In cordata

Giovanni Stoppani, padre della geologia italiana e ambientalista ante litteram, nato all’ombra del Resegone

L’abate al limite dell’eresia, studiò e descrisse le bellezze del “Bel Paese”. Nato a Lecco il 15 agosto 1824, fu anche il primo presidente del CAI Milano

La città di Lecco si specchia nei suoi due simboli: Alessandro Manzoni e il Resegone. Il primo ha lasciato tracce ovunque, dalla villa paterna (oggi museo) in cui trascorse l’infanzia, ai luoghi cosiddetti “manzoniani” (la casa di Lucia, il castello dell’Innominato ecc.), fino al monumento di bronzo a lui dedicato. Il Resegone invece incombe con le sue nove cime (una naturalmente dedicata a Manzoni, anche se lo scrittore non vi mise mai piede), e una mole che promette molto di più dei suoi 1875 metri di quota.

C’è però un terzo simbolo di Lecco, un personaggio un tempo famosissimo e oggi un po’ dimenticato, di cui festeggiamo il 15 agosto il bicentenario della nascita. Si tratta di Antonio Stoppani, sacerdote (lo chiamavano “abate”), geologo, alpinista e primo biografo di Manzoni. Mente di scienziato e animo di poeta, Stoppani fu il primo sponsor delle Prealpi, che al confronto delle Alpi “sono ricche di altre bellezze tutte particolari. Si nota anzitutto in esse il contrasto, di effetto meraviglioso davvero, fra quelle creste dentate, ignude e bianche come scheletri, che si tingono d’azzurro sovente nelle giornate serene, e di giallo e di rosso al sorgere e al tramontare del sole; e il verde perenne, di cui la perenne ubertà copre i fianchi e i piedi delle montagne, tutte rivestendo fino alla cima le colline, sicché le aride vette pajono spiccarsi, come una ghirlanda di erbe e di fiori”.

La citazione è tratta dall’opera più famosa, popolare e ristampata (150 edizioni) di Stoppani: Il Bel Paese. Sottotitolo: Conversazioni sulle bellezze naturali la geologia e la geografia fisica d’Italia. Anche chi conosce il libro scritto nel 1876, conoscerà l’omonimo formaggio fresco, a pasta molle, inventato trent’anni dopo, nel 1906, da Egidio Galbani, fabbro e commerciante di latticini originario di Ballabio, valsassinese dunque come tutte grandi le famiglie di “formaggiai”, i Locatelli, gli Invernizzi, i Cademartori… Il Bel Paese formaggio si trova ancora oggi sui banchi dei supermercati: è percepito come “industriale”, ma un tempo era un prodotto d’alta gamma e fu premiato a un’esposizione parigina come Roi des Fromages. Fino a non molti anni fa riportava in etichetta il volto benevolo dell’abate. sovrimpresso a una cartina ferroviaria dell’Italia: quella ferrovia che, preziosa per lo sviluppo del giovane Stato italiano e per la commercializzazione del formaggio, ben più della lingua fiorentina vagheggiata da Manzoni servì a collante per l’appena nato Regno d’Italia. A sua volta, Stoppani si era ispirato per il titolo del libro a un verso del Canzoniere di Petrarca, il sonetto n. 146, in cui il poeta conscio di non poter cantare il nome dell’amata “in tutte e quattro parti del mondo” si contenta di farlo udire nel “bel paese ch’Appennin parte e ’l mar circonda e l’Alpe”. 

Padre della geologia italiana, fu il primo a rilevare l’influenza dell’uomo sull’ambiente e sul clima

Dalla più aulica delle poesie italiane al più italiano dei formaggi: sono molti i motivi per i quali Antonio Stoppani, nato a Lecco nel 1824, è da annoverare, se non proprio tra i padri, almeno tra gli zii della nazione, uno dei suoi più ispirati cantori.
Padre fu, sicuramente, della geologia italiana, una vocazione stimolata dal paesaggio minerale di Lecco. Dopo essere stato ordinato sacerdote, si dedicò all’insegnamento, ma gli inizi furono faticosi: infatti venne privato della cattedra per le sue idee non proprio ortodosse. Peggio: illuministe. Ed era caso più unico che raro trovare, sotto il papato di Pio IX, un prete che ragionasse di scienza, ragione e religione nei seguenti termini: “A questo lume novello, che può dirsi acceso da pochi anni soltanto, l’universo si allarga e si sprofonda in tutti i sensi e già appare estremamente limitato e angusto ciò che prima sembrava infinito. A poco a poco noi ci andiamo accorgendo che, mentre credevamo d’aver letto il libro, non avevamo guardato che il frontespizio; e l’ideale di Dio infinito si accresce nella mente in un cumulo di infiniti. Così ripensando, mi riconciliavo colla scienza (…) mi pareva insomma che al mondo non ci fosse più bisogno d’altro libro, che del libro della natura”. 

