La variante al Pilastro Goretta e la pulizia della via dei Ragni al Fitz Roy, il racconto di Della Bordella
VARESE – “Per quest’anno la Patagonia la salutiamo così”: vale a dire con una variante nuova al Pilastro Goretta e la pulizia di parte della via dei Ragni sulla parete est del Fitz Roy. A distanza di qualche giorno dal ritorno in patria di Matteo Della Bordella, Luca Schiera, Silvan Schüpbach, Luca Gianola e Pascal Fouquet pubblichiamo le foto e il racconto di Della Bordella relativo all’ultima parte della loro spedizione.
La spedizione dei Ragni di Lecco di quest’anno in Patagonia si proponeva di ripetere per la prima volta e in libera la via aperta sulla parete est da Casimiro Ferrari e Vittorio Meles nel 1976. Le condizioni della parete non hanno permesso a Della Bordella, Schiera, Schüpbach, Gianola e Fouquet di salirla, tuttavia gli alpinisti hanno lavorato al raggiungimento di un altro degli obiettivi che si erano prefissati: la rimozione dai materiali, lasciati dagli apritori e da altre spedizioni precedenti, rimasti per anni in parete. Nei primi 750 metri di salita hanno potuto spostare dalla via scalette e corde, depositandoli su alcune cenge. L’idea era quella di riportarli a valle durante la discesa, ma le condizioni di salute di Schüpbach non hanno permesso loro di trasportare tutto il materiale. Come spiega Della Bordella una grossa mano l’hanno data però altri alpinisti argentini impegnati anche loro sulla Est del Fitz Roy: sono stati in particolare Cristobal Senoret e Inaki Cousirrat a caricarsi 35 chili di materiali e a portarli giù dalla montagna.
Dopo un secondo tentativo abortito ancora prima del precedente sulla parete Est del Fitz Roy, Della Bordella, Schiera e Schüpbach hanno scelto un nuovo obiettivo: il pilastro Goretta. Di seguito riportiamo parte del racconto di Della Bordella, disponibile in versione integrale sul sito dei Ragni di Lecco.
“Chiuso il capitolo via dei Ragni al Fitz Roy la domanda è cosa fare nei successivi 3 giorni. Ne parliamo sul ghiacciaio sotto la via e ci basta guardarci intorno per renderci conto che dove la parete Est del Fitz Roy finisce, si innalza imponente il pilastro che Renato Casarotto dedicò alla moglie Goretta. Un missile che si impenna contro il cielo e che termina 350 metri sotto la cima principale del Fitz Roy. Impossibile non restarne colpiti la prima volta che lo si vede. Una breve premessa e qualche accenno storico alla grandissima impresa che Renato Casarotto compì nel 1979 è necessario e doveroso. Come molti già sanno, è stato uno dei più grandi alpinisti italiani di tutti i tempi e sebbene al grande pubblico il suo nome sia meno noto di quelli di Bonatti, Cassin o Messner, le sue salite, il suo stile e la sua filosofia di andare in montagna non hanno nulla da invidiare a questi grandi nomi.
Renato Casarotto tentò per la prima volta la salita del Fitz Roy dal pilastro Nord (che successivamente dedicò egli stesso alla moglie Goretta) nel 1978. Non essendo andato a buon fine questo primo tentativo decise di tornare l’anno seguente, con la moglie e altri due compagni, i quali tuttavia lo abbandonarono durante la spedizione. Casarotto proseguì quindi da solo, con l’aiuto di Goretta, e dopo aver attrezzato con corde fisse l’intero pilastro, raggiunse la vetta del Fitz Roy. La sua è la prima salita assoluta in solitaria di questa montagna ed ancora oggi è l’unica via aperta in solitaria sul Fitz Roy; sempre ancora oggi, nel 2015, si tratta ancora forse della salita più difficile in solitaria mai compiuta in Patagonia.
Torniamo alla nostra salita. Partiamo così mercoledì mattina per la prima parte della via: un canale di neve e misto che, se in condizioni, buone presenta difficoltà contenute su ghiaccio e neve, mentre nelle condizioni sbagliate può diventare un incubo di roccia marcia e colate di acqua. Verso mezzogiorno raggiungiamo il “blocco incastrato” e il tempo inizia a peggiorare; le raffiche di vento si fanno sempre più forti e il cielo si copre. Luca parte in perlustrazione sui tiri successivi, ma dopo un paio di lunghezze facciamo ritorno al blocco dove ci chiudiamo nei nostri sacchi a pelo, intanto che il vento continua a soffiare sempre più forte e un po’ di pioggerellina inizia a cadere.
