altrimenti rimani nelle seconde o terze linee: i titolari dell’azienda non è detto che debbano essere quelli che comandano, il Consiglio di Amministrazione è una cosa, l’operatività manageriale è un’altra. È importante che i giovani facciano esperienze all’estero, ma credo sia fondamentale che poi ritornino in Italia e in Trentino, c’è bisogno di talenti.

La Val di Fiemme è piccola e abbiamo difficoltà a importare menti, se sono presenti sul territorio è importante tenerli stretti. Credo che la parola chiave del mio insegnamento come imprenditore per le nuove generazioni sia perseveranza: portare avanti un progetto, un’idea, un obbiettivo. Chiaramente si può anche sbagliare e quindi è importante saper cambiare e intraprendere un altro percorso, ma se una persona vuole arrivare a un certo traguardo deve crederci fino in fondo e andare avanti. È chiaro che all’inizio anche io ho iniziato da zero: quando trent’anni fa ho preso in mano l’azienda da mio papà era una piccola realtà con venticinque dipendenti, mentre ora siamo quasi cinquecento. Trent’anni fa La Sportiva fatturava due milioni di euro, mentre quest’anno chiuderemo a oltre centrotrenta milioni di euro. Esportiamo l’82% all’estero, e il nostro mercato di riferimento sono gli Stati Uniti. La crescita è stata sia in termini di fatturato che come numero di persone: 412 dipendenti provengono dalla Val Di Fiemme, che è molto piccola. Significa che ogni famiglia ha un suo componente all’interno dell’azienda e questo significa un grande dovere sociale da parte nostra. La mattina, quando apro la bottega, me lo sento sulle spalle questo dovere sociale, ma lo porto volentieri”.

Anche durante gli anni della pandemia La Sportiva ha dimostrato capacità di adattamento al cambiamento mantenendo costante la propria crescita, quale è stata la ricetta vincente?

“Perseverare e voler mantenere questa realtà all’interno della Val di Fiemme: anche se è complesso fare industria a mille metri ci ho sempre creduto e ho avuto delle risposte positive da parte del territorio. Un’altra componente importante è stata l’opportunità di creare e pensare a prodotti per la montagna stando in montagna, quindi lasciarsi contaminare da ciò che ci circonda. Se guardo ora fuori dalla finestra vedo solo abeti e montagne e i ragazzi della ricerca e sviluppo hanno la stessa visione: in questo senso siamo facilitati nel nostro lavoro. Se fossimo in una città si potrebbe lavorare meglio sotto certi punti di vista, come la logistica, ma sarebbe tutta un’altra cosa senza questo contorno”.

Durante il primo lockdown di marzo 2020 lei ha preso delle decisioni coraggiose e visionarie, come faceva a sapere che erano le scelte giuste?

“Ho anticipato la chiusura aziendale rispetto al decreto ministeriale per precauzione, e perché sapevo che non potevamo permetterci di avere un focolaio all’interno dell’azienda. Eravamo pieni di lavoro e quindi è stato un grande sacrificio andare in fabbrica e dire che da lunedì saremmo stati a casa, ma ho detto che prima di tutto veniva la salute. Dopo quindici giorni però ho richiamato una linea di produzione e l’ho dedicata a mascherine sanitarie per la protezione civile e per gli ospedali del Trentino, e poi per un utilizzo nostro interno. In seguito abbiamo realizzato una esclusiva mascherina per la pratica dello sport all’aria aperta e ne abbiamo vendute tantissime e tutt’ora le se stiamo ancora producendo. Così La Sportiva è stata in grado di diversificare producendo altri prodotti per la comunità. Durante il lockdown abbiamo anche fermato la produzione della nuova collezione senza presentarla in primavera e posticipandola di sei mesi, in modo che la merce e il lavoro fatto non venissero svenduti. I campionari sono stati ripresentati sei mesi o un anno dopo per mantenere il loro valore nel tempo e i negozianti ci hanno riconosciuto l’importanza di questa iniziativa, anche in termini di sostenibilità”.

La Sportiva è diventata da una piccola realtà artigianale a una multinazionale, quale è il prezzo da pagare in termini di sostenibilità?

Come azienda siamo già al terzo bilancio di sostenibilità, un documento prezioso nel quale si trovano tutte le nostre iniziative che vanno in questa direzione. Stiamo realizzando dei prodotti che sono creati con materiali riciclati, inoltre ritengo che sostenibilità significhi anche qualità e quindi progettare prodotti che durino a lungo nel tempo e non debbano essere continuamente sostituiti. Abbiamo anche creato una nuova linea di prodotti, come le scarpe da running, che prima non potevano essere risuolabili mentre ora lo sono: in questo modo si offre una seconda e una terza vita al prodotto. Per quanto riguarda l’abbigliamento stiamo sviluppando un servizio di riparazione e daremo la possibilità di visitare il laboratorio di questa parte dell’azienda a chi lo desidera. Grazie a un progetto di mio figlio Francesco, saremo presto in grado di offrire anche l’opportunità, con un piccolo prezzo aggiuntivo, di personalizzare i prodotti in base ai propri gusti e alle proprie esigenze: sarà possibile, per esempio, chiedere delle scarpette con il proprio nome scritto sopra, o magari una scarpa di un colore o una misura differente dall’altra”.

Verso quale direzione si sta muovendo La Sportiva per il futuro? Ha senso diventare sempre più grandi?

“Non mi interessa fare chissà che fatturati e diventare sempre più grande. È importante crescere per essere in grado di reinvestire soprattutto sulle persone, per dare vitalità e dinamicità alla visione dell’azienda. Al momento stiamo crescendo enormemente, ma più che per una nostra precisa volontà per un rimbalzo del mercato dovuto dalla pandemia, quando tanti nuovi appassionati si sono approcciati al mondo dell’outdoor. Noi siamo piccoli rispetto alle grandi multinazionali e dobbiamo sopravvivere: l’unico modo che abbiamo per farlo è essere molto più dinamici rispetto a loro e anticipare i tempi. Se io ho un’idea so che può essere realizzata nel giro di poco tempo, mentre alcuni dei nostri competitor hanno tempi di decisioni e approvazioni decisamente più lunghi e complessi. Il mercato richiede delle novità ma la nostra forza è stata spesso anche quella di anticipare le esigenze del consumatore. Al momento inoltre stiamo cercando di diversificarci ulteriormente”.

Quale ritiene sia stato il più importante risultato come imprenditore della sua vita?

“Verso la fine degli anni settanta, primi anni ottanta, quando facevo il servizio militare, un mio superiore arrampicava con delle scarpe da pallacanestro che si rompevano continuamente e mi ha chiese di realizzare qualcosa in pelle, più robusto, ma sempre morbido. Quando sono tornato a casa ho detto a mio papà di seguire quella necessità. Così sono nate le scarpette da arrampicata, le persone hanno smesso di usare gli scarponi e hanno iniziato a scalare divertendosi di più, e La Sportiva ha cambiato la storia dell’alpinismo. Quello è stato il momento di innovazione maggiore. Al di fuori dell’azienda penso invece al mio progetto di Outdoor Paradise al Passo Rolle: anche se non è stato realizzato vedo che ancora tutti ne parlano e un po’ alla volta molti stanno mettendo in pratica iniziative simili. Vediamo se ora che Giulia e Francesco mi hanno un po’ messo da parte riuscirò a riprenderlo in mano insieme ad altri miei interessi e a restituire al territorio quello che abbiamo tolto occupando questa parte della Val di Fiemme”.

A chi dedica questo premio?

“A mio papà”.

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