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Cambiamento climatico: animali e vegetali rischiano di non adattarsi

I rapidi cambiamenti climatici e l’aumento dell’influenza umana nelle terre alte hanno prodotto effetti profondi sulla biodiversità delle montagne di tutto il mondo.

Le specie, siano esse animali o vegetali, tendono infatti a salire di altitudine mano a mano che la temperatura aumenta. Nuovi spazi vengono infatti resi vivibili e specie che fino a quel momento avevano vissuto ad un altitudine minore si spostano più in alto, cambiando radicalmente l’ecosistema.

Jonas Lembrechts, dottorando in Ecologia Montana all’università di Anversa e autore del blog On top of the World, ha analizzato questi cambiamenti, partendo dal fatto che «con il passare degli anni la crescente velocità con cui le specie si stanno muovendo verso l’alto e verso il basso sta diventando sempre più visibile».

Un movimento che però non è così immediato come potrebbe sembrare.

Uno scorcio delle Alpi

Secondo Lembrechts infatti non è automatico che una volta aumentata la temperatura ad una certa altitudine, le specie si spostino velocemente, colonizzando il nuovo ambiente ora adatto ad accoglierle. La reazione avviene infatti con notevole ritardo per esempio nelle piante, che per spostarsi dipendono quasi interamente dal trasporto di semi.

I ritardi nella distribuzione delle specie non sono stati finora ben compresi, e questa mancata analisi dei movimenti potrebbe falsare molte delle previsioni dei prossimi secoli sulla distribuzione delle specie in montagna. Uno studio del 2017 della Mountain Invasion Research Network ha però dato una significativa accelerazione alla comprensione di questi fenomeni.

Appennino umbro-marchigiano

Vengono infatti distinti diversi tipi di ritardo. Come il “ritardo di dispersione”, che indica la difficoltà delle nuove specie a colonizzare le nuove terre, o il “ritardo di stabilimento”, che consiste nella difficoltà di individuazione di nuovi punti d’appoggio nei luoghi ancora inesplorati, soprattutto dalle specie animali.

Tra questi però il più curioso è il “ritardo nell’estinzione”, che indica lo strano fenomeno per cui una specie continua ad esistere in un certo ambiente anche se questo è divenuto per lei ormai inabitabile.

Ad esempio, la vegetazione diffusa negli ecosistemi artico/alpino risulta essere molto resistente alla colonizzazione di specie di piante in movimento verso l’alto. Questo fa sì che quando le specie a bassa quota arrivano a quote più elevate, spesso trovano una vegetazione autoctona altamente resistente che è difficile da superare. Una sorta di resistenza inaspettata e immotivata che dimostra come le interazioni tra specie di un determinato territorio a volte sia più forte addirittura del cambiamento climatico. Queste specie sembrano infatti dire: poco importa se il clima è cambiato, qui sono e qui rimango.

Queste forme di resistenza per lo più sconosciute giocano e giocheranno un ruolo fondamentale nella distribuzione animale e vegetale a cui va incontro il nostro pianeta e le nostre montagne.

Il larice comune

Gli esseri umani ovviamente in queste grandi migrazioni verso latitudini più alte svolgono un ruolo fondamentale: l’influenza umana infatti aiuta il trasporto di molte specie in ambienti più freddi, ad esempio attraverso i semi che si attaccano ai vestiti. Questo velocizza la colonizzazione di nuovi spazi e abitua l’ambiente alle nuove specie. Molte volte questo però significa anche l’abbattimento delle specie native, che si vedono costrette a ritirarsi verso l’alto per lasciare spazio ai nuovi arrivati.

Cambiamenti che dovrebbero preoccuparci, in quanto non tutte le specie, come abbiamo visto, reagiscono allo stesso modo a questo fenomeno. Questo potrebbe significare in futuro la sparizione di molte di quelle specie che non sono riuscite a tenere il passo del cambiamento. Incapaci di sfruttare la possibilità di salire di quota e incalzate da specie che prima stavano più in basso, molti animali e vegetali potrebbero sopperire davanti al cambiamento climatico, schiacciate tra due ambienti che non riconoscono più.

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