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Dolomiti: cartoline dal Triassico

Com’era l’area dolomitica fra i 255 e i 206 milioni di anni fa? Somigliava un po’ al Lago Eyre australiano, poi si è trasformata in una sorta di Jesolo, quindi nelle Maldive, nelle Hawaii, nelle Everglades statunitensi, nelle depressioni saline del Golfo Persico... Di tutti questi “paesaggi” è rimasta traccia nei Monti Pallidi.

Tratto dal numero di Meridiani "Dolomiti".

255 milioni di anni fa l’area dolomitica probabilmente assomigliava al Lago Eyre, nell’Australia Meridionale. Tredici milioni di anni più tardi, dopo che la terza catastrofica estinzione di massa sulla Terra aveva segnato la fine del Permiano, si trasformò in una sorta di Jesolo del Triassico, con sabbia pressoché ovunque e acqua poco profonda fino al largo. I livelli di anidride carbonica in atmosfera erano elevatissimi (2.000-10.000 parti per milione, da 5 a 25 volte superiori agli attuali) e soltanto le colonie batteriche riuscivano a sopravvivere e a proliferare producendo stromatoliti, strutture sedimentarie di carbonato di calcio dapprima simili a quelle nell’attuale area costiera di Shark Bay, nell’Australia Occidentale, e poi agli atolli delle Maldive.

Se avessimo sorvolato l’area 241-242 milioni di anni fa, avremmo visto uno scenario molto simile, per forme e dimensioni, ai faros (i micro-atolli maldiviani, ndr) – commenta Nereo Preto, professore associato presso il dipartimento di Geoscienze dell’Università di Padova – ma l’analogia si fermerebbe qui, perché contrariamente alla definizione di ‘montagne di corallo’ (che si legge comunemente nelle pubblicazioni divulgative, ndr) le strutture non erano costituite da corallo, ma da mucillagine batterica. In altre parole, è probabile che il colore dell’acqua avesse tonalità tra il verdastro, il rossastro e il nero, fosse torbida e puzzasse di uova marce”. Non esattamente il luogo dei sogni per trascorrere una vacanza all inclusive, nonostante la temperatura del mare (anche superiore ai 30 °C) si avvicinasse agli standard tropicali.

Tutt’altra cartolina, con le isole emerse e i vulcani sullo sfondo, avrebbe catalizzato lo sguardo dei turisti nell’età ladinica, tra 238 e 235 milioni di anni fa, quando il Monte Agnello e il gruppo del Latemar dovevano apparire all’incirca come le Hawaii o le Canarie, terre vulcaniche ricoperte di Cycas, conifere e felci, ma senza palme e piante con i fiori, che ancora non esistevano. “Quando sembrava andare tutto liscio, 233 o 232 milioni di anni fa, più o meno dove oggi c’è la città di Vancouver ci fu un’eruzione straordinaria che mutò il clima da arido a umido stagionale, con piogge a secchiate in stile monsonico indiano” racconta con ironia il professor Preto. “Durante l’Evento pluviale del Carnico, enormi quantità di sabbia, fango e argilla provenienti dalle terre emerse riempirono il fondo marino e trasformarono l’ambiente “dolomitico” in un’enorme palude costiera simile alle Everglades della Florida”. Ma evidentemente non poteva piovere per sempre. Il quadro seguente, infatti, mostra nuovamente un paesaggio arido, con il fondo marino praticamente a pelo dell’acqua, che ricorda i piatti panorami delle sabkha, le depressioni incrostate di sale tipiche del Qatar e di Abu Dhabi, nel Golfo Persico. Per immaginarsi meglio come fosse la zona tra 230 e 205 milioni di anni fa – quando si formarono le rocce di cui sono composte le Tre Cime di Lavaredo e i gruppi del Pelmo e del Civetta (la dolomia, che prende il nome dal suo scopritore, il geologo francese Déodat de Dolomieu, e che dà il nome alle Dolomiti) – ci si può rifare alla topografia della laguna di Venezia, ma senza fango e con le dimensioni extra large della Grande barriera corallina australiana. Se su questa sconfinata distesa fatta di carbonato di calcio e mucillagine batterica, poi, si aggiungono i dinosauri erbivori con i piedi grossi e i predatori con le dita artigliate, l’opera d’arte è compiuta.

Quel che successe milioni di anni dopo, con la collisione fra la placca africana e quella euroasiatica che fece sollevare le Alpi e, quindi, anche le Dolomiti, è tutta un’altra storia. “Restando all’interno delle suggestioni che abbiamo evocato fin qui, oggi le Dolomiti portano i segni delle fasi dell’evoluzione terrestre, dai vari strati geologici della gola del Bletterbach, integri e visibili esattamente come si sono depositati presso l’attuale località di Aldino fin dai tempi del ‘Lago Eyre’, alle impronte dei primi dinosauri incise sulla sabkha, ora diventata roccia, alle pendici del Monte Pelmetto, in Val di Zoldo, e dei Monti del Sole, in Val Pegolera” racconta Preto. Andar per fossili con lui è come seguire un esperto cercatore di funghi. Perché conosce i “posti” dove scovarli, nascosti lì da milioni di anni. I bivalvi souvenir del periodo “Jesolo” al Passo Valles o al Passo Rolle; i sedimenti lasciati dal mare profondo al tempo delle “Maldive”, come le ammoniti e le conchiglie del Latemar o del Monte Cernera (a sud della Forcella Giau); le piante, le ammoniti e i bivalvi estinti come la daonella deposti al Piz del Corvo e al Mondeval quando i Monti Pallidi erano le “Hawaii”; l’ambra derivata dalla resina fossilizzata delle conifere all’epoca delle “Everglades”, ora visibile nell’area del Rifugio Dibona e nel bacino di Cortina d’Ampezzo; e infine il mollusco del genere Megalodon, una sorta di ostricone del fango che del suo passaggio sulla Terra 200 milioni di anni fa ha lasciato, sul Pelmetto e alle Tre Cime di Lavaredo, l’impronta di un cuore.

Molti di questi indizi “pietrificati” delle ere paleozoica e mesozoica sono visibili nei musei sul territorio. A Cortina, il Museo paleontologico “Rinaldo Zardini” annovera una delle più complete collezioni di fossili esistenti (soprattutto marini, come il 99% dei fossili ritrovati sul pianeta), con oltre 20mila esemplari appartenenti a mille specie diverse. A Predazzo, il Museo geologico delle Dolomiti conserva la più ricca raccolta in Italia di fossili invertebrati relativi alle scogliere medio-triassiche. “Ipotizzare paragoni tra il pianeta di oggi e quello di centinaia di milioni di anni fa o cercare analoghi nel mondo attuale può essere stimolante e utile, soprattutto da un punto di vista divulgativo” conclude il professor Preto. “Ma per descrivere certi paesaggi sarebbe più pertinente immaginare di prendere un’astronave e dirigersi verso pianeti alieni“. Il viaggio è solo all’inizio…

Altri approfondimenti sul numero 256 di Meridiani “Dolomiti”.

 

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Un commento

  1. Sul web abbondano filmati e ricostruzioni con animazioni grafiche .
    Basta chiedere”Genesi delle Dolomiti” e si trovano da brevi spot a documentari scientifico divulgativi.
    Poi se l’interesse aumenta… un buon testo per approfondire: Alfonso Bosellini storia geologica delle Dolomiti, fino al trattato di Geologia …di Piero Leonardi., Silvia Metzelin :Geologia per alpinisti.

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