Gente di montagna

In ricordo di Claude Barbier, fuoriclasse “maledetto”

Il 7 gennaio 1938 nasceva lo scalatore belga che fu protagonista di memorabili salite dal primo concatenamento in velocità delle Tre Cime di Lavaredo alle imprese solitarie. Fu un arrampicatore fra i più forti e prolifici, sebbene caratterizzato da un animo fragile e un carattere difficile

Sono tornato a scalare da solo, cancellando promesse irrealizzabili, mi piace e va bene così

Claude Barbier, settembre 1965

Va bene così. Es ist gut. Secondo alcuni storici, furono proprio queste le ultime parole pronunciate dal filosofo tedesco Immanuel Kant prima di arrendersi alla morte.

Es ist gut. Va bene così. Tre parole pronunciate non tanto in riferimento alla morte che stava inesorabilmente per giungere né alla vita che aveva vissuto e che in quel momento guardava già da lontano come un insieme forse caotico di istanti fugaci. No, quelle tre parole erano indirizzate all’allievo Wasianski che gli aveva appena dato da bere un bicchiere d’acqua e che ancora gliene offriva.
Va bene così. Es ist gut.
Sono le stesse parole, decisamente più rassegnate che perentorie, pronunciate nella citazione posta in apertura di questo articolo da Claude Barbier, arrampicatore belga che nacque ad Etterbeek il 7 gennaio 1938.

La vita

Figlio unico di una famiglia benestante – il padre ricopriva una posizione dirigenziale presso l’ente telegrafico e telefonico belga –, Claude trascorse la prima infanzia a Gent, trasferendosi poi in un secondo momento a Bruxelles, insieme ai genitori. Diligente studioso e primo della classe fino almeno ai 14 anni, Barbier dimostrò con il tempo una strabordante passione per le “terre alte” che, da turista, frequentava insieme alla famiglia, durante le estati della sua giovinezza: dalle Alpi occidentali a Cortina d’Ampezzo, passando per l’Austria dell’imponente Gloßglockner, alle pendici del quale è ritratto in una foto, assieme alla madre, nel 1950.

Ma fu Cortina d’Ampezzo a sancire l’innamoramento totale di Claude per la montagna e soprattutto per il calore delle crode dolomitiche, che da quel momento in poi divennero suo terreno prediletto d’avventura. Cruciale, nel 1955, il battesimo di fuoco con Lino Lacedelli, Guida alpina ampezzana e Scoiattolo di Cortina reduce dall’impresa al K2, che arrampicò con Claude per tutta l’estate insegnandoli i rudimenti.

Altro grande maestro, dieci anni più tardi, fu Lionel Terray. Nel 1965, infatti, il celebre alpinista francese prese sotto le sue ali Barbier, con l’intento di aiutarlo ad esercitarsi per poter passare le selezioni da Guida alpina in terra francofona e fare finalmente di quella passione un mestiere vero e proprio. Terray morì alla fine di quell’estate e Barbier, abbandonato insieme al proprio sogno, non perseguì più quell’obiettivo, continuando ad arrampicare come aveva sempre fatto: solo, disperato e veloce.

Da quando si era avvicinato alla montagna, d’altronde, Claude non faceva altro: arrampicava ogni estate, praticamente tutti i giorni, aiutato a vivere – per non dire totalmente dipendente – da una rendita mensile che i genitori non smisero mai di fornirgli. Una situazione senz’altro comoda, ma altrettanto alienante, tant’è che lo stesso Barbier si mostrò sempre insoddisfatto al pensiero di non riuscire, nella vita, a combinare null’altro. «Mi raccontò che aveva sempre patito l’idea di non potersi sposare – disse a tal proposito la sua ultima compagna di vita, Anna Lauwaert – visto che non era capace di mantenere una famiglia. E che tante volte aveva pianto al pensiero di non poter avere un figlio».

In questo lento costruirsi di un travagliato rapporto con se stesso, Claude iniziò parallelamente ad inanellare successi alpinistici, intervallati da altrettante sconfitte, più o meno grandi.

Dopo la “scuola” con Lacedelli, ad esempio, Barbier aveva incontrato in Civetta, nell’estate del 1957, Walter Philipp, Diether Marchart e Dieter Flamm, con i quali iniziò ad aprire una linea estetica e durissima su un diedro individuato da Philipp stesso lungo la parete nord-ovest della montagna, nello specifico su una cima secondaria allora chiamata Quota 2.992 e in seguito rinominata Punta Tissi. Durante la scalata, Marchart venne colpito da una scarica di sassi che lo ferirono alle gambe. Barbier decise di scendere insieme a lui in corda doppia, mentre Philipp e Flamm si apprestavano a passare alla storia completando il diedro che ancora oggi porta il loro nome e che resterà, per tutto il Novecento, la via più iconica delle Dolomiti, insieme ad Attraverso il pesce sulla parete sud della Marmolada. Per Claude fu uno smacco incredibile, così come per Marchart. E fu forse in quel momento che, nelle vite di entrambi, delusi dalla cordata di cui facevano parte, l’arrampicata solitaria prese il sopravvento.

Marchart firmò nel 1959 la prima solitaria del Cervino, impresa passata sotto silenzio e definitivamente oscurata, sette anni più tardi, dalla solitaria invernale di Walter Bonatti. Barbier inanellò invece grandissime ripetizioni lungo tutto il corso di quei primi anni Sessanta, una su tutte il concatenamento in velocità delle cinque pareti nord alle Tre Cime di Lavaredo. Era l’agosto del 1961, l’arrampicata “sola e veloce” alla Alex Honnold era ben lungi dal divenire e quest’anonimo belga, che sembrava provenire veramente dal nulla, già ne presagiva, con visione e doti tecniche incredibili, l’avvento. In sette ore e cinque minuti di effettiva scalata aveva percorso i 1.750 metri di sviluppo – 3.500 metri, contando anche le ridiscese – di quelle pareti.

