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Il lato invisibile delle esplorazioni

Nel corso del XX secolo, numeri sempre crescenti di persone sono andate nei luoghi più caldi, più freddi e a più alta quota della superficie terrestre. Molte erano motivate da ambizioni coloniali, imperiali o militari, mentre altre lo facevano per puro piacere, oppure per la gloria personale o nazionale. Nessuna di queste motivazioni ne escludeva altre, e molte si accompagnavano al desiderio di fare scienza” in ambienti estremi. Gli scienziati accompagnavano, assistevano, organizzavano e guidavano queste spedizioni. Geofisici, geografi e astronomi erano particolarmente ben rappresentati, ma cerano anche biologi ed ecologi impegnati a contare i pinguini, catturare farfalle e dare la caccia allo yeti, oltre a fisiologi e ricercatori biomedici che studiavano gli esploratori stessi. Questo libro racconta la storia di quegli scienziati biomedici e fisiologi il cui interesse per gli ambienti estremi non si basava sullambiente in quanto tale, o sulle sue caratteristiche organiche o inorganiche, ma su come lorganismo umano reagiva in condizioni di temperatura, di altitudine e di vita estreme. Questi ricercatori hanno sfruttato lesplorazione come unopportunità per studiare lorganismo umano ai suoi limiti fisici, e nel contempo hanno fornito indicazioni e ispirato tecnologie che hanno permesso alluomo di salire sempre più in alto e di percorrere grandi distanze attraverso deserti ghiacciati o sabbiosi.

“In alto e al gelo” di Vanessa Heggie ci porta a scoprire i lati più nascosti delle esplorazioni estreme. Si tratta di una storia sostanzialmente maschile ed europea, o in ogni caso occidentale: non è un mistero che gli uomini abbiano dominato sia la ricerca scientifica che lesplorazione nel XX secolo. Chi controllava laccesso agli ambienti estremi – era un contesto piuttosto chiuso, dove le conoscenze personali erano di fondamentale importanza per la scelta dei gruppi di ricerca – usava divieti sia blandi sia rigidi per escludere le donne, fino a tutti gli anni Ottanta. Eppure, leggendo, si scopre che, da un punto di vista obiettivo, il corpo delle donne sembra molto più adatto allesplorazione in ambienti freddi rispetto a quello degli uomini, non solo a causa del grasso corporeo, ma anche della barba, che ha creato non pochi problemi in diverse ricerche. E sebbene qualsiasi studio eseguito sullHimalaya non potesse prescindere da Sherpa e altri portatori, il ruolo dei partecipanti non bianchi veniva quasi sempre oscurato, trasformandoli in “tecnici invisibili” dati per scontato o menzionandoli come causa di problemi, perché rubavano o danneggiavano materiale tecnologico.

Dalla sperimentazione sulla pressione barometrica agli studi sul sangue, dal dibattito sull’ossigeno al conflitto esistente fra modelli di laboratorio ed esperienza del mondo reale, dagli studi sull’alimentazione al disaccordo sull’abbigliamento, dall’autocampionamento alle cavie non così entusiaste, dal razzismo alle questioni etiche: il libro analizza moltissimi aspetti degli studi effettuati prima e durante le spedizioni, sottolineando punti di vista tutt’altro che scontati.

Se, prima delle nostre creme solari, si conducevano studi dermatologici pionieristici – quasi carnevaleschi – con curcuma, terra rossa, piombaggine, nerofumo, vaselina e grasso come protettori della pelle, applicando una pasta diversa su ogni metà del viso, oppure un colore sul naso e un altro sulle guance, molte delle misurazioni effettuate nel 1960-1961 nella Silver Hut sono ancora oggi quelle a più alta quota mai effettuate. Diverse aziende donavano materiale per le spedizioni britanniche sullEverest e richiedevano un feedback sulle prestazioni in alta quota dei loro articoli, sia a scopo pubblicitario che a fini di sviluppo.

Potremmo pensare che un abisso ci separi da quelle esplorazioni, eppure, da un punto di vista tecnico, secondo Mike Stroud, esploratore e medico britannico, lunica grande differenza tra una spedizione del 2011 e una del 1911 sarebbe il cibo. Molto interessanti tutte le considerazioni sul tema, essendo esso un elemento fondamentale e complicato per le spedizioni: non si trattava solo di carburante per gli sforzi fisici, ma anche di un grande stimolo psicologico. “Un cibo noioso, sgradito o per nulla invitante avrebbe potuto incidere negativamente sul morale, mentre un alimento sconosciuto o contaminato avrebbe potuto provocare malattie o risultare addirittura fatale.”

Particolare è la parabola del Pemmican, tecnologia indigena del Nord America, che venne poi reinventata, esportata in Antartide e in alta quota, e trasformata in un prodotto industriale di rilevanza economica e persino militare. In Europa, dagli anni Trenta agli anni Sessanta del XIX secolo, dal tentativo di rielaborarlo e trasformarlo in un alimento nuovo, efficiente, condensato e moderno nacque per esempio il classico estratto di carne Liebig. Quando poi si scoprì che il Pemmican non era adatto per le spedizioni in alta quota e in luoghi caldi lo si utilizzò unicamente ai Poli, e nel XX secolo fu sostituito da altre forme di cibo condensato ed essiccato. Eppure, nel passaggio al XXI secolo ha subito unennesima reinvenzione, non per le esplorazioni o il trekking, ma per seguire le nuove mode alimentari come la paleodieta. Ora è diventato un alimento per popolazioni urbane ricche e attente alla salute.

Molti degli studi e delle misurazioni effettuati hanno apportato benefici (o discutibili “innovazioni” come il doping) sia alla comunità sportiva, per gareggiare in altitudine e non, sia agli escursionisti amatoriali che si trovino ad affrontare il maltempo (ora lo si può fare con un’attrezzatura adeguata e con le giuste informazioni su come comportarsi in caso si abbia la necessità di essere soccorsi). Fu negli anni Sessanta che si scoprì come una combinazione di pioggia e vento riducesse drasticamente le proprietà termiche degli indumenti, in particolare dei jeans: quando bagnati ed esposti a venti di appena 9 miglia allora il valore isolante crolla dell85 per cento o più.

I fisiologi estremi hanno salvato vite umane quando hanno applicato le loro teorie, la loro esperienza e i risultati sperimentali al miglioramento e alla riprogettazione di oggetti fisici. Il successo della scalata dellEverest nel 1953 fu in gran parte dovuto al deciso miglioramento della tecnologia per lossigeno dopo le spedizioni degli anni Venti e Trenta; razioni più sane, in termini di equilibrio nutrizionale, appetibilità e contenuto energetico complessivo, hanno fatto sì che poche squadre antartiche abbiano subito lo stesso destino del team polare di Scott nel 1911 […]. A un livello più basilare, migliaia di persone ogni anno sono in grado di godersi la vita allaria aperta in modo più sicuro grazie allinvenzione di capi dabbigliamento in piuma doca, scarponi da trekking impermeabili e cibo da campeggio liofilizzato per buongustai.”

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