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La sfida e gli insegnamenti delle alpiniste pakistane

La spedizione K2-70 riporta alla ribalta il tema della condizione femminile in Pakistan. Nel Paese riescono comunque a farsi largo valide alpiniste, nonostante antichi retaggi culturali e l’irrisolta contraddizione tra Costituzione e Sharia

Sono finalmente partite, le ragazze del K2-70: Anna Torretta, Cristina Piolini, Federica Mingolla, Silvia Loreggian, a questo punto sappiamo tutto di loro. Star mediatiche prima ancora d’aver attaccato la montagna. Auguriamo loro tanto fiato, sole e amicizia, che è la vera corda che le terrà in sicurezza.

Molto meno, solo le scarne note biografiche filtrate dalle conferenze stampa, sappiamo delle alpiniste che non sono partite, perché… sono già là. Se siete curiosi come me, però, tra profili Instagram, canali YouTube e archivi di varie testate online riuscirete a farvi un’idea di chi sono. Io per esempio ho scoperto che vengono tutte dal nord montagnoso del Paese. Di Shimshal, la valle più remota del distretto Hunza, regione del Gilgit Baltistan, è Samana Rahim, membro della squadra di sci pakistana e prima guida alpina donna del Paese. La sua prima avventura fu da bambina, con la mamma: per raggiungere i pascoli di Yazghil, a 3500 metri, dovettero attraversare da sole un ghiacciaio. Si persero più volte e trovarono la strada solo seguendo una scia di… peli di yak. Nel 2016, senza aver mai preso una piccozza in mano, vinse i campionati nazionali di ice climbing, e da allora ha iniziato la sua avventura himalayana, scalando varie cime di oltre 6000 metri.

È di Gilgit, sempre nell’Hunza, Nadeema Sahar, guida alpina e tour operator. L’immagine del suo profilo Facebook ce la mostra appesa a una corda su una via di granito, ma scrollando si trovano anche immagini del suo recente matrimonio in un bellissimo abito tradizionale, accompagnate da diverse invocazioni ad Allah.

Davvero poco si riesce a sapere della più giovane del gruppo, la diciannovenne Amina Bano, tranne che ha ancora poca esperienza di montagna (ci mancherebbe!) e ha incontrato molte resistenze da parte della famiglia: “Ho dovuto insistere molto con mia madre” ha dichiarato, “perché mi lasciasse partire”.

Ma se c’è una vera star della spedizione K2-70, non solo tra le pakistane ma nell’intero gruppo, questa è Samina Baig. Anche lei viene dalla valle di Shimshal, prima donna pakistana (e in assoluto prima mussulmana) a scalare l’Everest nel 2013, in brevissimo tempo ha completato la collezione delle Seven Summit, che le ha dato celebrità nazionale (il sito pakistano meer.com l’ha definita superwoman del Pakistan). Ultima di sei fratelli, fin dai quattro anni inizia a girare per le montagne, raccoglie la legna nei boschi e ascolta le avventure alpinistiche del fratello Mirza Ali, fondatore del Pakistan Youth Outreach, una scuola di alpinismo giovanile. Il fratello poi diventerà suo compagno di scalata e allenatore. A 19 anni sale in prima assoluta una montagna di casa, il Chashkin Sar (6400 m), che viene rinominato Samina Peak, e a 22 è sul Tetto del Mondo. In quell’occasione salgono con lei le sorelle gemelle indiane Tashi e Nungshi Malik: è una cordata già tutta femminile con una forte carica simbolica. Sulla cima dell’Everest, le tre ragazze piantano le bandiere di India e Pakistan, paesi che sono in guerra dal 1947. Cinque anni dopo quella salita, l’Onu la nomina National Goodwill Ambassador for Pakistan. 

La storia di Samina Baig con il K2 comincia nel 2015, con una spedizione che per lei termina con un infortunio. Il successo arriva però sette anni più tardi: nel 2022 è la prima pakistana sulla vetta più alta del Paese, seguita tre ore dopo da Naila Kiani, soprannominata mountaineer mom, altra star dell’alpinismo pakistano. Oggi, ad appena due anni dal suo primo K2, ecco un’altra occasione per dimostrare la forza delle donne: “È una spedizione di immensa importanza” ha dichiarato Samina, “una vera piattaforma per sostenere l’emancipazione delle donne e l’uguaglianza di genere”.

Tra Costituzione e Sharia: in Pakistan la questione femminile è ancora drammaticamente aperta

Mi hanno colpito, queste parole: dette da una donna occidentale suonerebbero risapute e perfino retoriche, dette da lei hanno tutto un altro peso. Perché nel suo Paese la questione femminile è ancora drammaticamente aperta. Ecco un’altra ricerca che potete fare: digitate “emancipazione femminile in Pakistan” sul motore di ricerca, e avrete un quadro completo. Io ho trovato le seguenti info. 

Nel 2023 il Pakistan si è piazzato al 155° posto (sui 177 Paesi considerati) del Women, Peace and Security Index del 2023, stilato ogni anno dal Georgetown Institute, un ranking che tiene conto di parametri come giustizia, inclusione sociale, sicurezza. E al 142° posto del Global Gender Gap Report, stilato dal World Economic Forum, secondo il quale l’85% delle donne pakistane è esposto a violenza di genere e il tasso di alfabetizzazione femminile è inferiore al 50%. 

Il Paese vive una evidente contraddizione tra la Costituzione, che riconosce l’uguaglianza tra uomini e donne, e la Sharia, cioè la legge religiosa ammessa dalla stessa Costituzione, secondo la quale le donne sono sottoposte alla tutela (wilaya) prima del padre e poi del marito. Un luogo duro per la vita delle donne, il Pakistan, dove alcuni miglioramenti della condizione femminile si registrano nelle città, ma delitto d’onore e matrimoni infantili sono ancora diffusi nelle zone rurali. Poca la rappresentanza politica, pochissima la rilevanza economica. Poi ci sono le superwomen, quelle che arrivano a 8000 metri ma anche quelle che riescono a farsi eleggere in parlamento (alle ultime elezioni 12 sui 336 deputati dell’Assemblea nazionale), quelle che lavorano negli ospedali e nelle università, quelle che… scalano qualsiasi tipo di vetta, fisica o metaforica. Anche (soprattutto) a loro auguriamo tanto fiato, perché la strada è lunga. E il K2, in confronto, sembra una passeggiata.

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