Cronaca

“Con tecnologia e bravura aumentano i pericoli” da La Stampa Montagna

Su La Stampa, Enrico Martinet compie, assieme a diversi esperti, un’interessante analisi, che vi riproponiamo, degli incidenti degli ultimi giorni.

 

di Enrico Martinet

La sindrome tecnologica, la presunzione della bravura aumentano il pericolo del fuoripista e anche dell’alpinismo. Gli incidenti sulle cascate di ghiaccio e la valanga di due giorni fa a Courmayeur, in Val Veny, con tre morti e 18 persone coinvolte, compresa una guida alpina, indicano che si è perduta la strada di una corretta valutazione del pericolo. Non solo, ma che si accettano rischi ignorando i pericoli dell’ambiente. «E’ così», dice il presidente delle guide alpine italiane Cesare Cesa Bianchi. Lui, da matematico, offre la logica: «Formazione da migliorare, anche per noi e progetto sinergico con gli appassionati della montagna, soprattutto con il Club alpino italiano». (Per poter continuare la lettura dell’articolo, cliccare qui)

 

(Foto @ La Stampa)

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3 Commenti

  1. Leggo, rifletto, tento di trovare una sintesi. Le parole di buon senso, non tanto di Enrico Martinet quanto di Hervé Barmasse, che non conosco, e di Azzalea e Cesa Bianchi, e anche di Andrea Gallo, che ho invece conosciuto – anche se in forme occasionali, come soccorritore del CNSAS e nei corsi guida – mi lasciano pensieroso. Vado in montagna da tanti anni e, come tutti quelli come me, ho avuto anche molti incontri ravvicinati con la tragedia e la morte.
    Mi pare che l’approccio alla montagna sia visto – purtroppo anche da molte guide alpine – come attraverso un business plan, come in analogia viene visto il PIL di un Paese o l’andamento delle borse: deve essere perennemente in rialzo, quando invece la logica e la prudenza dovrebbero imporre una “decrescita felice”, come si usa dire, che si dovrebbe attuare nella rinuncia e nell’opzione meno pericolosa, sempre.
    Ne ho viste troppe, di azioni imprudenti. Il problema è proprio lì, quando da imprudente si comporta l’esperto, la guida, colui al quale si affida la propria incolumità. Un tempo si dividevano gli alpinisti fra quelli “con guida” e “senza guida”, oggi il concetto è troppo diluito e vago, troppi interessi mascherano la prudenza, che non viene più insegnata, ma anzi viene spesso vissuta come un atteggiamento fastidioso, al limite del grattamento scaramantico. Chiunque abbia provato a dissuadere un deficiente dal mettersi nei pasticci (salvo poi andare a recuperarlo alle tre di notte incrodato), sa quanto è complicato forare la corazza della presunzione.
    Come diceva, saggiamente, poco tempo fa il buon Gallo, l’arte dell’alpinista / scialpinista / freerider / trekker, risiede nella rinuncia. Se posso, vorrei ricordare l’esortazione di Gaston Rebuffat: «alpinista è colui che va dove i suoi occhi hanno guardato… e che ritorna!». Prudenza, sempre, e perdonate lo sfogo.

  2. Concordo pienamente con Vincenzo Brancadoro. Ora permettiamo anche di salire con l’elicottero per fare le discese. Salendo con gli sci ai piedi ci si rende conto della situazione oggetiva della zona in cui operiamo.

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