Alpinismo

L’enigma del Cerro Torre. Dai Ragni anche una lezione di stile

Cesare Maestri e Toni Egger nel 1959, oppure i Ragni nel 1974? I 50 anni dall’impresa dei lecchesi rendono nuovamente attuali le domande sulla prima ascensione

Nella storia dell’alpinismo italiano ci sono varie vicende fatte di dubbi, dolore e rancori. Una delle più note ha avuto come protagonisti una montagna stupenda, il Cerro Torre, nella Patagonia argentina, e uno dei migliori arrampicatori del dopoguerra, il trentino Cesare Maestri. E poi i Ragni di Lecco, da cui è arrivata anche una straordinaria lezione di stile.

Il Torre diventa una montagna “italiana” nel 1935, quando padre Alberto Maria De Agostini osserva e descrive con ammirazione. La gara per raggiungere per la prima volta la cima inizia nel 1958, quando ai piedi della guglia arrivano due spedizioni italiane, una lombarda e una trentina, che si guardano immediatamente in cagnesco.

Maestri, il “Ragno delle Dolomiti”, tenta di raggiungere la cima nel 1959 insieme al forte alpinista tirolese Toni Egger, che precipita dalla parete. Cesare scende nella bufera, viene salvato da Cesarino Fava sul ghiacciaio, quando torna a Buenos Aires dichiara che lui ed Egger hanno raggiunto la cima, e una valanga ha travolto l’austriaco sulla via del ritorno. L’alpinismo si basa sulla fiducia, i due sono tra i più forti scalatori del mondo, la conquista del Torre entra nei libri di storia.

Poi le cose si complicano. Due anni dopo la “vittoria” annunciata da Maestri, un team britannico torna sul suo itinerario, ma dopo qualche centinaio di metri i segni di passaggio finiscono. I loro dubbi vengono ripresi dall’autorevole mensile britannico “Mountain”. Nel 1970, dopo un tentativo dei Ragni di Lecco, Carlo Mauri parla del Torre come di “una montagna impossibile”, mettendo di fatto in dubbio l’ascensione del 1959.

Cesare Maestri si infuria, e torna sul Torre con uno stile provocatorio, piantando centinaia di chiodi a pressione con un compressore Atlas Copco, che poi abbandona poco sotto la cima. Qualche anno dopo, però, gli americani Jim Bridwell e Steve Brewer ripetono la via del compressore, scoprono che i chiodi si fermano prima del fungo di ghiaccio della vetta, mettono in dubbio anche l’ascensione da questo lato.

Nel 1978, il regista inglese Leo Dickinson dedica alla questione il film “The Cerro Torre Enigma”. Intanto, quando i Ragni Casimiro Ferrari, Mario Conti, Daniele Chiappa e Pino Negri sono arrivati sulla vetta da ovest, la solita “Mountain” ha titolato “Cerro Torre climbed”, “il Cerro Torre è stato salito”. Il per la prima volta era sottinteso ma evidente.

Nel 1990 il Cerro Torre arriva nelle sale cinematografiche di tutto il mondo grazie al grande regista tedesco Werner Herzog, che gli dedica “Grido di pietra”, nato da un’idea di Reinhold Messner. Collaborano al film alpinisti famosi come Stefan Glowacz e Hans Kammerlander, nei panni del protagonista è l’attore italiano Vittorio Mezzogiorno, che non pratica l’alpinismo ma si fa portare sulla cima da un elicottero.

Fu “Rolo” Garibotti a chiudere la questione

A chiudere la questione della prima salita, tra il 2004 e il 2005, è l’alpinista argentino Rolando “Rolo” Garibotti, grande specialista della Patagonia. Prima, in un’inchiesta che appare sull’“American Alpine Journal” e viene ripresa in Italia da “Alp”, dimostra che il racconto del 1959 non regge, che la descrizione della via è sbagliata, che nessuno dei ripetitori ha incontrato chiodi o corde lasciati da Maestri e da Egger.

Un anno dopo, insieme ad Alessandro Beltrami e a un altro specialista del Torre come il trentino Ermanno Salvaterra, “Rolo” apre una via nuova (“El Arca del los Vientos”) sulla parete Nord della montagna, e in discesa perlustra in corda doppia la muraglia senza trovare tracce del passaggio di Cesare Maestri e Toni Egger.

“È evidente che le descrizioni di Maestri non si adattano al terreno che lui sostiene di aver superato”, conclude Garibotti. “Le prove mi convincono che Daniele Chiappa, Mario Conti, Casimiro Ferrari e Pino Negri sono stati i primi a calcare la vetta del Cerro Torre”.

Nel 2009, quando Reinhold Messner scrive un libro sul Cerro Torre e lo presenta al Festival della Montagna di Trento, rischia di venire alle mani con i tifosi del grande alpinista trentino.

Vorrei che il Cerro Torre non esistesse, disse un giorno Maestri

Intanto, per anni e per diverse testate, cerco di approfondire la questione intervistando i protagonisti, incluso Cesare Maestri. L’ultima volta che lo incontro, nel suo negozio di Madonna di Campiglio, ammette di non essere arrivato in cima nel 1970, ma si rifiuta di parlare del 1959.

Vorrei che il Cerro Torre non esistesse, mi auguro che crolli. Voglio vederlo ridotto a un cumulo di macerie. Lui a me ha fatto soltanto male, ha distrutto la mia vita”, confessa poco dopo il “Ragno” delle Dolomiti in un convegno. Questa frase, da parte di un personaggio straordinario e molto amato addolora me e migliaia di altri appassionati di montagna.

Secondo me la responsabilità della bugia è stata di Cesarino Fava. I trentini e i lombardi erano appoggiati da due diverse associazioni di Buenos Aires, la notizia della vittoria sul Torre ha avuto un’eco enorme in Argentina. Maestri, ancora in condizioni fisiche precarie, è stato spinto a dire una bugia, e poi non ha avuto il coraggio di ritrattarla”, mi disse Messner in un’intervista di una ventina di anni fa.

Nel 2004, dopo l’uscita del rapporto di Garibotti sull’“American Alpine Journal” e a trent’anni dall’impresa dei Ragni, intervisto per “Specchio”, il settimanale de “La Stampa”, due esponenti dell’associazione alpinistica di Lecco. Le loro risposte meritano di essere ricordate.

Aver salito la parete Ovest ci basta, rispettiamo il curriculum di Maestri e la tragica fine di Toni Egger”, mi risponde Daniele Chiappa, arrivato in cima nel 1974 e grande personaggio del Soccorso Alpino lecchese, quando gli cito le conclusioni di Garibotti. “L’alpinismo si basa sulla fiducia, e vogliamo che lo rimanga. Noi non rivendichiamo nulla. Il giudizio, casomai, lo diano gli altri” aggiunge Alberto Pirovano, che all’epoca era il presidente dei Ragni. Da Lecco, dopo tante lezioni di alpinismo, quel giorno è arrivata una grande lezione di stile.

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