La notte non è certo delle più confortevoli, soprattutto per Luca e Silvan, che, per risparmiare sul peso, condividono in due un sacco a pelo. Tuttavia giovedì mattina puntiamo la sveglia di buon ora e ci alziamo con un cielo stellato e senza vento. Con le prime luci dell’alba ci apprestiamo a ripartire: la cima del pilastro Goretta ci attende, 700 metri più in alto. Il pilastro è caratterizzato da una gran quantità di fessure e da un granito di qualità eccezionale. Siamo senza relazione tecnica della via e ci facciamo guidare dall’istinto. Parte Luca su una serie di fessure larghe nel centro del pilastro e dopo 150 metri proseguo io, sempre guidato dall’istinto e dalla bellezza dell’arrampicata.
A un certo punto mi rendo conto che certamente non stiamo seguendo la linea più logica e più facile del pilastro. Piuttosto stiamo seguendo quella ci sembra la linea più diretta e divertente da scalare! I tiri scorrono uno dietro l’altro. Lunghezze di 55, 60 metri per fessure e diedri perfetti, dove a fermarti è solo l’attrito e la lunghezza della corda; linee granitiche che sparano dirette verso il cielo, un’arrampicata incredibile, come a Yosemite, fatta di incastri di ogni genere.
Per evitare un insidioso tratto di fessura offwidth ci spostiamo a destra, proprio al centro del pilastro. L’arrampicata continua a essere della migliore qualità e sempre sostenuta con tiri su lame e traversi che obbligano a movimenti poco convenzionali. Cento metri prima della cima del pilastro Silvan passo al comando. Un lungo camino, che già avevamo intravisto dal basso obbliga Silvan a una scalata scomoda e faticosa; io e Luca lo raggiungiamo in cima al pilastro intorno alle 18.30. Da qui ci godiamo la vista sulla parte finale del Fitz Roy e chiamiamo il nostro amico meteorologo Deza per avere aggiornamenti sulla situazione meteo. Le news non sono ottime: l’arrivo del brutto tempo è anticipato rispetto a quanto previsto originariamente. Dopo aver bivaccato ed averci pensato un po’ su decidiamo comunque di proseguire. Riparto sulla prima lunghezza della parte finale prima che sorga il sole. La parola d’ordine è, come sempre, scalare a manetta, nonostante le mani ghiacciate e i numerosi strati di vestiti addosso. Contrariamente a quanto descritto nella guida le 4 lunghezze impegnative finali si rivelano molto più scorrevoli e facili del previsto. In breve ci ritroviamo a calzare gli scarponi su terreno misto più appoggiato con tratti di roccia e di neve. Verso le 10.30 tocchiamo la cima del Fitz Roy.
Con perfetto tempismo rimettiamo i piedi sul ghiacciaio verso le 19.30 quando ormai le raffiche di vento si fanno sempre più forti e la tempesta è alle porte. Solo quando rientriamo a El Chalten, guardando sulla guida e parlando con Rolo Garibotti scopriamo che nessuno aveva mai seguito la nostra linea in centro al pilastro e ci rendiamo conto di aver aperto una nuova variante. Siamo stati guidati solo dall’istinto, dalla linea e dalla purezza della scalata e di queste 3 cose conservo un ricordo fantastico. Il nome e i numeri di questa salita e di questa variante (che gli alpinisti hanno chiamato “Amaro vecchia romana” n.d.r.) contano poco, ciò che conta per me è il ricordo di questa fantastica esperienza, il ricordo di una salita pulita e divertente, il ricordo di un’arrampicata eccezionale su una delle montagne più belle del mondo, il ricordo di un’esperienza condivisa con gli amici. Per quest’anno salutiamo la Patagonia così”.
Matteo Della Bordella
Testo integrale e altre foto sul sito dei Ragni di Lecco
Alpinisti veri, duri, puri. Orgoglio dell’alpinismo italiano che hanno preso la fiaccola che fu di Ferrari e Salvaterra