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Giornata mondiale delle api. Il miele è sempre buono, quello di montagna un po’ di più!

Si celebra oggi il World Bee Day, la Giornata Internazionale delle Api. Una ricorrenza istituita in onore di Anton Janša allevatore e pittore sloveno, professore di apicoltura presso la corte imperiale austriaca nel XVIII secolo, riconosciuto tra i pionieri dell’apicoltura moderna. Un giorno in cui soffermarsi a riflettere sulla laboriosità di questi piccoli insetti, la cui sopravvivenza è sempre più a rischio a causa dell’impatto delle attività umane, diretto e indiretto

Fattori principali alla base del declino delle api – in particolare sul nostro territorio nazionale facciamo riferimento alla specie Apis mellifera, o ape occidentale, che sembra si sia sviluppata nella regione dell’Himalaya ed è oggi diffusa in Europa, Africa e Asia Occidentale – sono rappresentati dall’espansione dell’agricoltura intensiva e monocolture, dall’uso di pesticidi e altri agenti inquinanti nonché dalle temperature in rialzo continuo che determinano fioriture anticipate. Altro fattore di rischio è legato all’espandersi di specie invasive.

Dall’attività delle api e degli altri insetti impollinatori dipende la sopravvivenza di innumerevoli specie vegetali, praticamente il 90% delle piante da fiore selvatiche. Tra gli impollinatori, l’ape è sicuramente la specie più nota in quanto legata alla produzione di una leccornia amata da tutti: il miele.

L’apicoltura e il miele di montagna

Oggigiorno il miele viene prodotto pressoché ovunque. Si parla ormai di apicoltura urbana e le analisi dei prodotti assicurano che il miele di città sia buono e salutare quanto, se non di più, di quello di campagna. Noi che siamo di parte oggi vi vogliamo però parlare dell’apicoltura e del miele di montagna.

L’apicoltura di montagna sta affrontando da oltre un decennio un periodo critico. Si parla di vero e proprio “declino delle api”. Accanto alle cause di estinzione sopra citate, come evidenziato dalla Fondazione Edmund Mach in un articolo dal titolo emblematico “La montagna fa bene alle api” (2011) bisogna aggiungere l’impoverimento genetico delle api allevate in zone montane, dovuto alla introduzione massiccia di api provenienti da aree climatiche molto diverse. Nonché le “nuove” malattie delle api, prima fra tutte la Varroasi. Patologia per ostacolare la diffusione della quale la Fondazione ha svolto negli anni sperimentazioni nel territorio trentino, al fine di tarare le azioni di controllo e valutare soluzioni. Un risultato interessante di una delle sperimentazioni risiede nel minor impatto dell’acaro responsabile di tale malattia a quote più elevate (1000 m).

Per contrastare la perdita dei ceppi, un tempo utilizzati per la produzione del miele in montagna, in molteplici aree montane si sta cercando, ove possibile, di recuperare “i ceppi perduti”. Ad esempio in Val d’Ossola, dove si stanno sperimentando api “antiche” (api nere locali nigra e carnica) reclutate in Austria e Svizzera.

La produzione del miele in quota avviene generalmente solo in estate. Andando a considerare la brevità della stagione produttiva, le basse rese rispetto alle quote inferiori e il prezzo medio di vendita all’ingrosso che a stento compensa le spese, è facile comprendere quanto per fare l’apicoltore montano sia necessario davvero amare le api. E la montagna.

I mieli di montagna, presidi Slow Food

Per le loro peculiarità e la difficoltà di produzione, alcune tipologie di miele prodotte su Alpi e Appennini sono riconosciute come presidi Slow Food. Andando alla ricerca del nettare dorato sul sito della Fondazione si scoprono così i mieli dell’alta montagna alpina, insieme ai mieli dell’Appennino aquilano, il millefiori e quelli monofloreali ricavati dalle essenze di santoreggia e stregonia.

La categoria dei mieli alpini è davvero ampia, si spazia dal miele di rododendro al millefiori e alla melata di abete. Produzioni decisamente difficili. “Una buona stagione (ogni quattro, cinque anni) offre poche centinaia di quintali. Soltanto il nettare bottinato al di sopra dei 1400 metri dà miele d’alta montagna”, si legge.

“Per il millefiori le piante coinvolte sono davvero tante: rododendro, campanula, lupinella, trifoglio, lampone, timo serpillo… È un prodotto splendido e delicato, sempre diverso, da zona a zona e da un anno all’altro. Il miele di melata d’abete non si fa tutti gli anni. Le api si nutrono del liquido resinoso prodotto dagli afidi alimentati a loro volta dalla linfa dell’abete bianco. Il sapore è maltato, caramellato, aromatico, con note resinose di fumo. Il miele di rododendro ha un nome evocativo e proviene da una pianta molto bella e conosciuta. Fresco e raffinato, è particolarmente raro e prodotto quasi esclusivamente nel nostro Paese. Il miele di melata di abete ha colore molto scuro, quasi nero, con una leggera fluorescenza verdastra. L’odore è leggermente resinato e può ricordare il legno bruciato e lo zucchero caramellato. In bocca è meno dolce dei mieli di nettare e ha note di malto e di balsamico. Il miele di rododendro e il millefiori di alta montagna sono freschi e raffinati. Il primo ha colore molto chiaro, che diventa bianco nel prodotto cristallizzato. Il secondo ha sfumatura giallo ambrate, rossicce e anche più scure a seconda della fioritura.”

Con riferimento al miele abruzzese, si legge che i due arbusti, santoreggia e stregonia, crescono su prati aridi e terreni calcarei fino a un’altitudine di 1300 metri (la prima) e di 1500 m (la seconda). “Le due fioriture si susseguono: da maggio a luglio fiorisce la stregonia e, da luglio a settembre, la santoreggia. La produzione del miele di santoreggia è rara e irregolare ma non trascurabile in alcune zone dell’Appennino abruzzese, Gran Sasso in primis. Il miele di santoreggia ha colore ambra chiaro, tendente al giallo verde quando è liquido e al grigio-verde se cristallizzato. Il miele di stregonia, invece, è caratterizzato da un colore molto chiaro, rimane liquido a lungo e ha un sentore lievemente floreale, che si percepisce anche in bocca.”

Il miele di stregonia in particolare risulta particolarmente pregiato in quanto difficile da ottenere. “Se ne producono alcuni quintali, se la stagione è buona. Ma la produzione è limitata a piccole aree e le api non sempre si trovano in attività quando si ha la fioritura. Non viene prodotto tutti gli anni. La difficoltà della produzione risiede nelle particolari e difficili condizioni in cui questa pianta vegeta. Per gli apicoltori risulta difficoltoso poter posizionare le arnie su terreni scoscesi ed impervi. Si tende così a prediligere situazioni più comode dove purtroppo la pianta non vegeta.”

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