A tu per tu con Matteo Della Bordella al ritorno dalla Groenlandia
L’alpinista lombardo - con Silvan Schupbach, Alex Gammeter e Symon Welfringer -, ha salito “Odissea Borealis” una nuova via di 1200 metri e difficoltà fino al 7b. Il lungo viaggio in kayak per raggiungere la parete e gli incontri con gli orsi polari
“In quale avventura stavamo andando a cacciarci lo abbiamo capito chiaramente quando, a inizio luglio, siamo arrivati nel villaggio di Tasiilaq. Persino gli abitanti di lì, espertissimi conoscitori del territorio, non avevano mai sentito parlare del posto dove eravamo diretti!”.
Appena rientrato dalla sua nuova spedizione in Groenlandia, dove, con i compagni Silvan Schupbach, Alex Gammeter e Symon Welfringer, ha portato a termine l’ascensione di “Odissea Borealis” una nuova via di 1200 metri e difficoltà fino al 7b su una big wall mai salita prima, il racconto di Matteo Della Bordella, ancor più che sulla scalata in sé stessa, si focalizza sull’esperienza di viaggio che le ha fatto da contorno.
“Da questo punto di vista credo che questa spedizione sia andata un passo oltre ciò che fino ad ora abbiamo fatto in Groenlandia – racconta l’alpinista membro dei Ragni di Lecco e socio del Club Alpino Accademico Italiano – Da Tasiilaq un cacciatore ci ha accompagnato con la sua imbarcazione fino al suo capanno di caccia e da lì siamo partiti con i nostri kayak carichi, con tutti i viveri e le attrezzature per la scalata. Abbiamo percorso in totale autonomia 300 chilometri lungo la costa est dell’isola, spesso in mare aperto, per giungere ad un approdo che un tempo ospitava un avamposto di pesca, poi abbandonato e dimenticato proprio per la sua posizione remota e la pericolosità della rotta che bisogna affrontare per raggiungerlo. Durante i dieci giorni della traversata abbiamo trovato condizioni davvero avverse, rischiando di rimanere bloccati nel mare ancora ghiacciato nonostante la stagione avanzata, pagaiando nel mezzo di due tempeste con condizioni di vento degne della Patagonia e onde di tre metri! Questi sono stati sicuramente i momenti più difficili e pericolosi del viaggio e, senza l’esperienza maturata nella precedenti spedizioni e la preparazione specifica che avevamo approntato prima della partenza, difficilmente saremmo riusciti a venirne fuori!”.
Certo, anche la scalata vera e propria ha riservato incognite e momenti ad alta tensione: “La parete è davvero enorme e ripida, e sapevamo di avere poche chances per salirla. I viveri che avevamo a disposizione ci davano i giorni contati: massimo dieci di permanenza sotto la parete e altri dieci per il rientro in kayak. Nei primi due tentativi abbiamo salito alcuni tiri dove abbiamo fissato alcune delle corde da scalata che avevamo con noi, ma siamo sempre stati respinti dall’arrivo della pioggia. Un terzo tentativo è fallito prima di partire a causa di una nevicata”.
Con previsioni meteo finalmente rassicuranti, il quarto tentativo sembrava potesse essere quello buono, ma anche qui l’imprevisto ci mette lo zampino: “Mentre risalivamo le corde lasciate in parete siamo stati investiti dal Piteraq, il terribile vento catabatico che, senza preavviso alcuno, si scatena sulle coste della Groenlandia. Le raffiche hanno cominciato a generare scariche di sassi e, senza che ce ne rendessimo conto, una di queste ha danneggiato la corda su cui Symon stava risalendo, che si è spezzata sotto al suo peso… Fortunatamente la rottura è avvenuta quando Symon era ancora assicurato a una protezione sottostante, altrimenti sarebbe volato giù per 300 metri fino alla base!”.
Finalmente in vetta
Dopo l’incidente Matteo e compagni hanno interrotto il tentativo tornando al campo ormai molto dubbiosi sulla possibilità di completare la salita. Proprio in extremis, però, le previsioni hanno annunciato una nuova finestra di bel tempo e i quattro hanno tentato il tutto per tutto: “Approfittando delle condizioni finalmente propizie abbiamo attaccato e, dopo due giorni di scalata siamo riusciti a venire a capo di questa fantastica big wall! In tutto sono 35 tiri di corda, su roccia che diventa sempre più bella man mano che si sale e difficoltà in generale non estreme, ad eccezione di un tiro difficile e psicologico dove bisogna proteggersi prevalentemente con i pecker e che abbiamo valutato attorno al 7b. Un altro giorno è stato poi necessario per la discesa in doppia”.
Quasi scontata l’origine del nome dato alla nuova via: “Odissea Borealis ovviamente è un riferimento alla grande avventura che abbiamo vissuto e alla magnifica aurora boreale che abbiamo potuto ammirare durante uno dei bivacchi in parete nel corso del tentativo finale. Un regalo indimenticabile con cui la Groenlandia ha voluto darci il suo saluto!”.
Il team ha avuto poi ben poco tempo per festeggiare il successo; subito dopo il rientro dalla salita Matteo e compagni, con la lancetta delle scorte di viveri che ormai puntava decisamente sul rosso, hanno dovuto subito rimettersi in mare per affrontare il lungo rientro: “Sapevamo di essere decisamente agli sgoccioli, infatti, nonostante il nostro impegno per forzare le tappe, le riserve di cibo si sono esaurite a metà dell’itinerario, quando avevamo percorso con il kayak circa 150 chilometri, cosa che ci ha costretti a farci venire a prendere da un’imbarcazione a motore”.
A tu per tu con gli orsi polari
Fra le tante emozioni vissute nei 32 giorni di spedizione un posto speciale nei ricordi di Matteo è riservato agli incontri con gli orsi polari con cui aveva avuto un rendez-vous più che ravvicinato già nel 2014, durante una tappa del ritorno in kayak dopo la salita della nuova via sullo Shark Tooth, sempre in Groenlandia: “Memori dell’irruzione che l’Orsa Berta, come poi l’abbiamo amichevolmente chiamata, aveva fatto in quell’occasione nella capanna dove stavamo passando la notte, questa volta ci siamo dotati di una recinzione con allarme, che però si è rotta al secondo giorno di spedizione. Sicuramente sarebbe stata utile, visto che di orsi ne abbiamo incontrati ben quattro! I primi tre erano abbastanza timidi e si sono allontanati appena ci hanno avvistato. Il quarto, invece, il più bello e maestoso, era proprio deciso a fare la nostra conoscenza ed è arrivato vicinissimo: per allontanarlo abbiamo dovuto imbracciare il fucile e sparare tre colpi in aria. Evidentemente non eravamo gli unici ad essere a corto di viveri…”.