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L’impossibile è stato davvero assassinato come scriveva Messner?

Messner dalle pagine della Gazzetta ci ricorda un suo articolo del 1968, anno cruciale, o da molti ritenuto tale, per i movimenti libertari ed antagonisti.

Lo cita a commento del primo 9c della storia, superato a Flatanger, in Norvegia, da Adam Ondra, il simpaticissimo e super forte climber ceco.

È un testo che la dice lunga sulla preveggenza e l’attitudine culturale del giovane Messner che rifiuta l’idea e l’uso dello strumento, il chiodo ad espansione, che abbatte ogni creatività e abilità atletica fino all’ “assassinio dell’impossibile”. Lui stesso sarà strumento eclatante di questa sua attitudine all’impossibile salendo i 14 ottomila della terra senza l’uso dell’ossigeno.

Messner cita un altro grande dell’arrampicata dei nostri tempi Alex Honnold e la su incredibile salita in free solo su El Capitan. Ci permettiamo di aggiungere all’elenco l’impresa realizzata da Sílvia Vidal, in questi giorni di ritorno dall’Alaska dopo essere rimasta in parete sola e isolata per 17 giorni su una salita durissima in gran parte artificiale.

Per fortuna di tutti noi e come Messer sperava, l’impossibile non è stato assassinato e si ripresenta in continuazione al nostro sguardo.

 

Di seguito l’articolo di Messner, pubblicato nel 1968 sulla Rivista Mensile del CAI. 

Che cosa ho, personalmente, contro le «direttissime»? Ma proprio nulla; anzi. La «via della goccia cadente» è una cosa quanto mai logica, e del resto è sempre esistita; purché, però, la montagna la ammetta. Ma a volte la fessura continua più a sinistra o più a destra; e allora è dato di vedere gli scalatori — quelli della prima ascensione, intendo — procedere diritti come se nulla fosse: piantando, ovviamente, chiodi a espansione. Ma perché passare proprio di là, e in quel modo? «Per la libertà», dichiarano; e non s’accorgono di essere schiavi del filo a piombo.

Si ha orrore delle deviazioni. «Davanti alle difficoltà, la logica non comanda di aggirarle, ma di vincerle» — dichiara Paul Claudel. E’ quel che dicono pure i protagonisti delle direttissime, i quali sanno già in partenza che l’armamentario di cui sono forniti consentirà loro di superare qualunque ostacolo. Essi parlano dunque di problemi che non esistono più. Potrebbe la montagna arrestarli con difficoltà inattese? Sorridono: quei tempi sono passati da un pezzo! (Il che, purtroppo, risponde a verità.) L’impossibile in montagna è stato eliminato, ucciso dalle direttissime.

Le direttissime non sarebbero di per sé un gran male, se lo spirito che le informa non si fosse propagato a tutto l’arrampicamento. Ecco qui uno scalatore in parete. Mette i piedi nelle staffe: tutt’intorno, nient’altro che roccia gialla strapiombante. Sta facendo un foro sopra l’ultimo chiodo; è già stanco, ma non rinuncia: ha ancora cinque giorni di ferie! Chiodo su chiodo, egli avanza caparbio: vuole imporre alla parete la sua via, e null’altro.

Il chiodo a espansione è divenuto una cosa ovvia: lo si tiene sempre a portata di mano, per l’eventualità che non si riesca a passare con i mezzi ordinari. L’arrampicatore di oggi non vuole precludersi la via della ritirata, e si porta appresso il coraggio nel sacco, in forma di ferramenta. Le pareti non vengono più vinte in arrampicata, bensì umiliate con un lavoro manuale e metodico, una lunghezza di corda dopo l’altra, e quel che non si fa oggi si farà domani. Le vie di arrampicata libera sono pericolose, perciò ci si cautela piantando chiodi. La volontà non fa più assegnamento sulla capacità, ma sugli attrezzi e sul lungo tempo disponibile. Non è più il coraggio, bensì la tecnica il fattore decisivo; l’ascensione può durare giorni e giorni, i chiodi si contano a centinaia. Il ripiegare diventa disonorevole, poiché ormai tutti sanno che con i chiodi a espansione e con la costanza si viene a capo di tutto, anche della più repulsiva «direttissima».

