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12 febbraio 1953, parte la spedizione che salirà l’Everest

Poche date nella storia dell’alpinismo sono famose come il 29 maggio del 1953, quando il neozelandese Edmund Hillary e lo sherpa Tenzing Norgay raggiungono la vetta dell’Everest. Per celebrare i 70 anni trascorsi da quella straordinaria avventura, vi proponiamo un racconto a puntate della spedizione. Che inizia il 12 febbraio, quando la nave con a bordo gli alpinisti (solo una parte, in realtà) lascia il freddo e la nebbia di Londra per dirigersi verso il Canale di Suez e Bombay.  

In una giornata di febbraio del 1953, il piroscafo Stratheden lascia il porto di Tilbury, all’estrema periferia orientale di Londra, alla volta del Canale di Suez e di Bombay. La nave, della P&O Navigation, è stata varata per le crociere, ma durante la Seconda Guerra Mondiale è stata adibita al trasporto di truppe. L’India, come il vicino Pakistan, è indipendente da cinque anni e mezzo, e l’andirivieni di funzionari coloniali è un ricordo del passato. Da qualche anno, con quattro o cinque scali intermedi, il lungo viaggio dall’Europa fino ai piedi dell’Himalaya può essere compiuto anche in aereo, ma le navi continuano a viaggiare.

Sullo Stratheden, insieme a uomini d’affari e turisti parte un gruppo di alpinisti diretti all’Everest. Edmund Hillary e George Lowe arriveranno a Delhi dalla Nuova Zelanda, il capospedizione, con Tom Bourdillon, Charles Evans, Alfred Gregory e il fisiologo Griffith Pugh, partirà in aereo da Londra qualche giorno più tardi. Ma il colonnello John Hunt non ha dubbi. Anche se il biglietto per il piroscafo costa meno, il motivo per preferirlo all’aereo è che “la vita sulla nave ci darà una possibilità ulteriore per diventare una squadra, senza scomodità, fretta o stress”.

La costruzione del gruppo, che oggi chiamiamo team-building, proseguirà nel lungo trekking dalla frontiera del Nepal a Kathmandu, e dalla capitale fino alla valle del Khumbu. Come oggi sappiamo, la spedizione che lascia a febbraio il freddo e la nebbia dell’inverno inglese si concluderà con un trionfo. Il 29 maggio 1953, Edmund Hillary e lo sherpa Tenzing Norgay metteranno piede sugli 8848 metri della cima più alta della Terra. Una vittoria che renderà famosi entrambi, insieme al capospedizione John Hunt. Quattro giorni dopo, sarà annunciata dagli altoparlanti durante l’incoronazione della regina Elisabetta II.

Quando la spedizione del 1953 lascia Londra, sono passati 15 anni dall’ultimo tentativo d’anteguerra, diretto da Harold “Bill” Tilman, che si è fermato a 8320 metri. La spedizione più famosa della storia, conclusa dalla scomparsa di George Mallory e Andrew Irvine sulla cresta che sale alla cima, è partita dall’Inghilterra 29 anni prima, nel 1924. Ma se la distanza misurata in anni è breve, il mondo da allora è cambiato. La Seconda Guerra Mondiale, che per gli inglesi è durata cinque anni e mezzo, si è conclusa con una vittoria ma ha lasciato la Gran Bretagna stremata. Dopo il 1945 l’Impero, già in crisi nei decenni precedenti, ha iniziato a scomparire. L’India e il Pakistan sono diventati indipendenti nel 1947, con un bagno di sangue. Poi è toccato alla Birmania e a Ceylon (oggi Myanmar e Sri Lanka), al Kenya e agli altri Stati africani.

La guerra, oltre a uccidere decine di milioni di persone, ha dato una spinta al progresso tecnico. Oltre agli aerei che trasportano passeggeri da un continente all’altro, lo dimostrano le calde giacche di piumino e i respiratori a ossigeno, molto più leggeri e funzionali di quelli di Irvine e di Mallory, di cui dispongono gli alpinisti del 1953. Le tende di tela, le corde di canapa, le piccozze e i ramponi, invece, sono rimasti gli stessi. Anche l’Asia e le sue frontiere sono cambiate. Nel 1950 la Repubblica Popolare Cinese ha preso il controllo del Tibet, che ora è chiuso agli stranieri. Negli stessi anni, però, re Tribhuvan ha iniziato ad aprire i confini del Nepal a ricercatori e alpinisti. Al primo trekking nella valle del Khumbu, compiuto da Tilman e dall’americano Charles Houston nel 1950, segue una spedizione alpinistica diretta da Eric Shipton, un altro eroe d’anteguerra.

