Denis Urubko: “in inverno l’Himalaya è più bella. E più vera”
In occasione del Festival dello Sport di Trento, il fuoriclasse russo ha raccontato la sua passione per gli Ottomila affrontati durante la stagione più severa dell’anno: “La fatica e gli sforzi si moltiplicano, le amicizie si rafforzano”
«Penso di essere un cavallo che arrampica molto bene». Ha risposto così l’alpinista russo Denis Urubko alla domanda rivoltagli dal giornalista Alessandro Filippini durante il suo talk al recente Festival dello Sport di Trento. «Ti consideri uno degli alpinisti più forti?» era l’interrogativo che ha suscitato la risposta. «I cavalli sono fatti per correre, le scimmie per arrampicare. Io mi considero un cavallo, che arrampica molto bene», ha poi specificato Urubko.
Nato sovietico in terra sovietica, dopo il crollo dell’Urss scelse di diventare kazako, per questioni puramente sportive. «All’epoca il Kazakistan ospitava la migliore scuola di alpinismo in quota. Eravamo inquadrati come militari e proprio parallelamente alla carriera militare ha progredito anche la mia carriera alpinistica. In un periodo storico in cui il soldato non lo voleva fare praticamente nessuno, io ho cercato di farmi arruolare ad ogni costo, per poter andare in montagna».
Un andare in montagna che lo ha condotto, nel 1999, a conquistare lo Snow Leopard Prize, il riconoscimento assegnato a chi sale le cinque vette sopra i 7.000 metri dell’ex Unione Sovietica in una sola stagione.
Un’impresa affrontata per onorare la memoria di Anatolij Bukreev, il primo a tentare questo progetto. «Proprio Bukreev, insieme a Kukuczka, Messner, Wielicki e Destivelle, sono stati i miei punti di riferimento, nella direzione di un alpinismo tradizionale, diverso dal modo di fare spedizioni cui stiamo assistendo negli ultimi anni», ha precisato Denis. «La cosa con cui ho dovuto fare i conti è che nel mio Paese queste imprese erano viste come cose del tutto inutili, laddove in Europa mi applaudivano e premiavano. Ho imparato così, al di là di ogni ipocrisia, che l’attenzione delle persone nei propri confronti è importante. Questo rende l’alpinista molto simile ad un artista. Di fatto l’alpinista è un artista delle grandi pareti e delle grandi vette».
Denis Urubko ha cominciato ad esplorare queste pareti e queste vette trent’anni fa, arrivando a prediligere gli Ottomila in veste invernale. «Il motivo non è facilissimo da spiegare, ma il fatto è che in inverno c’è seriamente solitudine in montagna. La fatica e gli sforzi si moltiplicano, le amicizie si rafforzano: è questo tipo di sensazioni che vado cercando», ha motivato Urubko.
Una delle amicizie che, proprio durante queste spedizioni, si è rafforzata, è stata quella con Simone Moro, insieme al quale Urubko ha realizzato la prima invernale al Gasherbrum II, anche con la presenza di Cory Richards. In precedenza c’era stato anche un tentativo invernale al K2, occasione in cui proprio Urubko ha ottenuto il record del punto più alto mai raggiunto su questa vetta da un alpinista in inverno fino a quel momento. Al K2 Denis tornò nel 2019 per una spedizione organizzata stavolta dal polacco Kryzstof Wielicki. In quel frangente, giunse al campo base la notizia di alcuni alpinisti in difficoltà sul vicino Nanga Parbat. Urubko e i compagni riuscirono a soccorrere l’alpinista francese Elisabeth Revol, che senza quell’intervento non avrebbe avuto scampo.
«Quando ho capito che c’era un problema importane mi sono proposto», ha proseguito Urubko, «perché l’alpinismo è libertà e non bisogna costringere nessuno a situazioni difficili. Ma se qualcuno è in difficoltà occorre fare di tutto per aiutarlo. Quel salvataggio è stato frutto di una catena di casualità, fortunate per Elisabeth e sfortunate per il suo compagno di scalata, Tomek Mackiewicz, che purtroppo è morto su quella montagna prima che potessimo trarre in salvo pure lui».
Anche nel 2019, effettua due salvataggi sui Gasherbrum e subito dopo parte da solo alla volta della cima sul Gasherbrum II, raggiungendola in meno di 24 ore per un nuovo itinerario.
Dopo lo stop del Covid, nel 2022 è tornato all’alpinismo salendo tre Ottomila in poche settimane e in tempi incredibili: 7.30 ore per il Broad Peak, 15 ore per il Gasherbrum II e altre 36 ore per il K2, tutte in solitaria.
Più recentemente, lo scorso inverno, durante un tentativo al Gasherbrum I Urubko è scivolato in un crepaccio, riportando svariati congelamenti. «Non mi sono ancora ristabilito del tutto, ma non voglio fermarmi» ha specificato. «Vorrei ancora fare una via nuova su quelle quote e magari ancora un paio di invernali. Ma vorrei anche avere dei figli e scalare su rocce più accoglienti, al caldo. Arrampicare fino all’8a, 8b, ma anche rendermi utile alla società. In Val Seriana, vicino a dove vivo quando sono qui in Italia, andrò a sistemare le vie aperte dal mio amico Mario Curnis. Anche creare nuove vie, adatte al divertimento di tutti, è un obiettivo che reputo importante e di cui vado orgoglioso».