Per aver sostituito la Bibbia con il libro della natura, qualcuno in passato aveva rischiato il rogo (Galileo) o vi era finito (Giordano Bruno). Per Stoppani si trattò solo di un rallentamento nella carriera accademica, che in seguito fu rapida e luminosa: professore di geologia presso l’Università di Pavia nel 1861, e dal 1862 all’anno della morte, nel 1891, presso l’Istituto Tecnico Superiore di Milano, il futuro Politecnico (con una pausa di insegnamento a Firenze dal 1878 al 1882). A Milano fu tra i fondatori del Museo Civico di Storia Naturale, che arricchì di numerose collezioni paleontologiche (anche le sue: era un accanito cercatore di fossili) e di cui fu anche direttore negli ultimi dieci anni di vita. Ma noi alpinisti lo ricordiamo anche come primo presidente della sezione milanese del Cai, fondata nel 1873.

La statua di Stoppani a Lecco sta in buona compagnia con quella di Manzoni (della cui erezione fu promotore) e di Garibaldi, e strizza l’occhio alla statua milanese di Rosmini, di cui l’abate era discepolo. Illuminato nel pensiero scientifico, non poteva non essere liberale in politica: ancora seminarista a Milano, nel 1848 salì sulle barricate di Porta Venezia, insieme agli altri patrioti delle Cinque Giornate; a lui si deve l’invenzione dei piccoli palloni aerostatici con cui i ribelli mandavano (o cercavano di mandare) messaggi ai propri compagni. Ma la modernità di Stoppani si rivela soprattutto nei suoi numerosi trattati di geologia, che pubblicò sempre in francese (lingua allora internazionale). Fu il primo a rilevare l’influenza dell’uomo sull’ambiente e sul clima, e a dare un nome all’attuale era geologica: la definì Antropozoica, termine da cui i geologi contemporanei hanno tratto il nome Antropocene, riconoscendone la paternità al geologo lecchese. 

L’unico limite nel pensiero del buon abate, fu l’incapacità di comprendere le teorie di Darwin. Stoppani era troppo colto e intelligente per essere creazionista: quando camminava sul suo Resegone sapeva di calpestare “una montagna di conchiglie”; era ben conscio dello scorrere dei milioni di anni e del fatto che “la fauna attuale è la sintesi delle faune trascorse”. Ma non aderì mai alla casualità dell’evoluzionismo. Per lui la natura tendeva al bello, alla perfezione, secondo il piano di Dio. 

In vetta al Resegone sulle tracce dell’abate, passando dal rifugio a lui intitolato

Per celebrare la memoria del nostro abate, niente di meglio di una lunga camminata sulla sua montagna. Da Versasio, piazzale della funivia, una mulattiera si abbassa in un vallone boscoso e risale il versante opposto. Il sentiero di antiche pietre lucidate da milioni di scarpe ferrate, il sottobosco odoroso e la vista che si allarga su Lecco e il lago. Prati e cicale, un gruppo di case di pietra collegate da vicoli ripidi: Costa. C’è ancora qualcuno che vive qui tutto l’anno con la stufa a legna e il cielo stellato, fingendo di essere ai tempi di Renzo Tramaglino. Ma il silenzio… non c’è più lo stesso silenzio e un sordo brontolio sale dal piano, la città del ferro e dell’asfalto che ribolle.

Su un poggio a quasi 900 metri sorge il rifugio Stoppani. Fu costruito nel 1895, dedicato all’abate che era scomparso da pochi anni; l’ultima guerra l’ha raso al suolo, è stato ricostruito come prefabbricato e riedificato infine nel 1978. Alle sue spalle le cime della resega incombono, abbacinanti nel sole: Cima Pozzi, il Dente, Punta Manzoni e Punta Stoppani, tutte oltre i 1800 metri, e appena sopra il tetto del rifugio le pareti della falesia di solido calcare (anche questa dedicata a Stoppani) dove in altre stagioni si affollano i climber.   

