Gente di montagnaNews

La montagna silenziosa dei Rondi del Comelico

Costola della locale Sezione CAI fino al 1990, il Gruppo Rocciatori Rondi ha poi spiccato il volo in autonomia, siglando imprese notevolissime che spesso non hanno ottenuto l’eco meritata

È il settembre del 1990 e la via Attraverso il Pesce in Marmolada si sviluppa da quasi 10 anni sopra le teste sognanti di molti arrampicatori. Due di questi, tanto silenziosi quanto sconosciuti, si apprestano a completarne la prima salita a vista, in libera. Uno stile lineare, perfetto, pulito a cui Daniele De Candido e Gildo Zanderigo tengono fede fino all’ultima lunghezza. Poi, in silenzio, così come sono arrivati, se ne tornano a casa. In Val Comelico. Il Comelico è una porzione di territorio in provincia di Belluno, fra il Cadore e l’Austria, immerso nella propria riservatezza in maniera inversamente proporzionale all’etimologia del suo nome, legata secondo molti al latino communicare e che starebbe ad indicare, letteralmente, un “luogo di comunicazione” e dunque di passaggio – attraverso, ad esempio, il Passo di Monte Croce, che porta in Val Pusteria.
Comunicare, in effetti, non sembra la caratteristica principale del gruppo di alpinisti che ne anima le crode e di cui De Candido e Zanderigo, in quell’ormai lontano 1990, facevano parte. A mettere subito in chiaro tale riservatezza congenita, durante la nostra intervista, è Diego Zandonella Callegher, primo storico presidente e fondatore dei Rondi del Comelico. «Prima dei Rondi c’era il CAI», spiega Callegher. «E infatti il primissimo gruppo di rocciatori nacque nel 1972, in seno alla nuova Sezione CAI Val Comelico». Sei i membri originari – Italo, Giuliano, Beppe e Mario Zandonella Callegher, Vittorio Carbogno, Costantino Dell’Osta – che iniziarono a svolgere attività alpinistica di notevole livello. Anche se, sul finire degli anni Ottanta, divenne sempre più prepotente la richiesta di un cambio generazionale nella conduzione del gruppo, soprattutto con l’ingresso di nuovi componenti capaci di portare fresca linfa al sodalizio. Diversi giovani comelicesi si erano infatti nel frattempo messi in luce attraverso un’importante attività di ricerca fra le montagne e le falesie del Cadore, con un numero di prime realizzazioni davvero intrigante. A farla da padrone non era più soltanto l’attività su roccia ma anche svariate altre discipline come le neonate competizioni di arrampicata sportiva, le cascate di ghiaccio, le traversate invernali (spesso in solitaria, come quelle di Ezio De Lorenzo), lo sci ripido e i primi rudimentali esperimenti con deltaplano e parapendio. «Stava emergendo la necessità di un gruppo che rappresentasse davvero tutto questo. Una visione che forse più laica, svincolata dai dogmi rigidi dell’alpinismo storico e autonoma rispetto al CAI, nonostante rimanesse sempre fortemente legata ai suoi valori», prosegue Callegher.
Fu così che nel 1990, proprio Diego Zandonella Callegher si fece promotore di questo nuovo “movimento” dando vita ufficialmente ai Rondi. Un gruppo caratterizzato, fra le altre cose, da una particolarità peculiare e saliente, riportata anche nello Statuto: un forte radicamento nel territorio, in rappresentanza di tutta la comunità ladina del Comelico, sul solco degli storici gruppi rocciatori identitari già presenti nelle Dolomiti – Ciamorces in Fassa e Catores della Val Gardena fra tutti. Un gruppo che, come se non bastasse, ricevette il sigillo di Riccardo Cassin, in una lettera di complimenti ancora gelosamente conservata. «Anche la scelta del nome fu importante», continua Callegher. «Ci piaceva l’idea di identificarci con un nome recuperato dalla fauna e flora alpina, come da tradizione per i più storici gruppi alpinistici, ma tanti erano già stati assegnati: gli Scoiattoli a Cortina, i Ciamorces in Fassa, i Ragni a Lecco, le Aquile a San Martino di Castrozza. Fu l’allora presidente della Sezione CAI Val Comelico, Piergiorgio Cesco Frare, a proporci il nome di Rondi, traduzione ladina al plurale, un po’ italianizzata, del rondone alpino. Noi tutti conoscevamo molto bene questi uccelli, ogni alpinista esperto lo incontra lungo vie e pareti, ma la proposta non ci entusiasmò particolarmente. Poi però approfondimmo la sua storia e le sue caratteristiche e scoprimmo che oltre ad essere un volatore eccezionale ed estremamente veloce, le sue zampe posteriori sono sostanzialmente delle robuste tenaglie con le quali riesce ad aggrapparsi saldamente a pareti verticali e sporgenze, come un vero alpinista. E poi non dorme mai. Si riposa a metà, mettendo a tacere alternativamente i due emisferi del cervello: prima riposa una metà e regola il volo con l’altra, poi cambia e riposa la controparte. Queste caratteristiche ci sorpresero e ci piacquero molto: qualche “collega” del gruppo era indubbiamente un rondone, nel senso che arrampicava praticamente sempre, anche mentre dormiva, e lo fa tutt’oggi». La montagna come attività totalizzante, insomma, nel sonno e nella veglia, frequentata con quella velocità silenziosa, a testa bassa e senza troppi proclami, che anche il rondone alpino incarna. «E che incarnarono sul Pesce De Candido e Zanderigo in quel settembre del 1990», sottolinea Callegher. «Ma anche Mario Zandonella Callegher, scomparso nel 1976, prima che i Rondi fossero effettivamente tali, ma parte comunque di quella nuova generazione che ne determinò la nascita. All’epoca fu uno dei più forti arrampicatori dolomitici in solitaria, compagno di cordata con Enzo Cozzolino e autore della prima solitaria della via Lacedelli-Ghedina-Lorenzi a Cima Scotoni. Oppure ancora Gino De Zolt, fra gli apritori più proficui del gruppo, con 200 nuovi itinerari all’attivo sulle 1000 nuove vie totali che i Rondi hanno aperto dal 1991 ad oggi».
Di Rondi illustri – e silenziosi – ce ne sono stati e ve ne sono ancora molti altri, pure fra le nuove generazioni e compreso il nuovo presidente del sodalizio, Christian Casanova. Guida alpina e apritore di itinerari tutt’ora irripetuti – come lo Spigolo Casanova-Marchisio o l’Obelisco di Forcella Z al Popera – Christian ha anche chiodato alcune notevoli falesie della zona, Val Maden e Digola su tutte, con difficoltà che sfiorano rispettivamente l’8b e l’8c+. «Oggi siamo circa una ventina e guardiamo al futuro con speranza, nonostante i giovani che si avvicinano all’alpinismo provengano da un sostrato più sportivo e si stiano un poco disabituando non tanto alla fatica quanto allo spirito d’avventura: un elemento che noi Rondi consideriamo imprescindibile per poter frequentare la montagna con profitto e soddisfazione», conclude Callegher.

Tags

Articoli correlati

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Back to top button
Close