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Julius Kugy, forte alpinista e grande cantore delle montagne friulane

A 80 anni dalla scomparsa, una mostra a Gorizia ricorderà lo scalatore e scrittore che ha esplorato le Alpi Giulie e ha lasciato indimenticabili descrizioni di quelle cime

“Se mi chiedete come debba essere chi va in montagna, direi: veritiero, nobile, modesto”. E‘ una delle numerose profonde riflessioni di Julius Kugy, il cantore ed esploratore delle Alpi Giulie.

Quest’anno, in occasione degli ottant’anni dalla sua scomparsa, la Fondazione Coronini Cronberg di Gorizia lo ricorderà con una mostra e con diverse iniziative che si svolgeranno nella residenza dei Conti Coronini, tra l’estate e l’inverno 2024-‘25.

Gorizia ha con Kugy un legame speciale, che va al di là dell’essere stata il luogo fortuito dei suoi natali (i genitori si erano rifugiati lì nel luglio 1858, per sfuggire all’epidemia di colera a Trieste, dove Kugy fu poi battezzato). Nella città sull’Isonzo la sua figura e le sue opere cominciarono, infatti, a riemergere, nella seconda metà del Novecento, dall’oblio nel quale erano cadute per più di trent’anni.

Il CAI di Gorizia, e in particolare il suo presidente Mario Lonzar, nel 1967 fece ripubblicare il suo libro più famoso, Dalla vita di un alpinista, stampato a Monaco nel 1925 con il titolo Aus dem Leben eines Bergsteigers e tradotto in Italia nel 1932.

Due anni dopo fu tradotto anche La mia vita nel lavoro, per la musica, sui monti (pubblicato a Monaco nel 1931 con il titolo Arbeit, Musik, Berge: Ein Leben), che aprì uno spiraglio più ampio sulla conoscenza della vita dell’alpinista “romantico”, triestino ma di cultura austro-ungarica, fautore della pacifica convivenza tra i popoli così come era nel disegno imperiale della “Grande Austria“.

I problemi dopo la Grande Guerra

Negli ambienti dell’alpinismo triestino e italiano, pesò invece a lungo su Kugy una sorta di onta per l’essersi schierato dalla parte dell’Austria-Ungheria durante la guerra 1915-18. Partì infatti volontario per il fronte a 58 anni e si rese utile sulle Alpi Giulie come Alpiner Referent dell’esercito imperiale, mettendo a disposizione la sua conoscenza di quei luoghi, senza peraltro mai imbracciare un fucile.

Questa scelta gravò, a conflitto finito, sulla diffusione della sua opera e sulla sua attività di conferenziere in Italia. Non fu mai accolto nelle sedi del CAI di Udine e Trieste, mentre all’estero, Jugoslavia compresa, tenne, più di mille conferenze.

Allo stesso modo l’interesse per la sua attività di scrittore (fu autore di sette libri, nei quali la montagna è quasi sempre il soggetto principale) si affievolì e le sue opere successive non vennero tradotte né ristampate in italiano, per quanto Dalla vita di un alpinista avesse ottenuto entusiastiche recensioni. Ancora oggi quel volume è un classico della letteratura di montagna e una “Bibbia“ per gli appassionati delle Alpi Giulie.

A Trieste comunque Kugy aveva continuato a vivere, anche quando la città, dopo il primo conflitto, era diventata italiana. Vienna, dove vivevano le sorelle, gli risultava triste, mentre dalla città portuale poteva continuare a vedere le montagne.

Da Trieste poi, in meno di due ore di treno, raggiungeva in estate la sua amata Valbruna, ai piedi delle Giulie, dove numerosi giovani alpinisti – tra cui anche Emilio Comici – andavano a trovarlo per chiedergli informazioni o portargli notizie di problemi alpinistici risolti.

Julius Kugy ha attraversato l’epoca d’oro dell’alpinismo esplorativo, offrendo ad essa un grande contributo nella conoscenza delle Alpi Giulie italiane e slovene, e compiendo salite anche nelle Alpi occidentali.