“Ecco il nostro abate!” dice Nicola, il rifugista, indicando un quadro appeso nella sala da pranzo. La riproduzione della foto di Antonio Stoppani, nella sua solita espressione benevola, può soddisfare la curiosità dei pochi che si chiedono chi fosse questo personaggio così citato sui monti e nella toponomastica lecchese. La memoria (se non è tramandata dalla scuola come per Manzoni) si appanna, anche per i più grandi. E ci furono decenni in cui il prete-scienziato godette di immensa popolarità. Il Bel Paese era appena stato pubblicato e si avviava a diventare un miracolo editoriale: era la prima opera, dall’Unità d’Italia, che si proponesse di insegnare l’Italia agli italiani: “Se queste pagine avranno la fortuna” scriveva l’autore nella prefazione “di uscire dalle mura delle scuole di città per diffondersi nelle campagne, in seno alle Alpi, nelle montagne dell’Appennino, al piede del Vesuvio e dell’Etna, insegneranno agli abitanti di quelle contrade ad apprezzare un po’ meglio se stessi e le bellezze e i favori di ogni genere di cui la natura, ministra di Dio, non fu avara nelle diverse provincie d’Italia”.

Bella prosa ottocentesca, densa di positivismo temperato dalla fede e di amore patrio, e si noti come l’itinerario di Stoppani attraverso lo Stivale abbia come direttrice le dorsali montuose, dalle Alpi all’Etna. Tutta la geografia e geologia d’Italia era spiegata nei 32 capitoli del libro, sotto forma di semplici conversazioni serali tra uno zio e le sue nipotine, a beneficio del popolo italiano o almeno “quella minoranza che si occupa di leggere”. 

Per un’ora ancora procediamo nel bosco, fino all’anfiteatro sul quale s’innalza il canalone della Val Còmera. Poi su terreno aperto fino ai prati di Pian Serrada, a circa 1500 metri di quota (Serrada è il nome geografico del Resegone, mai utilizzato). Una traversata a mezzacosta verso il canalone di Valnegra; infine, per facili rocce, ecco la gran croce di vetta, 1875 metri. Qualche decina di metri più in basso, un filo di fumo esce dal camino del rifugio Azzoni, dove la polenta non manca mai, neppure d’estate. La punta più alta del Resegone, accanto a quelle di Manzoni e Stoppani, è dedicata a un altro personaggio della cultura lecchese: Mario Cermenati, allievo di Stoppani, anch’egli geologo e paleontologo, presidente della Società geologica italiana, deputato di orientamenti radicali e anticlericale. Solo l’abate Stoppani poteva avere un amico così. A Cermenati, morto nel 1924, Lecco ha dedicato una statua in bronzo sul lungolago, non lontana da quella del suo maestro, un monumento che ebbe breve vita: requisito nell’ultima guerra, finì fuso in qualche cannone. A scanso di equivoci, la statua che l’ha sostituito oggi è di marmo. Ma il monumento più bello e imperituro per Cermenati è scolpito su una delle sue (e di Stoppani, e di Manzoni) montagne. Lungo la cresta Cermenati corre il sentiero più frequentato della Grignetta, che a sua volta è la più frequentata e amata delle montagne lombarde. Vigila dall’alto la Valsassina, la culla dei Manzoni; e su una delle sue innumerevoli torri di pietra è cementato il volto sereno di Stoppani. Tutto si tiene.

Dall’alto della vetta, il panorama ci investe con la sua ampiezza e la sua luce. Dal Monte Bianco all’Adamello, e voltandosi a sud i primi rilievi d’Appennino, tutte le montagne d’Italia si disegnano tremolanti nella calura estiva. Ma più vicini e pieni di significato sono i monti manzoniani, le Grigne, il San Martino, carezzati dallo sguardo dello scrittore, calcati mille volte dal piede del geologo, impressi nella mente di chi li ha amati “non meno che lo sia l’aspetto de’ suoi più familiari”. Laggiù è Lecco e il suo lago, “uno dei più belli del mondo”. Mille volte l’abate Stoppani avrà contemplato questo paesaggio. Da qui è partito il suo appassionato racconto del Bel Paese.

Tags

Articoli correlati

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Back to top button
Close