Un tempo, la storia dell’alpinismo si scriveva sulle muraglie di roccia con la penna simbolica dell’ardimento; oggi, si scrive con i chiodi. Mutano i tempi, e con essi le concezioni e i valori. L’assicurazione strumentale ha preso il posto della sicurezza interiore, la bravura di una cordata si valuta in base al numero dei bivacchi, mentre il coraggio di chi arrampica ancora in «libera» viene squalificato come manifestazione di incoscienza.

Chi ha intorbidato la pura fonte dell’alpinismo?

Forse, i primi volevano soltanto avvicinarsi ancora di più al limite del possibile: oggi, invece, ogni limite è svanito, cancellato. In principio non sembrava una cosa grave, ma sono bastati dieci anni per eliminare dal vocabolario alpinistico la parola «impossibile».

Progresso? Oggi, a dieci anni dagli inizi, molti non fanno più nemmeno caso a dove piantano i chiodi a espansione, se su vie nuove o su quelle classiche. Si fora sempre di più e si arrampica sempre di meno.

L’impossibile è sgominato, il drago è morto avvelenato e l’eroe Sigfrido è disoccupato. Ognuno si lavora la parete piegandola con il ferro alle proprie possibilità.

Taluni l’avevano previsto da tempo, ma continuarono tuttavia a forare, sulle direttissime e altrove, finché perdettero il gusto dell’arrampicare: perché osare, perché rischiare, quando si può procedere in perfetta sicurezza? Divennero allora i profeti della direttissima: «Non perdete tempo sulle vie classiche, imparate a forare, imparate a servirvi di staffe e cordini. Fatevi furbi, raggirate la montagna con qualunque mezzo se volete avere successo. L’era delle direttissime è appena iniziata, ogni cima attende la sua via del filo a piombo: non c’è fretta, tanto la montagna non può fuggire né difendersi».

«Hai già fatto la direttissima? E la superdirettissima? No?». Questo è il criterio con cui si misura oggi il valore alpinistico. E allora il giovane va, si arrabatta lungo la scala di chiodi e poi chiede al prossimo venuto: «Hai già fatto la direttissima?».

Chi non sta al gioco viene deriso se osa pronunciarsi contro l’opinione corrente. La generazione del filo a piombo si è ormai affermata, e senza tanti riguardi ha ucciso l’impossibile. Chi non vi si oppone si rende complice dell’assassinio, e quando poi gli alpinisti apriranno gli occhi e si accorgeranno di quel che è venuto loro a mancare, sarà troppo tardi: l’impossibile, e con esso l’ardimento, sarà sepolto, marcito e dimenticato per sempre.

Non tutto è ancora perduto, ma «essi» torneranno all’assalto; e se non saranno i medesimi, saranno altri come loro. Faranno un gran chiasso già molto tempo prima di attaccare, e ogni ammonimento sarà di nuovo inutile. Avranno l’ambizione, avranno una lunga vacanza, ed ecco che qualche nuovo «ultimo problema» sarà di nuovo risolto… Lasceranno al rifugio, come storico documento, altre fotografie con una fila di puntini in linea retta, dalla base alla cima; e in parete, qualche centinaio di chiodi. Stampa e radio ci informeranno ancora che l’impossibile è stato superato…

Se qualcuno è già indotto a pensare a una possibile regolamentazione, vuol dire che la situazione è seria; ma noi giovani non vogliamo alcun codice alpinistico: «Noi vogliamo trovare lassù i giorni ardui, nei quali non si conosca al mattino la ricompensa della sera». Fino a quando ci sarà ancora data questa possibilità?