Il suo fu un andare in montagna “da padrone”, come lui stesso lo definì. Nonostante da universitario si fosse cimentato in salite “senza guida” sia nelle Dolomiti che nei Tauri (in particolare con i fratelli viennesi Otto e Emil Zsigmondy, con cui strinse una forte amicizia), predilesse poi muoversi in montagna sempre con l’accompagnamento di guide locali. Di tutte, nei suoi libri, ha lasciato meravigliosi ritratti. Il suo status economico glielo permise fino a quasi sessant’anni, avendo ereditato a Trieste (dal 1883) la conduzione della ditta paterna di import-export di “coloniali e frutta secca del Levante”.

Il padre di Julius, Paul, era di origini carinziane e gli aveva trasmesso fin da piccolo un grande amore per la natura, durante le villeggiature estive. In Julius quell’amore si manifestò inizialmente attraverso un’appassionata ricerca di esemplari botanici nel Carso triestino e presto si trasformò in una fascinazione irresistibile per le montagne, sulle quali inanellò una salita via l’altra a partire dal 1875, anno in cui raggiunse per la prima volta la cima del Triglav.

Quaranta volte sulla vetta del Triglav alla ricerca della Scabiosa Trenta

Verso il Triglav, sulla cui cima fu una quarantina di volte salendovi da valli diverse, lo portò per alcuni anni la ricerca della Scabiosa Trenta, una specie menzionata a fine Settecento dal bretone Belsazar Hacquet, che però si rivelò una chimera. Alla Scabiosa è dedicato un capitolo in Dalla vita di un alpinista.

Kugy fu una quindicina di volte sulla Škrlatica e sul Jalovec, poi sul Grintovec, sulle Ponze, sulla Veunza e su altre cime minori delle Giulie. Salì trenta volte sul Jôf Fuart e altrettante sul Jôf di Montasio, montagna da lui amatissima, le cui pareti settentrionali lo impressionarono già giovanissimo vedendole dal Monte Dobratsch, e sulle quali cercò di aprire una via diretta.

A Kugy si deve il battesimo di alcune cime, tra cui le Madri dei Camosci e l’Innominata, e la scoperta della Cengia degli Dei il concatenamento di cenge che percorre per intero il nodo centrale del massiccio del Jôf Fuart. Un percorso intuito e in parte esplorato da Kugy, e traversato integralmente nel 1930 da Emilio Comici e Mario Cesca.  Kugy salì anche diverse cime delle Alpi Carniche e delle Dolomiti. Si aggiudicò nel 1884 la prima salita del Monte Cridola, nelle Dolomiti Friulane, con la guida del cadorino Pacifico Orsolina.

Quei viaggi nelle Alpi occidentali

Dal 1886 si avventurò quasi ogni anno nelle Alpi Occidentali con numerose salite in compagnia di guide alpine locali.

Superò, tra l’altro, la parete Est del Monte Rosa e ne rimase affascinato, compiendo la traversata due volte (il libro Im göttlichen Lächeln del Monte Rosa, ovvero Nel divino sorriso del Monte Rosa, lo scrisse nel 1940, e fu tradotto in italiano solo nel 2008).

Conobbe il Monte Bianco, la Barre des Ecrins, il Mont Dolent e rimpianse di non essersi potuto dedicare molto al Delfinato. L’esperienza nelle Occidentali gli permise di iniziare a praticare l’alpinismo invernale sulle montagne di casa, sempre a piedi, perché non riuscì ad apprendere l’uso degli sci.

Al di là dell’attività alpinistica, ciò che rende Julius Kugy unico nel panorama della letteratura di montagna (e della letteratura in generale) è il suo messaggio, carico di valori universali e intramontabili, come il rispetto della natura, la contrarietà all’uso di mezzi artificiali in parete, la riconoscenza verso i montanari e la loro sapienza e competenza.

Notevoli anche l’approccio poetico e romantico all’andare per monti, l’affratellamento tra le diverse etnie che vi abitano, scevro da nazionalismi di sorta, l’amore per la bellezza delle ascensioni, vissuto nell’intensità dello sforzo ma anche nella pace della pura contemplazione. Un insieme di valori che ha fatto sì che Kugy continui a parlare a tutte le generazioni.

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