Itinerari

Kinabalu, a piedi sul “tetto” del Borneo malese

Nelle acque ai suoi piedi, secondo Emilio Salgari, si sono svolte le avventure di Sandokan e compagni. Il Kinabalu, però, è una montagna reale e bellissima, accessibile a tutti gli escursionisti

Le albe del Kinabalu sono tra le più sorprendenti della Terra. Il sole sbuca dalle nuvole che nascondono le foreste e la costa settentrionale del Borneo, accende di rosso le placche di granito delle cime più eleganti del massiccio, dallo sghembo St. John’s Peak fino al Victoria’s Peak e alle Donkey’s Ears, le “Orecchie d’Asino” due torrioni affusolati e levigati.

La maggioranza degli escursionisti arriva proprio all’alba sul Low’s Peak (4.095 m), la vetta più alta del Kinabalu, la “montagna più alta dell’Asia a est dell’Himalaya”, come ricorda un cartello all’ingresso del Parco. Siamo nel Sabah, lo Stato della federazione malese che comprende l’angolo nord-orientale del Borneo. Il massiccio, una enorme cupola di granito coronata da cime eleganti e aguzze, offre una camminata faticosa ma facile, molto frequentata, bellissima.

La porzione malese del Borneo, la terza isola per superficie del pianeta dopo la Groenlandia e la Nuova Guinea, alterna spazi selvaggi a luoghi sorprendentemente moderni. Tribù primitive vivono a poche ore d’auto dai grattacieli e dai centri commerciali di Kota Kinabalu, il capoluogo del Sabah, e dai palazzi coloniali di Kuching.

Mentre il Kalimantan, la parte indonesiana del Borneo, è soggetto a un disboscamento selvaggio, i territori malesi del Sarawak e del Sabah offrono a chi li visita un’articolata e splendida rete di aree protette. Nella riserva di Sepilok si vedono facilmente gli oranghi, natura e storia s’intrecciano invece nelle grotte di Niah e di Gomantong.

Le isole del Tunku Abdul Rahman National Park offrono spiagge candide e barriere coralline ricche di pesci, intorno al fiume Kinabatangan, che si percorre in battello, si vedono scimmie (soprattutto le nasìche) e uccelli rari. Il Parco di Mulu è celebre per i suoi fiumi tropicali e le sue grotte.

Nella parte bassa il Kinabalu, sacro per gli indigeni che vivono ai suoi piedi, è rivestito da una impenetrabile e afosa foresta tropicale in cui echeggiano i richiami delle scimmie, e dov’è possibile avvistare gli oranghi. Oltre i tremila metri, invece, compare una vegetazione che ricorda quella delle grandi montagne africane, con eriche giganti, muschi e licheni.

Ancora più in alto queste piante lasciano il posto a un mondo minerale e severo, un oceano di placche di granito levigate dalla pioggia e dal vento dove una interminabile corda fissa guida gli escursionisti dai lodge di Laban Rata, 3270 metri, dove si passa la notte, verso il piccolo rifugio di Sayat Sayat e la vetta più alta.

Anche se la roccia è magnifica, poche vie di arrampicata sono state tracciate sulle vette di granito che si affiancano al Low’s Peak. Gli oltre 40.000 escursionisti, in maggioranza asiatici, che affrontano la montagna ogni anno fanno invece del Kinabalu una delle cime più frequentate del mondo. Per i più sportivi, da qualche anno, è stata realizzata una ferrata, che raggiunge i contraforti più meridionali del massiccio. Esistono anche delle falesie attrezzate. Tutte le informazioni pratiche si trovano sul sito www.sabahparks.org.my.

La foresta, le rocce, l’ombra della montagna che all’alba si allunga verso il Mar della Cina rendono l’ascensione alla vetta difficile da dimenticare anche per i trekker più esperti. Il dislivello (1400 metri dal gate del Parco fino ai lodge, altri 800 da questi alla vetta) suggerisce di dedicare alla camminata tre giorni invece di due. Le nebbie e gli improvvisi acquazzoni che investono spesso la montagna costringono anche gli esperti alla prudenza.

Ogni camminatore viene dotato di un badge magnetico, in caso di ritardo scattano i soccorsi. Se inizia a piovere, i cancelli di Laban Rata e Sayat Sayat vengono immediatamente chiusi. Metodi che sembrano eccessivi ai camminatori europei e americani, ma che vengono adottati perché la maggioranza dei visitatori del Kinabalu, provenienti dalla Malaysia e dai Paesi vicini non ha mai visto una montagna o un sentiero.

Primo a sperimentare il variabile clima del Kinabalu, nel 1851, fu l’inglese Hugh Low, botanico e amico del “rajah bianco” James Brooke (proprio lui, l’irriducibile avversario di Sandokan!), che raggiunse la costa di Kota Beludu su un prahu a vela salpato dall’isola di Labuan, proseguì con una faticosa traversata nella giungla fino alla base della montagna e salì con una lunga sgambata tra rocce, eriche e rododendri.

Sulla vetta Low e le sue guide furono avvolti da “una nebbia tipicamente scozzese”, e lasciarono un biglietto in “una bottiglia di eccellente Madera vuotata alla salute di Sua Maestà”. Nei bagagli della comitiva, al ritorno, trovano posto ben 79 specie di piante (felci, ericacee, orchidee) prima sconosciute ai botanici.

Oggi, secondo le pubblicazioni del Parco, sulla montagna sono state censite da 5.000 a 6.000 specie di piante, pari al 2,5% della flora del pianeta. Tra queste sono 27 specie di rododendri, 621 di felci e ben 711 di orchidee. C’è molto da osservare e imparare, nella lunga salita che porta verso i 4095 metri del Kinabalu.

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