Da Polenza: prossimi passi su Ande e Alpi
BERGAMO — “Un ottimo risultato, che dimostra la capacità del sistema messo in atto da EvK2Cnr per gestire queste stazioni in aree remote. Un sistema destinato a diventare mondiale: stiamo già preparando progetti per una rete di monitoraggio meteo e inquinanti in Sud America e in Italia”. Questo il commento di Agostino Da Polenza, presidente del Comitato EvK2Cnr, orgoglioso del successo della difficile missione agli 8000 metri di Colle Sud, dove Silvio Mondinelli ha riparato la stazione meteorologica installata l’anno scorso con la spedizione Share Everest.
Mi sembra un ottimo risultato, siamo tornati a Colle Sud per una campagna di manutenzione assolutamente necessaria dopo l’inverno himalayano e dopo che i venti fortissimi che avevano rotto supporti, strappato batterie e danneggiato sensori. In queste ultime settimane da Colle Sud ricevevamo di fatto soltanto quattro dati, la stazione era come “in agonia”. Ma la salita di Gnaro Mondinelli e il suo lavoro hanno permesso di riattivare totalmente la centralina e anzi di potenziarla dal punto di vista della disponibilità energetica.
Mondinelli era da solo questa volta sulla montagna…
Quest’anno si è confermata una collaborazione che con Gnaro di fatto va avanti da vent’anni ma che ora è diventata più organica quasi come se lui fosse un uomo EvK2Cnr. E’ salito da solo, con uno sherpa, fino agli ottomila metri della stazione e lì è riuscito davvero a fare un ottimo lavoro. L’anno scorso erano in tre più gli sherpa, quest’anno in due in pratica sono riusciti a fare un lavoro altrettanto impegnativo. Questo la dice lunga sulle capacità, sull’esperienza, sulla motivazione che ha Gnaro anche in questa sua veste di alpinista dedicato alla ricerca scientifica, oltre che sull’evidente capacità del sistema di gestione, operativo e logistico, che con lui EvK2Cnr ha messo in atto per gestire queste stazioni in aree remote.
Un sistema che vede in campo ricercatori e tecnici specializzati
Sì, alla Piramide e a Kala Patthar, a 5500 metri c’era una squadra di supporto che tra l’altro ha visto in campo Elisa Vuillermoz, una giovane ricercatrice che lavora con noi da ormai qualche anno. E’ ormai una forte personalità scientifica che si impegana in modo eccezionale anche sul terreno per la riuscita di questi progetti. Ho visto ieri la presentazione del team dell’Esa per il prossimo quinquennio, che comprende una donna e un ragazzo italiani, di alto livello tecnico e umano. L’Everest è il punto della Terra più vicino allo spazio e lì i nostri uomini e le nostre donne stanno lavorando con altrettanta capacità e preparazione tecnica. L’Italia in queste situazioni dove si richiede grande competenza e capacità tecnologica, riesce come sempre ad esprimere le sue capacità.
Questa stazione è un passo di un lungo percorso. Dove porterà?
Porta ad una rete mondiale di stazioni di monitoraggio d’alta quota. Per rimanere nell’ambito del collegamento tra satelliti e Terra, il satellite ha bisogno di conferme dei propri dati da una serie di stazioni a terra che sono numerose nelle zone di pianura, nelle zone urbanizzate, ma sono totalmente inesistenti in grandi aree del nostro pianeta. Parlo per esempio di tutto il continente africano dove non c’è una stazione di osservazione meteorologica oltre alle nostre due sul monte Rwenzori. In Asia la stazione più alta è questa di Colle Sud, ma abbiamo una rete che stiamo implementando dall’Everest fino alla pianura del Terai, e stiamo facendo la stessa cosa in Pakistan. Ci è stato chiesto di farlo anche in Sud America e stiamo predisponendo un programma di lavoro. La stessa rete verrà realizzata in Europa.
Di che progetto si tratta?
L’Europa ci chiede, per il monitoraggio climatico e degli inquinanti, di avere dati dalle aree extraurbane e rurali che sono scoperte. In Italia le montagne sono il 50 per cento del territorio e c’è un’unica stazione che fa monitoraggio di questo livello, quella del monte Cimone. Abbiamo proposto al Ministero dell’ambiente e della ricerca scientifica una rete italiana sulle cime delle Alpi e degli Appennini. Questo servirà a monitorare il passaggio degli inquinanti prodotti in Italia, ma anche quelli provenienti da aree remote come per esempio i black carbon provenienti dagli incendi africani o dai Balcani. E’ una rete che verrà realizzata, ci auguriamo, nel giro di due o tre anni.
C’è una conferenza imminente su questi temi, esatto?
Sì, tutto questo sarà raccontato da scienziati, ricercatori, politici e amministratori italiani, ma soprattutto internazionali, in occasione di un incontro internazionale organizzato a Milano il 27 e 28 maggio sui cambiamenti climatici e le montagne come osservatori privilegiati.