Il gruppo si accampa sul pianoro di Gorak Shep, studia il versante meridionale dell’Everest dai contrafforti del Pumori, scopre una possibile via di salita e la percorre fino a quasi 6000 metri, dove un enorme crepaccio sbarra la via verso il Western Cwm (la “Conca occidentale”), la parete del Lhotse e il Colle Sud. “Certo, era una via difficile, ma era pur sempre una via!” scrive Hillary.

Lo spostamento dal Tibet al Nepal cambia anche le regole del gioco. Nel paese del Dalai Lama, legato all’India britannica da un trattato, gli inglesi hanno l’esclusiva, e sono i soli a poter tentare l’Everest. Re Tribhuvan invece apre i confini a tutti. L’orientalista italiano Giuseppe Tucci studia templi e città, l’ornitologo americano Dillon Ripley fa lo stesso con l’avifauna, nel 1950 i francesi salgono l’Annapurna, il “primo ottomila” della storia.

I britannici, che dopo la ricognizione del 1951 pensano di poter tentare la cima, non possono impedire che il permesso per il 1952 venga assegnato agli svizzeri. A maggio, quando Raymond Lambert e Tenzing Norgay fanno dietrofront a 8600 metri, a Londra si tira un respiro di sollievo. E’ chiaro, però, che la spedizione britannica del 1953 avrà l’ultima occasione per far sventolare l’Union Jack sull’Everest. Il governo di Kathmandu, per i due anni successivi, assegna i permessi alla Francia e alla Svizzera.

Mentre gli svizzeri sono ancora sull’Everest, lo Himalayan Committee, che include la Royal Geographical Society e l’Alpine Club, inizia a preparare la spedizione del 1953. Si valutano le candidature degli alpinisti, si studiano le raccomandazioni del fisiologo gallese Griffith Pugh, e si affronta la scelta del leader.

Eric Shipton, alpinista ed esploratore straordinario, non viene giudicato adatto a un’impresa che “deve” conquistare la montagna. Un suo scritto in cui confessa “avversione alle grandi spedizioni” e “disgusto per la competizione nell’alpinismo” affossa la sua candidatura. Lo Himalayan Committee, a settembre, sceglie un uomo in divisa. E’ il colonnello John Hunt, nato in India, che nel 1944 ha combattuto in Abruzzo, e ora è in servizio in Germania. Quando la notizia si diffonde alcuni alpinisti si rifiutano di partire, ma poi capiscono che Hunt è il leader giusto. “Per lui un attacco alla montagna significava veramente un’operazione in stile militare” commenterà la scrittrice Ingrid Cranfield. “Per Shipton, invece, il termine ‘attacco’ suonava come un’offesa criminale”.

John Hunt non è solo un militare. Arrampica per otto estati sulle Alpi salendo decine di “quattromila”, partecipa a quattro spedizioni in Karakorum e in Himalaya. Nel 1935 tenta il Saltoro Kangri, 7742 metri, nell’odierno Pakistan. Due anni dopo, con la moglie Joy, Reginald Cooke e due sherpa, raggiunge il ghiacciaio Zemu, ai piedi del Kangchenjunga, dove sale il Nepal Peak, 7152 metri, e tenta altre cime imponenti, salendo da capocordata su difficoltà elevate.

Il suo piano per affrontare l’Everest, simile a quello di una campagna militare, prevede tre tentativi, da parte di una squadra composta da dieci alpinisti e da un “numero sufficiente” di sherpa, e verrà applicato con pochi cambiamenti imposti dalle condizioni della montagna e del meteo. Pian piano, con lettere e incontri prima della partenza, John Hunt ottiene la fiducia degli alpinisti. Ora la grande avventura può iniziare.

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