Io mi preoccupo per il drago ucciso: dobbiamo fare qualcosa prima che l’impossibile venga del tutto sotterrato. Noi ci siamo cacciati a furia di chiodi sulle pareti più selvagge: la prossima generazione dovrà sapersi liberare da tutta questa zavorra. Noi abbiamo imparato a salire lungo la via del filo a piombo, quelli che verranno dopo dovranno tendere nuovamente alle cime per altre vie. La cambiale sta per scadere, dobbiamo ritrovare il limite del possibile: dovrà pur esserci questo limite, se vorremo avvicinarci a esso con la virtù dell’ardimento! E mai più dovremo abbatterlo, neanche se ci sarà impossibile raggiungerlo! Dove ci potremmo rifugiare, altrimenti, per sfuggire all’oppressione del grigiore quotidiano? Sull’Himalaya? Sulle Ande? Sì, anche là se ci sarà possibile: ma per la maggioranza non ci saranno che le vecchie Alpi.

Salviamo dunque il drago; e, in avvenire, proseguiamo sulla via indicataci dagli uomini del passato: io sono convinto che sia ancora quella giusta!

Calza gli scarponi e parti. Se hai un compagno, porta con te la corda e un paio di chiodi per i punti di sosta, ma nulla di più. Io sono già in cammino, preparato a tutto: anche a tornare indietro, nel caso che io m’incontri con l’impossibile. Non ucciderò il drago; ma se qualcuno vorrà venire con me, proseguiremo assieme verso la vetta, sulle vie che ci sarà dato di percorrere senza macchiarci d’assassinio.

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4 Commenti

  1. INCOMMENSURABILE MESSNER

    Mi permetto di fare un parallelismo tra quello che dice sulla montagna e quello che sta diventando la vita moderna.
    Non è forse quello che facciamo ogni giorno per superare le difficoltà? Ci circondiamo sempre più di tecnologie che diano l’impressione di essere più liberi, ma ci accorgiamo di volta in volta che è solo un’impressione e che il benessere fisico sembra non corrispondere con quello spirituale. E più ci facciamo schiavi dei chiodi, più faremo fatica ad abbandonarli, fino ad esserne totalmente dominati. Questo vale in parete come per la vita quotidiana. La modernità ci impone tecnologie e l’idea che senza di esse non si progredisca. Niente di più falso ci è mai stato inculcato.
    Emanciparsi dalle macchine è il primo passo verso la libertà. La direttissima artificiale è l’autostrada d’asfalto che la calpesta deturpandola insieme a tutto il paesaggio . Il dolore e il sacrificio rimarranno sempre gli strumenti principali per goderci le gioie che questa vita ci dona.

    1. Magari quello che scrivi è un pò utopistico ma trovo che i giovani stiano facendo cose che lo stesso Messner avrebbe giudicato impossibili. E a proposito di macchine, andare e tornare in Kayak per giorni per aprire una via nuova o fare la Nord del Torre in arrampicata in 24 ore in due e in conserva credo che Messner non se lo sarebbe mai immaginato

  2. Un 24enne capace, 50 anni fa, di elaborare una previsione del genere (oltre a scalare all’epoca sul VII in libera) e in grado di ammutolire poco più tardi fior di scienziati salendo l’everest senza ossigeno), rappresenta per l’alpinismo, ciò che un Pasolini e pochissimi altri sono stati per la letteratura e per l’osservazione dei mutamenti della società. Di personaggi del genere ne nasce uno ogni 100 anni. Poi nessuno è perfetto, ma i detrattori di Reinhold Messner se ne facciano una ragione.

  3. Dal Masherbrum in giù, c’è tanto di quell’impossibile da rincorrere che non bastano cento anni. Il VII grado di Messner senza chiodi ad espansione è diventato decimo ( anche da parte di italiani come a Baffin con i magici belgi e i nostri Ragni e a casa nostra su Civetta e Marmolada) e marziani come Honnold fanno cose da marziani. Messner poi per vendere libri si dicono anche frasi ad effetto ma a lui perdoniamo tutto

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