Bonatti come Bartali e Coppi: un uomo tutto d'un pezzo. Il ricordo di Agostino Da Polenza
BERGAMO — “Con lui se ne va l’alpinismo di una volta, un mondo eroico, fatto di grandi vittorie e grandi tragedie. Era un uomo alla Bartali e Coppi, tutto d’un pezzo, di forte rettitudine etica e morale verso la montagna. Un uomo che forse ha sofferto per tutta la vita per quella vicenda al K2: non tanto per il torto ricevuto, quanto per la mancanza di quella verità che per lui era un valore assoluto”. Questo è Walter Bonatti nelle parole di Agostino Da Polenza. Riportiamo di seguito il suo ricordo dell’uomo e dello scalatore che è stato uno dei simboli dell’alpinismo mondiale.
“Walter Bonatti è stato sicuramente un alpinista di riferimento per la mia vita alpinistica, che poi è diventata vita lavorativa tout court. Mi ricordo di mio padre che parlava in famiglia di questo cugino scalatore che in quegli anni tra i ’50 e i ’60 realizzava mitiche imprese, che probabilmente non capivano neanche bene però sapevano che erano importanti. “Lotte con la natura”, epiche, eroiche, perfettamente in linea con quella voglia di riscossa del Dopoguerra. Era un giovane uomo che usciva vittorioso da salite ritenute fino a poco tempo prima impossibili per chiunque, sempre intelligenti, e sempre un passo avanti.
Era mio cugino di secondo grado. All’inizio degli anni ’70 io ero un ragazzotto e andavo al liceo, suo padre viveva in una casa di riposo a Semonte, in Val Seriana. Io andavo a trovarlo ogni tanto e gli leggevo il libro del figlio, “I giorni grandi”. Quando morì nel 1973, Walter mi regalò quel libro che raccontava di fatto tutta la vita alpinistica di Bonatti. All’epoca era già famoso fotografo, cronista delle sue straordinarie avventure in giro per il mondo, e poi era un alpinista mitologico già per tutti.
Io e lui ci incontrammo prima e dopo la mia salita al K2 del 1983. Ci raccontammo a vicenda le nostre spedizioni su quella straordinaria montagna, che in lui era rimasta dentro come un chiodo da ghiaccio avvitato nella sua anima, lasciandogli dietro una grande ferita e un grande rammarico. L’ho sentito parlare spesso di quella vicenda, ma poi ho vissuto anche una grande amicizia con Ardito Desio, Lino Lacedelli e Achille Compagnoni. Forse perché sono tornato tante volte al K2, 4 volte, e pur avendoci vissuto anche drammatiche esperienze come la morte di Lorenzo Mazzoleni, per me questa montagna è il simbolo della mia nascita alpinistica. Per me il K2 era la gioia di una nascita, per lui invece un dolore, fonte di polemiche durissime. Per me è stato il collegamento con un personaggio della grandezza di Desio, che però per Bonatti era il naturale antagonista: la vicinanza con Desio mi ha allontanato da lui, nonostante non ci siano mai state discussioni fra di noi. Il K2 in qualche modo ci ha unito e ci ha diviso.
L’ultima volta che l’ho incontrato è stato al funerale di Daniele Chiappa, due anni fa a Lecco. C’era tantissima gente, ma a un certo punto nella folla lui si è girato e ci siamo trovati l’uno di fronte all’altro, un puro caso. Gli ho gridato: ‘Ciao Walter!’. Lui mi ha risposto: ‘Ciao Agostino!’, poi mi ha guardato fisso negli occhi, con un’espressione mista tra il sorpreso e il burbero e mi ha detto: ‘ti amo e ti odio”.
Con lui se ne va probabilmente l’ultimo testimone di una storia dell’alpinismo che attraverso Cassin, arriva a Messner e va oltre l’oggi. Se ne va l’alpinismo di una volta, un mondo eroico, fatto di grandi vittorie e grandi tragedie raccontate attraverso le pagine dei giornali. Lui era uomo alla Bartali e Coppi, tutto d’un pezzo, di forte rettitudine etica e morale verso la montagna. Un uomo che forse ha sofferto per tutta la vita per quella vicenda al K2: non tanto per il torto ricevuto, quanto per la mancanza di quella verità che per lui era un valore assoluto. Come tutti gli uomini cercava la sua verità”.
Agostino Da Polenza