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Portovenere, un pellegrinaggio laico in memoria di Walter Bonatti

Il grande alpinista lombardo, insieme alla compagna Rossana e ai familiari di entrambi, riposa nel piccolo cimitero a picco sul Mar Ligure. Un luogo della memoria e del cuore

A volte la bellezza diventa troppa, e stordisce. Accade davanti a un’opera d’arte, a un brano musicale perfetto, a un’alba sulle Dolomiti o sulla Brenva. Accade all’ingresso del cimitero di Portovenere, sorvegliato dalle mura del castello, che si raggiunge per delle ripide rampe selciate dalla chiesa di San Lorenzo e dal porto.

Un vialetto, un cancello, qualche gradino in discesa a sinistra, verso l’azzurro. La tomba di Walter, di Rossana e delle loro famiglie è lì, accanto al piccolo muro di cinta da cui ci si affaccia, con un pizzico di vertigine, sulla chiesa di San Pietro e la Palmaria. Sotto di noi, oltre l’orlo della scogliera, il Mar Ligure.

Rendono impossibile sbagliarsi una piccozza legata alla croce e un cumulo di piccole pietre (un ometto? un chorten?) di montagne vicine o lontane, portate fin qui da mani innamorate e devote. Completano il quadro moschettoni, cordini, un bastoncino telescopico, l’edizione rumena di un libro di Walter, avvolta nella plastica per non farla rovinare dalla pioggia.

Walter Bonatti, che ci ha lasciato a ottantun anni alla fine dell’estate del 2011, è stato un alpinista leggendario. Le sue vie, dal Grand Capucin al Pilier d’Angle, hanno ridisegnato la geografia del Monte Bianco, le sue prime invernali hanno cambiato la storia dell’alpinismo moderno. I suoi viaggi esplorativi raccontati su “Epoca”, dall’Alaska ai vulcani del Congo, hanno insegnato a generazioni di italiani a guardare verso il mondo.

Certo, Walter era un uomo ombroso, sensibile, che si fidava raramente del prossimo. Lo dimostrano il sacrificio sul K2, suo e del pakistano Amir Mahdi, per portare l’ossigeno a Compagnoni e Lacedelli, che il capospedizione Ardito Desio ha liquidato in una nota a pie’ di pagina, ed è stato seguito da decenni di polemiche dure.

Lo dimostra il rapporto difficile di Walter con Courmayeur e le sue guide, dove l’alpinista lombardo è riuscito a legarsi davvero solo ad altri forestieri come Gigi Panei, Cosimo Zappelli e Toni Gobbi.

A cambiare Walter, come altri uomini tutti d’un pezzo, è stato l’amore. Rossana Podestà, attrice bella e celebre, ha lasciato per lui i salotti romani e Cinecittà, e si è avvicinata alla natura selvaggia e alle montagne. Bonatti, grazie a lei, ha scoperto il fascino del mare, all’Argentario dove Rossana aveva una casa e non solo. La casa i due che hanno restaurato e arredato a Dubino, oltre che un luogo di vita e un museo di avventure passate, era un luogo sospeso tra montagna e collina, tra l’aspra Valtellina e gli orizzonti più dolci del lago.

Rossana era nata a Tripoli, in Libia, ma da una famiglia originaria di Portovenere. E’ stata lei, dopo la morte di Walter, a portarlo a riposare nel meraviglioso cimitero a picco sul mare, dove lo ha raggiunto due anni dopo. L’alpinista e l’attrice avevano scelto di non sposarsi, e un medico integralista del Policlinico Gemelli li ha puniti per questo, impedendo a lei di stargli vicino negli ultimi momenti di vita.

Anche per questo motivo, immagino, Rossana (che in realtà si chiamava Carla Dora) ha scelto di riunire nel sepolcro di Portovenere i familiari di entrambi. Una famiglia vera, destinata a durare, che batte l’ottusa burocrazia degli umani.

In tanti anni non ero mai stato a salutare Rossana e Walter a Portovenere. L’ho fatto qualche giorno fa, in una giornata di tempo meraviglioso, con l’Appennino e le Apuane imbiancate a chiudere il Golfo dei Poeti. Il Pisanino non è il K2, le gobbe innevate del Cavallo non sono la cresta di Peuterey, ma lo sfondo era giusto.

Prima di salire sul bus da La Spezia, in questa stagione popolato non da turisti o bagnanti ma da colf e badanti sudamericane o dell’Est (una ha lasciato sul sedile un paio di guanti bucati, mi è dispiaciuto non riuscire a restituirli), ho letto le parole dedicate a questi luoghi dai grandi poeti del passato, da Francesco Petrarca a George Byron. Già che c’ero, ho ridato un’occhiata ai “Sepolcri” di Ugo Foscolo. “A egregie cose il forte animo accendono / L’urne de’ forti, o Pindemonte; e bella / E santa fanno al peregrin la terra / Che le ricetta”. Perfetto.

Tanta emozione camminando lungo l’Anello Bonatti

Poi il vento e il silenzio dell’approdo e del borgo, semideserti in un mercoledì di dicembre, la meraviglia della chiesa romanica di San Pietro sul promontorio, le rampe e le scalinate che portano fino al cimitero. Dopo una preghiera laica, il ritorno al livello del mare, e la ripida risalita lungo l’Anello Bonatti, il sentiero che la Sezione de La Spezia del CAI ha segnato per ricordare l’alpinista.

All’inizio, su una tabella, Walter viene presentato come “alpinista esploratore giornalista scrittore e fotoreporter”. “Senza virgole, come a sottolineare giustamente che Bonatti è stato tutte queste cose insieme e forse proprio perciò è stato così grande” ha commentato l’amico Serafino Ripamonti nel giorno dell’inaugurazione.

L’Anello Bonatti, ripidissimo all’inizio, costeggia le mura del borgo, poi prosegue verso le pareti calcaree del Muzzerone, frequentate da molti anni dagli amanti dell’arrampicata. Al termine dello strappo iniziale, dove conclude la sua fatica chi arriva a piedi da Riomaggiore o dalla lontana Levanto, si piega a sinistra, si costeggia un forte ancora presidiato dai militari e quindi inaccessibile agli escursionisti, ci si riaffaccia verso La Spezia e l’Appennino.

La discesa inizia con delle svolte più dolci, tra gli ulivi, tocca il piccolo e panoramico rifugio Muzzerone, poi si tuffa verso il borgo fortificato e il mare per un ripido sentiero sassoso, e poi per una scalinata affiancata da alti muri a secco.

La Spezia è molto lontana da Genova, ma sulle mura di Portovenere sventola la bandiera di San Giorgio. Non so se Walter apprezzasse le canzoni di Fabrizio De André, genovese purosangue che aveva dieci anni meno di lui. Non ho dubbi, però, quella che scende da Muzzerone verso il mare sia una perfetta “Crêuza de mä”, una “mulattiera di mare” capace di unire la montagna e l’azzurro.

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