La predilezione per le solitarie e il carattere schivo al limite del burbero non impedirono a Claude di cucire legami di solida amicizia con pochi e selezionati alpinisti della sua generazione, incontrati a più riprese in Dolomiti: Heinz Steinkötter, Almo Giambisi e Alberto Dorigatti su tutti. Con il primo – e Dietrich Hasse – aprì un itinerario in artificiale, la Via degli Strapiombi a Cima d’Ambiez, nelle Dolomiti di Brenta, che fu oggetto di aspre e severe critiche da parte di Reinhold Messner, in quel Sessantotto di rivoluzioni, politiche ma anche alpinistiche. Come poteva un solitario come Barbier, abituato a considerare materiale artificiale anche i compagni di cordata, aprire una vita “a goccia d’acqua” senza un minimo di rimorso?

Fu lo stesso Claude a rispondere, l’anno dopo, aprendo con l’amico Almo Giambisi e Carlo Platter la Via del Drago in Lagazuoi, splendido esempio di arrampicata libera spinta all’estremo, tanto da far esclamare a Barbier, fra le pagine del suo diario, “il drago è morto, lunga vita al drago!”. Quel drago era la rappresentazione dell’impossibile che, per Messner, era stato assassinato dall’arrampicata artificiale, capace solo di traguardare i limiti dimenticandosi dell’etica. Per Claude un problema simile non esisteva, livellato dalla libertà di arrampicare in qualsiasi modo: in artificiale se un amico glielo chiedeva, in libera estrema per ribadire il proprio talento puro. Un talento che non gli impedì purtroppo di morire troppo presto, nel maggio del 1977, precipitato per fatalità – forse un po’ troppo cercata per poter essere definita tale – dalle pareti di una falesia in Belgio che aveva contribuito a chiodare. “In montagna – diceva – è spesso l’inaspettato che succede”.

Il mistero della scomparsa

Va bene così. Es ist gut. Forse sono state queste le ultime parole pronunciate, o almeno pensate, da Claude Barbier in quel pomeriggio del 27 maggio 1977. Secondo la compagna, Anna Lauwaert, l’incidente del fuoriclasse belga fu una scelta. Non casuale né tantomeno impulsiva. Piuttosto, una scelta dettata da traumi infantili mai risolti per davvero e sublimati, messi fra parentesi, grazie al formidabile aiuto della montagna, sulle cui pareti Claude sembrava più scappare – veloce, solo – che arrampicare.

Barbier aveva frequentato la scuola dell’obbligo in un collegio benedettino che fu al centro, nel 2010, di uno scandalo per pedofilia. L’avversione di Claude per gli ambienti ecclesiastici era maturata a partire dalla sua esperienza fra quelle mura, di cui non ci è dato sapere di più, se non intuire l’ombra di una sofferenza più profonda manifestata in improbabili scatti d’ira, nell’irrequietezza esistenziale e nell’incapacità di corrispondere ad un lavoro fisso e stabile. Anche, infine, nella sua incredibile mole di attività alpinistica, che le pareti dolomitiche accolsero con la gioia dei loro colori ma che, al compimento dei 39 anni, diventava sempre più fisiologicamente difficile portare avanti. “Se non arrampico, che cosa mi resta?”. Niente, e va bene così.

Alcune delle principali ascensioni

– 11 settembre 1959, via Comici alla Cima Grande di Lavaredo, ripetizione in solitaria

– 20 settembre 1959, via Cassin alla Cima Ovest di Lavaredo, ripetizione in solitaria

– 24 agosto 1961, concatenamento in solitaria delle cinque pareti nord alle Tre Cime di Lavaredo, in 7 ore

– 28 agosto 1961, via Andrich-Faè, prima ripetizione in solitaria

– 4-5 settembre 1961, via Philipp-Flamm, prima ripetizione

– 25 agosto 1962, via Comici alla Civetta, prima ripetizione in solitaria

– 6 agosto 1964, via Detassis alla Cima Tosa, prima ripetizione in solitaria

– 21-31 luglio 1966, via degli Strapiombi in Cima d’Ambiez, aperta con Heinz Steinkötter e Dietrich Hasse

– 19 settembre 1968, via Italia ’61 al Piz Ciavazes, prima ripetizione in solitaria

– 26 settembre 1969, via del Drago in Lagazuoi Nord, aperta con Almo Giambisi e Carlo Platter

– 28 agosto 1970, via Cassin al Badile, prima ripetizione in solitaria

Libri

– Anna Lauwaert, La Via del Drago, CdA, 1992

– Monica Malfatti, Dimmi che mi ami. Le Dolomiti di Claudio Barbier, Versante Sud, 2024

– Alberto Sciamplicotti, Quelli del Pordoi, Versante Sud, 2005

Dimmi che mi ami, che mi ami per me, non a causa della montagna, non a causa delle mie imprese, non perché ti porto ad arrampicare, non perché ti faccio l’amore. Dimmi che mi ami, dimmi che mi ami per me, per me stesso. Dimmi che mi ami solo per me stesso

Claude Barbier alla compagna Anna Lauwaert, 1976

Tags

Articoli correlati

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Back to top button
Close