AlpinismoAlta quotaK2 invernale

Il lungo inverno di Krzysztof Wielicki

Classe 1950 è la storia vivente dell’himalaysmo invernale. Alpinista polacco puro sangue è forse l’ultimo capostipite di una generazione che ha contraddistinto il panorama alpinistico internazionale, con all’attivo la salita dei quattordici Ottomila tra cui Everest, Kangchenjunga e Lhotse in prima salita invernale.

Stiamo parlando di Krzysztof Wielicki che abbiamo incontrato in occasione della fiera Outdoor di Friedrichshafen e con cui ci siamo fatti quattro chiacchiere attorno al K2 e agli avvenimenti di questo inverno.

 

Krzysztof, se dovessi tirar le somme su questa prima spedizione invernale al K2 cosa diresti?

Il tentativi al K2 invernale si contano sulle dita di una mano. Sono stati davvero pochi e dimostrano come la montagna non sia facile in inverno. Pensate al Nanga Parbat: oltre venti spedizioni han tentato la vetta prima che questa venisse violata.

Quest’inverno poi abbiamo trovato una meteo brutta rispetto agli altri anni. Abbiamo avuto poche finestre di bel tempo e abbiamo sbagliato nella scelta della via.

Come mai?

Abbiamo pensato che la Cesen potesse essere più veloce. È una via che conosco, su cui so che si può salire velocemente fino alla spalla, durante l’estate. In inverno è tutto diverso perché c’è meno neve a tenere tutto insieme. Durante la stagione fredda è un continuo di crolli. A ogni rotazione c’era qualcuno che veniva colpito da una scarica di sassi, poi Adam si è rotto il naso. Allora ho dovuto decidere per cambiare la linea di salita.

Per me la cosa veramente importante era la sicurezza del gruppo, volevo riportarli tutti a casa.

Che quota avete raggiunto?

Adam e Denis sono arrivati a 7200 metri. Dopo quella rotazione abbiamo atteso una nuova finestra di bel tempo che sarebbe dovuta arrivare nei primi giorni di marzo.

Pensavo di mandare su Adam e Denis perché erano i meglio acclimatati, ma Urubko non ha voluto sentire ragioni. Ripeteva che per lui marzo non era inverno, che voleva andare a febbraio, che la salita andava fatta entro gli ultimi giorni del mese. La sera ha così chiesto ad Adam se voleva andare su con lui ma, per fortuna, ha rifiutato.

Quindi eri a conoscenza della decisione di Denis?

No. Il 25 sera lui ha detto che voleva andare in vetta entro l’ultimo giorno di febbraio, che quello era l’inverno. Guardando però le previsioni meteo abbiamo cercato di spiegargli che era impossibile, che non si poteva a causa del forte vento. Nessuno voleva seguirlo in questo tentativo. Abbiamo pensato che avrebbe capito che non c’erano le condizioni.

Poi?

Al mattino, dopo colazione, uno dei ragazzi fa “guarda c’è Denis che sale”. Sarà stato 600 metri sopra il campo base. Quando è arrivato a campo 1 ho chiesto ai ragazzi che erano su di farmi parlare con lui, ma non ha voluto. Ho cercato di fargli dare una radio per la sua sicurezza, ma ha rifiutato anche questa.

Non poteva andare da solo senza radio, non mi è piaciuto questo gesto. Io, come capo spedizione, ero responsabile anche per lui.

Avrei risposto io se fosse accaduto qualcosa. Così mandai un team sulle sue tracce per paura che potesse accadergli qualcosa. Non avrebbe dovuto comportarsi così: avrebbe almeno dovuto prendere la radio, anche se era arrabbiato.

Che idea hai oggi di Denis?

È un bravo alpinista, è molto forte e determinato. Al K2 era molto concentrato, voleva farlo con i suoi tempi. Voleva andare in vetta e non gli interessava con chi: da solo o in compagnia era uguale, doveva andare.

Lo riprenderesti in spedizione?

Non lo so. Al momento il comitato organizzativo non sta ancora parlando degli alpinisti. Per ora si lavora all’organizzazione logistica della spedizione.

Quando vorreste ritornare?

Nell’inverno 2019-2020. Penso però che sia necessario cominciare in dicembre. Quest’anno siamo arrivati al campo base il 9 gennaio. Arrivando prima possiamo avere due finestre in più: una a fine dicembre e una primi giorni di gennaio.

Probabilmente poi bisognerà lavorare con due team: uno che va prima e lavora di più mentre il secondo, più fresco, arriva dopo un mese per il tentativo di vetta. Dopo 40 o 50 giorni sulla montagna gli alpinisti sono stanchi e non ce la fanno più.

Certamente chiamare degli alpinisti per preparare la via a quelli che verranno poi non è molto etico, ma se lo fa in trasparenza, dicendoglielo, e loro accettano non ci sono problemi.

Su che via: Abruzzi o Cesen?

Abruzzi, fin da subito. È più sicura, non voglio più rischiare. Sul Broad Peak ho perso due persone, meglio tornare tutti a casa.

Quest’inverno, oltre alla spedizione, hai dovuto organizzare anche i soccorsi sul Nanga Parbat…

Si, noi seguivamo online tutto quello che succedeva. Abbiamo letto del loro tentativo e poi siamo stati informati che la Revol aveva lasciato Tomek in un crepaccio sulla montagna. Allora ci siamo subito messi in contatto con la nostra ambasciata per organizzarci con i fondi da dare come garanzia ai pakistani, se non hanno garanzia non si muovono.

Ci abbiamo messo una giornata, il giorno dopo l’elicottero era a campo base a caricare i volontari per il soccorso.

I media hanno scritto molto, han detto che sono eroi. In realtà però è tutto normale, è normale aiutare qualcuno in difficoltà. Negli anni ’60 o ’70 i soccorsi erano più difficili e pesanti, ma si partiva lo stesso perché sulla montagna c’era un amico. Non esisteva la possibilità di lasciarlo lì.

Sono però orgoglioso dei miei ragazzi perché quando dovevo decidere chi avrebbe partecipato al soccorso tutti hanno alzato la mano. Ho dovuto scegliere i più acclimatati: Denis e Adam.

Conoscevi Tomek?

Era un alpinista fuori dagli schemi, non faceva parte del nostro club alpino. Nella nostra associazione lo guardavano un po’ di traverso. Era una persona determinata, è andato al Nanga Parbat molte volte, aveva un suo sogno.

Ho visto poi il crowdfunding che hanno attivato in Polonia per i suoi figli. Una bella cosa perché fatto per i bambini, ma noi conosciamo le mogli di tanti altri uomini morti nelle condizioni più difficili e nessuno ha organizzato una raccolta fondi per loro. Non è stato però negativo perché fatto per i bambini.

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2 Commenti

  1. “Certamente chiamare degli alpinisti per preparare la via a quelli che verranno poi non è molto etico, ma se lo fa in trasparenza, dicendoglielo, e loro accettano non ci sono problemi.”

    vero Moro ??? al Nanga hai fatto una bella porcata !!!

  2. Io credo che se una cosa non è etica, non lo è e basta, al di là del fatto che ci sia un accordo. E sentire critiche ad Urubko da questo pulpito mi fa seccare. Wielicki faccia pace con l’arteria

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